Gennaio 2017

Ponti: «Il successo di un’azienda si fonda su etica e qualità»

//

GHEMME – «Se cinquant’anni fa non avessimo deciso che dovevamo produrre aceto in modo genuino, senza ricorrere come la maggior parte degli acetifici all’impiego fraudolento di acidi acetici sintetici, oggi la Aceto Ponti non esisterebbe»: se lo dice Cesare Ponti, presidente dell’azienda piemontese che, fondata nel 1867 a Ghemme, oggi domina il mercato nazionale dell’aceto con un fatturato di 115 milioni di euro esportando un quinto della produzione in tutta Europa, c’è da credergli. «Abbiamo sempre pensato che le regole dovessero nascere dal basso, basandosi cioè su una autoregolamentazione consapevole dei problemi tecnici e organizzativi del mercato in cui si opera. Già negli anni ‘60 avevamo proposto al governo un sistema di controllo della qualità. Poi, in modo provvidenziale, abbiamo scoperto e applicato una metodologia scientifica basata sull’analisi al carbonio C14, che rileva la presenza di aceto sintetico. Da lì è iniziato il nostro vero salto competitivo». A fronte di un mercato assai concorrenziale, la Aceto Ponti ha avviato una strategia commerciale basata sulla qualità dei prodotti e una crescita aziendale fatta di aggregazioni e incorporazioni di altri piccoli produttori, compresi gli acetifici di prodotti igp come il balsamico. Oggi opera con cinque stabilimenti (a Ghemme, Treviso, Vignola, Paesana e Anagni), una produzione annua di quasi 100 milioni di bottiglie e un’occupazione di 200 addetti, sia sul mercato degli aceti sia in quello delle conserve con il brand Peperlizia e del biologico con il marchio Achillea. Ma come si conduce una realtà di queste dimensioni rispondendo all’appello di Papa Francesco per un’attività economica in senso evangelico, cioè al servizio della persona e del bene comune? Per Ponti i principi sono l’etica dei comportamenti e il rispetto delle leggi, che possono nascere anche da un’esperienza di fede: «chi evade o viola le regole opera sul mercato in modo sleale. Chi conduce la propria azienda nel rispetto delle norme e della trasparenza vive in modo costruttivo e utile anche il rapporto con la collettività. Da un punto di vista cattolico c’è un impegno morale che va oltre l’aspetto etico, nel senso che l’imprenditore gestisce l’azienda come un bene ancor più integrato alla comunità, perché è preoccupato del destino delle persone e della solidità nel tempo dell’opera economica che ha costruito». Le cosiddette risorse umane sono il valore aggiunto: «Conosciamo bene tutti i nostri dipendenti, in qualche caso abbiamo condiviso l’infanzia e la gioventù con qualcuno di loro. Ciò ha favorito la crescita della nostra azienda, che si è sempre considerata l’espressione positiva di una comunità e di un territorio, oltre che della nostra famiglia». Indubbiamente la pedagogia cristiana è una guida: «Non si tratta di paternalismo ma di attenzione educativa alla persona. Quando ho cominciato a occuparmi della gestione dell’azienda, insieme a mio fratello Franco, facevo fatica a richiamare i dipendenti che non lavoravano bene. Poi mi sono reso conto che invece di favorirne la crescita, rischiavo di penalizzarli. Negli anni difficili, ho invitato i dipendenti a rispettare sia il sindacato, perché è loro diritto essere tutelati, sia l’azienda e la nostra famiglia, applicando quello che definisco un sano realismo cattolico. Nei contratti di lavoro aziendale abbiamo previsto premi di produzione vincolati alla formazione delle persone, in base a un accordo con il sindacato raccontato anche dal professor Mario Deaglio in un suo saggio». Oggi la Aceto Ponti vede già coinvolta la quarta generazione, sempre mantenendo fede, è il caso di dirlo, ai valori fondativi: «Chi ha fede non è agevolato od ostacolato nella gestione di un’azienda, ma di certo ha uno spirito di competitività più durevole nel tempo: anche se messo sotto prova, l’imprenditore cattolico crede fortemente nella soluzione e nella ripresa perché ha una speranza che va oltre il limite del contingente. Il punto di debolezza di chi fa impresa è l’eccessiva sicurezza in se stessi, che può sfociare nel delirio di onnipotenza: è un problema antropologico e si chiama peccato originale. Per grazia, i cattolici hanno dei punti di richiamo e qualche arma in più per difendersi da questo rischio».

Debuttano in Borsa i prodotti da forno della lucana Di Leo Pietro

/

C’è anche la Di Leo Pietro Spa, azienda nata nel 1860 ad Altamura e con sede a Matera, impegnata nella produzione e commercializzazione di prodotti da forno, tra le trenta aziende italiane entrate ufficialmente a far parte di Elite, l’innovativo programma di Borsa Italiana per rendere le piccole e medie imprese con alte potenzialità di crescita ancora più competitive e attraenti nei confronti degli investitori. Nato dalla collaborazione tra Borsa Italiana e le più importanti istituzioni e organizzazioni italiane (tra cui Abi, ministero dell’Economia e delle finanze, Sace, Confindustria, Bocconi), Elite affianca le migliori pmi italiane in un percorso di sviluppo organizzativo e manageriale, e per facilitare l’internazionalizzazione. Con più di 40 dipendenti e uno stabilimento produttivo di circa 18.000 metri quadrati, la Di Leo Pietro Spa ha registrato nell’ultimo quinquennio una notevole crescita del fatturato: dai 10,5 milioni del 2010 ai 14,9 del 2015. Per consolidare il suo posizionamento nel segmento salutistico-integrale, nel quale è già leader di mercato in Puglia e Basilicata, l’azienda ha pianificato un investimento di 8,5 milioni di euro da completarsi nel 2018, per costruire un nuovo opificio di 6.000 metri quadri, avviare una nuova linea produttiva di biscotti gluten free e potenziare gli impianti esistenti dedicati alla produzione di biscotti bio e vegani. L’azienda, inoltre, ha di recente completato il percorso volto all’eliminazione dell’olio di palma dai propri biscotti che oggi sono tutti palm oil free. «Abbiamo aderito a Elite – spiega Pietro Di Leo, amministratore unico dell’azienda lucana – per valorizzare le nostre potenzialità, migliorare la governance aziendale e sviluppare nuovi rapporti commerciali e finanziari confrontandoci con realtà di diversi settori. L’esperienza formativa che faremo ci consentirà anche di valutare le modalità più opportune di accesso ai mercati di capitali per finanziare la nostra ulteriore crescita». Azienda realmente eccellente, la Di Leo Pietro SpA è stata una delle prime imprese del meridione ad aver ottenuto la BRC Global Standard Food, prestigiosa certificazione inglese di qualità, specifica del settore alimentare, nella categoria “A”, massimo riconoscimento ottenibile.

Stabilimento più “lean” con i sistemi per la sicurezza Toyota

/

ROSA’ – Meno urti con i carrelli elevatori vuole dire non solo più sicurezza, ma anche meno sprechi e più efficienza negli impianti logistici e produttivi e quindi una gestione molto più “lean”. «Quando si parla dei pericoli connessi all’utilizzo dei carrelli elevatori non può certamente valere il detto “la fortuna aiuta gli audaci”. La fortuna piuttosto aiuta le aziende attrezzate», spiega Davide Santi, after sales service manager di Toyota Material Handling Italia. Questo pensiero sposa perfettamente la filosofia di DS Smith, multinazionale di origine britannica, specializzata nella realizzazione di imballaggi, il cui claim è proprio “Don’t rely on luck”, cioé “non affidarti alla fortuna”. «Per questa ragione, la divisione italiana di DS Smith Packaging ha scelto di implementare nel proprio stabilimento produttivo di Rosà, in provincia di Vicenza, alcune delle soluzioni firmate Toyota Material Handling Italia», ha dichiarato il direttore generale Alessandro Cebin. Nei 24.000 metri quadri coperti della struttura DS Smith a Rosà lavorano oltre 120 persone su 2 o 3 turni quotidiani e vengono lavorati ogni giorno più di 380.000 metri quadri di cartone. Di questi, circa 260.000 diventano scatole, destinate ad alcuni importanti nomi dei più diversi settori, come gdo e automotive. La quantità e la complessità delle attività che vengono svolte quotidianamente all’interno dell’impianto si aggiungono ai vincoli strutturali di un edificio che, seppure continuamente rinnovato ed aggiornato dal punto di vista del layout e delle tecnologie applicare, è comunque una costruzione anni ’60. Per l’azienda era dunque fondamentale azzerare il pericolo di collisione in un contesto in cui, la forte compresenza di persone e veicoli, rendeva il rischio particolarmente elevato. Il primo passo mosso verso un assottigliamento del rischio durante le attività di handling è stato dunque l’ammodernamento della flotta di carrelli elevatori, con l’introduzione di 10 moderni veicoli Toyota dotati di avanzati dispositivi di sicurezza: i nuovi carrelli hanno di serie il sistema di stabilità attiva Toyota SAS (Sistema di Stabilità Attiva) antiribaltamento, fondamentale laddove si debbano movimentare carichi pesanti e ingombranti, quali possono essere le bobine di carta utilizzata nella produzione di DS Smith. Soprattutto, tutti i carrelli Toyota nell’impianto sono stati dotati in prima installazione dei dispositivi Blue Light e Anticollision. Il primo segnala il suo avvicinamento ai pedoni ed agli altri mezzi presenti nell’area, proiettando a terra un fascio di luce blu a distanza, Anticollision, invece, grazie all’identificazione a radio frequenza RFID (Radio Frequency IDentitication), rileva mezzi e persone dotati di trasponder attivi (tag) e può quindi intervenire autonomamente sulle prestazioni del carrello al fine di evitare un urto.
Per incrementare ulteriormente i livelli di sicurezza ed efficienza durante le attività di handling è stato anche implementato I_Site, il sistema di fleet management di Toyota Material Handling. Quest’ultimo è uno strumento completo per la gestione ed il monitoraggio in tempo reale dell’intero parco carrelli, pensato per offrire indicazioni precise e sempre aggiornate sullo stato e sull’operatività di ogni singolo veicolo su cui I_Site è installato. I primi risultati dall’entrata a pieno regime della fornitura Toyota Material Handling Italia nell’impianto produttivo di Rosà sono decisamente buoni: non solo la flotta Toyota ha espresso prestazioni davvero soddisfacenti in termini di consumi ed efficienza. A settembre, il numero di urti generati da carrelli elevatori è stato misurato in drastica diminuzione e quello di incidenti è risultato pari a zero.

L’innovazione tra digitale e manifatturiero sboccia al Corefab

//

CORMANO – Sabato 21 gennaio è ufficialmente nato Corefab: nel cuore della grande Tech Valley milanese, ha aperto i battenti la casa dell’Internet of Things e dell’Industria 4.0, dove imprenditori, investitori, professionisti, ricercatori, startupper e innovatori possono trovare il punto di incontro, di progettazione e di sviluppo per nuovi prodotti e nuovi processi. Corefab (www.corefab.it) è l’iniziativa voluta dalla famiglia Marelli, imprenditori da tre generazioni nel settore della meccanica, che dopo aver ceduto una delle loro aziende a un gruppo svedese hanno deciso di reinvestire risorse importanti nella riqualificazione di un capannone di proprietà in via Po 77 per trasformarlo nell’hub dell’innovazione industriale.
Il sindaco di Cormano Tatiana Cocca e la delegata alla Mobilità e Servizi di rete della Città Metropolitana Siria Trezzi sono intervenute per il taglio del nastro dell’unico “ecosistema” esistente in provincia di Milano interamente votato all’integrazione tra produzione manifatturiera tradizionale e tecnologia digitale, come spiega il promotore Remo Marelli: «Da sempre attivi con le nostre imprese nel mondo della meccanica, abbiamo subito immaginato il Corefab come un grande ingranaggio fisico e virtuale, un luogo dove unire idee, uomini e imprese, per traghettare la ricerca e i progetti di business verso l’approdo reale del mercato. Evitando così un’inutile dispersione di creatività e capitali. Una vera e propria rete tra imprenditori senior e giovani ricercatori o “inventori” di start up, che in modo sussidiario si collegano tra di loro per sviluppare nuove soluzioni». Con un’attenzione speciale a finalizzare interventi, servizi e competenze a favore della piccola e media industria, cioè la parte produttiva più dinamica del Paese ma anche la meno sostenuta sul fronte della ricerca e
innovazione. «Per poter raggiungere questi obiettivi – aggiunge il general manager Chiara Marelli – abbiamo realizzato, su progetto dell’architetto Donata Nicetta, un ambiente aperto e integrato, con 70 postazioni open, nuclei semi-aperti e uffici chiusi, sale riunioni e aule di formazione – oltre a uno spazio fitness e una nursery – dove su un’area di mille metri quadrati opereranno la sede lombarda della prestigiosa Toyota Academy, l’incubatore e sviluppatore di start up gestito da Altis-Università Cattolica e Cna Milano, la piattaforma di ricerca e trasferimento tecnologico promossa da Find Your Doctor (che raggruppa oltre un migliaio di ricercatori universitari) e Consorzio C2T, l’ente accreditato di formazione Boston Group, il coworking della rete InCowork, la redazione del web magazine Voxfabrica.it, l’agenzia dicomunicazione BCI impegnata nell’ambito del business ethics».
 Ma ci saranno spazi anche per una realtà non profit come l’Associazione San Giuseppe Imprenditore, che con il servizio del Telefono Arancione costituisce un punto di riferimento nazionale per gli imprenditori in grave difficoltà, e per un’area benessere curata da Neolife. Con le attività interne e le partnership qualificate, Corefab rappresenta per il territorio della Grande Milano e della Lombardia una piattaforma integrata di apprendimento e un incubatore-aggregatore per persone, progetti e organizzazioni impegnate a migliorare il proprio approccio con il mercato, attraverso servizi di coaching & mentoring, ricerca & sviluppo, trasferimento tecnologico, social networking, editoria e comunicazione.

 

    

 

Ideascudo lancia il tessuto che protegge dai campi elettromagnetici

//

Siamo tutti “immersi” in un elettrosmog permanente, causato dall’utilizzo continuativo di apparecchi elettronici come computer, smartphone, sistemi wireless. E’ da questa consapevolezza che è nato e si sta sviluppando uno dei settori più promettenti dell’industria tessile italiana: quello dei tessuti tecnici protettivi, con funzione di schermatura dai campi elettromagnetici. Pioniere in questa attività è Paolo Inzaghi, titolare del gruppo Creamoda e primo produttore in Italia di tessuti schermanti. «Frutto di anni di ricerche e investimenti in brevetti, la nostra attività riguarda l’ideazione e la realizzazione di materiali tessili che schermano l’inquinamento elettromagnetico: abbigliamento, tendaggi, articoli per l’edilizia, materiali utilizzabili anche in serre e allevamenti, al fine di proteggere dall’elettrosmog tutti gli organismi viventi». La storia racconta che Inzaghi fonda la sua azienda nel 1993, con il preciso scopo di sviluppare brevetti relativi a materiali tessili innovativi, in grado di abbattere il rischio per la salute dovuto al crescente impiego di fonti elettromagnetiche. Nel 1998 l’imprenditore raggiunge un accordo con una società produttrice di filati per l’utilizzo, la produzione e la commercializzazione del tessuto schermante dalle onde elettromagnetiche. «Da questo accordo sono scaturiti diversi brevetti, tra cui uno relativo a tessuti schermanti in genere e un altro per la realizzazione di pannelli vetrati. Di fatto, siamo l’unica società operante in Italia, tramite il brand Ideascudo, a disporre in esclusiva del materiale tessile ad azione schermante”. Che ha trovato subito molteplici impieghi pratici, per tre linee di tessuto: a rete per uso edilizio, in poliestere per tende e in cotone per abbiglia
mento. Ma come funziona un tessuto schermante? «Il cuore del prodotto è un filo metallico, prodotto utilizzando diversi composti minerali: il filo viene poi intessuto all’interno del materiale tessile che si desidera schermare, realizzando così una trama che riproduce una sorta di gabbia di Faraday. Dopodiché, il materiale finito può avere diversi utilizzi». Parallelamente all’attività di ricerca dei vari prodotti che compongono l’attu
ale gamma di tessuti schermanti, Creamoda ha infatti avviato anche la commercializzazione di prodotti finiti, rivolti sia a privati sia ad aziende: dalla linea di custodie per telefoni cellulari alle camicie per uomo e donna, dai camici di tipo ospedaliero per medici e radiologi alle tute da lavoro e alle stuoie per letti. Fino agli interventi più complessi, come la schermatura di una centrale elettrica a Manfredonia, commissionata dal gruppo Marcegaglia, o la protezione di magazzini logistici di Cisalfa: «Grazie alla versatilità del prodotto, riusciamo a schermare anche edifici interi. Il settore edile è molto promettente: abbiamo sviluppato alcuni progetti con il Politecnico di Milano e collaboriamo con diversi enti certificatori e piattaforme di distribuzione di materiali edili, come Material Connection». Inzaghi non nasconde il forte interesse manifestato da altri Paesi, ma il suo obiettivo è far crescere in Italia un’industria di applicazioni che utilizzino il suo tessuto anti-elettrosmog.