Green Economy

Da Tessitura Lazzati i filati certificati “eco-friendly”

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MILANO – La svolta nel tessile si chiama green. Dall’economia circolare nascono sempre più prodotti attenti all’ambiente con lavorazioni “a impatto zero”. E anche nel periodo dell’emergenza sanitaria, l’attenzione ai temi ecologici non è calata: la Tessitura Fibre Artificiali A. Lazzati di San Vittore Olona (Milano) ha registrato una richiesta crescente per i prodotti “eco-friendly”. Ovvero, filati di poliestere e nylon interamente ottenuti da processi di recupero, ma anche finissaggi senza il ricorso a sostanze chimiche inquinanti: processi che sono il frutto di un lungo percorso di ricerca che pone oggi la Lazzati tra le realtà più innovative del tessile italiano.  «Abbiamo da poco ricevuto la conferma della certificazione GRS – Global Recycle Standard», annuncia Marilena Vercesi, responsabile del reparto di ricerca e sviluppo della Tessitura Fibre Artificiali A. Lazzati, azienda che, con alle spalle più di 60 anni di storia, continua a mantenere la conduzione familiare e che, insieme con Leucadia e Texnob, costituisce il Lazzati Group. «È un importante riconoscimento che interessa non solo i prodotti, ma anche le aziende produttrici che utilizzano materiali riciclati all’interno delle loro creazioni. La GRS, per tramite di Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale), certifica infatti non solamente la filiera eco per i materiali dichiarati 100% riciclati, ma anche che l’azienda stessa è attenta alle tematiche ambientali, politiche e sociali con azioni utili al territorio».

Prosegue Vercesi: «nel settore tessile e, in particolare, nel mondo dell’abbigliamento sono sempre più i marchi che decidono di utilizzare esclusivamente materiali riciclati per le loro collezioni. È una spinta verso tematiche di ecosostenibilità che arriva anche dal consumatore finale». La continua ricerca di soluzioni green ha permesso alla tessitura di San Vittore Olona di produrre tessuti in poliestere e nylon 100% riciclato post-consumer. «Il poliestere è ottenuto da un processo di recupero delle bottiglie in plastica, mentre il nylon deriva dal recupero di reti da pesca e tappeti non più utilizzati», spiega Vercesi. «In entrambi i casi siamo riusciti a sviluppare tessuti interamente sostenibili, certificati e di alta qualità. Questi tessuti trovano facilmente impiego nel settore sportivo e fashion, ma soprattutto contribuiscono a ridurre sensibilmente l’impatto ambientale dovuto alla loro produzione ex-novo». È anche possibile ritrovare questa “spinta green” verso i finissaggi utilizzati per aggiungere l’idrorepellenza nei tessuti. «La soluzione C-zero prevede l’impiego di una resina particolare che non utilizza sostanze chimiche perfluoroalchiliche come Pfos e Pfoa, sostanze particolarmente inquinanti e già oggetto di restrizioni da parte dell’Unione Europea. Con questo finissaggio non vengono alterate le caratteristiche del tessuto e, allo stesso tempo, anche in fase di lavaggio non c’è pericolo di rilascio di tossine dannose per l’ambiente», aggiunge Vercesi.

Finanziamento “green” per la crescita di EuroGroup

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ROMA –  La crescita sostenibile è al centro dei due finanziamenti a beneficio di EuroGroup Laminations, specializzata nella produzione di rotori e statori per motori e generatori elettrici derivanti dalla tranciatura e la punzonatura di acciaio elettrico. BNL Gruppo BNP Paribas e Crédit Agricole Italia hanno erogato due finanziamenti da 15 milioni di euro ciascuno, assistiti da garanzia green Sace, a supporto del piano di investimenti della società volto a incrementare la capacità produttiva dei propri stabilimenti italiani, con un innalzamento del livello tecnologico e un conseguente miglioramento della sostenibilità ambientale ed energetica dei processi produttivi. EuroGroup Laminations è leader mondiale nella produzione dei componenti “core” delle macchine elettriche rotanti – lo statore e il rotore – destinati ai motori elettrici di automobili, treni, elettrodomestici, automazione, domotica e generatori sia tradizionali sia eolici. La società, grazie a un’offerta di soluzioni innovative derivanti da una costante attività di ricerca e sviluppo, è riuscita a diventare punto di riferimento per i più importanti costruttori oem quali Volkswagen, Porsche, Ford, FCA, Nissan, GM e altri marchi leader attivi nell’offerta di auto elettriche. Gli interventi finanziati, grazie all’impatto positivo in termini di mitigazione del cambiamento climatico, rientrano negli obiettivi del Green New Deal, il piano che promuove un’Europa circolare, moderna, sostenibile e resiliente. «Siamo orgogliosi – ha sottolineato Enrica Delgrosso, responsabile mid corporate del nord ovest di Sace – di affiancare un’eccellenza italiana con una forte vocazione all’export e all’internazionalizzazione come EuroGroup Laminations nel suo importante contributo alla transizione ecologica attraverso la nostra garanzia Green. Questa operazione conferma il nostro impegno a supporto di una filiera strategica come quella del power e della sua crescita sostenibile, da cui non si può prescindere per essere competitivi in Italia ed all’estero».

Da Fimer e Fortech ricariche smart per veicoli elettrici

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MONZA BRIANZA – Fimer, quarto produttore di inverter fotovoltaici al mondo e player di riferimento globale nella produzione di soluzioni di ricarica per il comparto e-mobility, e Fortech, azienda leader in Italia nella fornitura di servizi per gli impianti di distribuzione carburanti, annunciano di aver stretto una partnership che, nell’immediato, si traduce nel lancio di un’innovativa soluzione per la mobilità elettrica, nonché inedita per il mercato. Il nuovo prodotto, infatti, integra le soluzioni di ricarica in AC di Fimer per veicoli elettrici (in particolare Fimer Flexa Wallbox, dispositivo di ricarica da parete per applicazioni in ambito residenziale e privato e Fimer Flexa Station, colonnina di ricarica per applicazioni commerciali e pubbliche) e il terminale intelligente SmartOpt di Fortech. Risultato: una soluzione che consentirà di collegare fino a 20 colonnine o wallbox e gestire il pagamento delle ricariche tramite un unico terminale, in maniera semplice e veloce. In altre parole, si tratta della risposta concreta di Fimer e Fortech alle esigenze del mercato, sempre più attento a esperienze di ricarica 100% user-friendly dei veicoli elettrici. La nuova soluzione frutto della partnership si inserisce nella gamma di prodotti e-mobility di Fimer, ad oggi composta da soluzioni sia in corrente alternata AC che in corrente continua DC e pensata per soddisfare le diverse necessità dei clienti per uso privato, pubblico e commerciale. «Il mercato mondiale e-mobility continua la sua inarrestabile crescita. Di pari passo, aumenta la necessità di offrire infrastrutture di ricarica in linea con le esigenze attuali», commenta Gaetano Belluccio, managing director eMobility di Fimer. «Per questo, dal 2017 lavoriamo con i principali player del settore, sviluppando e producendo soluzioni in grado di anticipare e successivamente rispondere in tempo reale ai bisogni delle future generazioni di veicoli». Le molteplici stazioni di ricarica che si potranno interfacciare al terminale offrono costi ridotti per le strutture ospitanti, grazie, ad esempio, all’assenza di connettività HW e di un canone mensile per il traffico dati. Un’ulteriore possibilità di risparmio è consentita poi dall’assenza di un canone annuo back-end per ogni singola box connessa; una differenza sostanziale rispetto alle singole connessioni Future Net, dove è invece previsto il pagamento di un canone annuo. Inoltre, l’utilizzo è molto semplice: non occorre la registrazione da parte dell’utente finale e, si possono utilizzare diversi metodi di pagamento (inclusi QR code, voucher e mobile payment, oltre ai più classici come bancomat e carte di credito). Il pagamento della ricarica diventa dunque sempre più semplice e veloce. E ancora, grazie al monitor flat touchscreen 12’’ (con vetro antivandalo), l’utente ha a disposizione fino a 5 lingue opzionabili per la guida vocale e può attivare il microfono per ricevere immediatamente assistenza tramite il terminale smartOpt. Il risultato è un’esperienza esclusiva, unica ed intuitiva. Per Massimo Banci, direttore commerciale di Fortech, «grazie alla partnership con Fimer potremo offrire una soluzione innovativa ed economicamente vantaggiosa, che permetterà a tutti i gestori di stazioni di servizio, supermercati, parcheggi e aree di sosta di installare e gestire numerosi punti di ricarica con estrema facilità e profitto. Con questa soluzione, infatti, intendiamo replicare nel mondo della ricarica dei veicoli elettrici, la classica esperienza di rifornimento in self-service di benzina e gasolio, una user experience già ampiamente diffusa e collaudata nelle tradizionali stazioni di servizio. Ciò consentirà a tutti i consumatori, italiani ed esteri, di pagare il servizio di ricarica direttamente da un terminale, permettendo di ricaricare il proprio veicolo liberamente senza obbligo di registrazione su app o portali web».

 

La transizione ecologica è più responsabile con Ecotessili

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MILANO – Vecchi abiti, tende e copridivano, ma anche biancheria per la casa e scampoli non più utilizzabili: i prodotti tessili dismessi rappresentano un’importante risorsa nel processo di  transizione ecologica. A pochi mesi dalla sua costituzione, il consorzio Ecotessili si pone all’attenzione delle imprese che intendono svolgere da subito un ruolo di protagonisti in questa nuova attività di raccolta, che prenderà avvio non appena saranno emanate le norme applicative dal ministero della Transizione Ecologica. Dal 1° gennaio 2022 la gestione dei  tessili ricade all’interno del quadro EPR (responsabilità estesa del produttore), coinvolgendo quindi produttori, importatori e distributori nella filiera del riciclo e recupero, ma anche prevedendo un eco design più spinto che tenga presente delle caratteristiche di recupero e riciclabilità. Nato dall’esperienza del Sistema Ecolight – hub che comprende anche il consorzio Ecolight per la gestione di RAEE e pile, il consorzio Ecopolietilene per i rifiuti da beni in polietilene, il nuovo consorzio Ecoremat per i materassi e gli imbottiti a fine vita e la realtà operativa Ecolight Servizi – il consorzio Ecotessili è portatore di una nuova e rinnovata esigenza proveniente dal mondo delle imprese. Promosso da Federdistribuzione e da importanti insegne del settore, si pone come interlocutore primario delle aziende per dare vita a una filiera green nella gestione di tessili e tessuti, facendo in modo che siano proprio le imprese a giocare il ruolo di protagoniste negli indirizzi strategici. La strada indicata è quella dell’adozione di modelli di business e di design circolari per ridurre gli impatti negativi della produzione e del consumo, estendendo la vita dei tessuti e aumentando l’utilizzo di materiali riciclati, ma anche per una migliore raccolta, riutilizzo e riciclaggio dei tessili scartati.

Tecnologia Drillmec per produrre più gas in Italia

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PIACENZA – Esiste, è italiana e l’installazione incide solo per il 5% sul costo di un impianto di perforazione onshore, mentre su un impianto offshore ha un impatto economicamente trascurabile. Si può applicare a qualunque tipo di struttura esistente ed è in grado di aumentare all’istante la produzione media di gas del 30%. Si chiama HoD ed è il sistema di sicurezza brevettato e prodotto da Drillmec, società piacentina di rilevanza mondiale per i sistemi di estrazione nel settore oil & gas. La sua forza sta nel fatto che consente la continuità operativa del pozzo aumentando del 30% la produzione per unità di tempo. Non solo. Proprio perché elimina la discontinuità, elimina anche il rischio di incidenti (i famigerati blow out) che mettono a rischio la vita di persone e ambiente naturale. La stima dell’aumento di sicurezza di un pozzo con HoD è del +98%. «Drillmec è fortemente impegnata nel trovare soluzioni per energie pulite, investendo sempre di più ogni anno in ricerca e sviluppo, anche per la gestione sostenibile della transizione ecologica»,  spiega Simone Trevisani, amministratore delegato. «HoD può essere una soluzione per gestire questo momento così difficile, perché consente di arginare il costo dell’energia perché permette di aumentare la produzione degli impianti esistenti in totale sicurezza». L’Italia è al quinto posto per quantità di gas naturale estratto ogni anno in Europa, alle spalle dei Paesi che si affacciano sul Mare del Nord (Norvegia, Gran Bretagna e Danimarca) e dopo la Romania. Si tratta di 3,5 miliardi di metri cubi nel 2021, una produzione che copre appena il 4% del fabbisogno nazionale, il resto viene importato da Russia e Algeria, dal Mare del Nord, Azerbaijan, Qatar e Libia. La produzione nazionale potrebbe aumentare fino a coprire il 14-15% del fabbisogno, ma perforare nuovi pozzi richiederebbe almeno 24 mesi di attesa. Per questo è necessario sfruttare al massimo le strutture già esistenti, mantenendo la sicurezza. Questo è possibile oggi senza investimenti ingenti, grazie alla tecnologia HoD. Il sistema è già stato adottato su impianti destinati a perforare pozzi esplorativi molto complessi in Albania (onshore) e sul Mar Nero (offshore) con risultati significativi che attestano il vantaggio dell’uso di questa tecnologia anche dal punto di vista dell’aumento della produzione. Più di recente, HoD è stato installato su un avanzatissimo impianto di perforazione in  Norvegia, nel mare del Nord, e sarà destinato ad una campagna di perforazione di ulteriori circa 30 pozzi. Drillmec progetta, produce e integra impianti di perforazione per applicazioni onshore e offshore. Il portafoglio prodotti onshore copre ogni singola esigenza del settore: dalle unità fast moving agli impianti convezionali e non convenzionali; dagli impianti idraulici a quelli per la perforazione in clima artico. Mentre la gamma offshore comprende una linea completa di attrezzature e drilling packages: piattaforme, jack-up, barges, semisommergibili, drill ships e navi per well intervention. Drillmec fornisce inoltre una gamma estremamente diversificata e ampia di attrezzature e accessori per la perforazione in qualità di Oem. Gli equipment di Drillmec sono stati installati e integrati su oltre 600 impianti di diversi design, lavorando in più di 60 Paesi e in diverse condizioni ambientali e operative estreme.

Aria indoor purificata con le microalghe di Alos

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BOLZANO – La start-up Alos Technology ha lanciato sul mercato il purificatore d’aria Alos, un sistema vivo e respirante grazie alla biotecnologia basata su una coltivazione di microalghe. Questa tecnologia innovativa e sostenibile elimina molti inquinanti dall’ambiente in cui viviamo o lavoriamo, in particolare l’anidride carbonica, che viene consumata dalle microalghe per produrre ossigeno. Alos è un fotobioreattore, contenente una vasca per la coltivazione di microalghe. Sfrutta la fotosintesi per eliminare l’inquinamento indoor e produrre aria pulita. Questi microrganismi hanno un enorme potere fotosintetico: un singolo apparecchio Alos, ad esempio, elimina tanto CO2 quanto 500 palme.  «Siamo convinti che le soluzioni ai problemi di oggi esistano già in natura e che la chiave per un futuro migliore risieda nella capacità di riconoscerle e sfruttarle. Il futuro è tra noi, viviamo in un mondo di innovazione: dobbiamo quindi comprenderne le dinamiche ed entrare in un percorso che porti allo sviluppo sostenibile delle attività umane», hanno dichiarato Emiliano Gentilini e Francesco Guzzonato, co-fondatori e parte fondante del team di ricerca della start up che sviluppa tecnologie per la protezione dell’ambiente. «Il nostro obiettivo è proteggere l’ambiente e la salute pubblica, attraverso lo sviluppo di soluzioni green e innovative per la riduzione delle emissioni di gas serra, il miglioramento dell’impatto antropico sull’ambiente, il miglioramento dell’efficienza energetica, la riduzione dei rifiuti, l’ottimizzazione dei processi produttivi e la tutela delle risorse naturali».

 

Architettura a km 0 con le risorse del bosco

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CUNEO – «Con l’architetto Dario Castellino stiamo impostando un progetto che prevede la realizzazione di un’unità immobiliare in legno, a km 0.  Si va dalla pulizia del bosco al recupero del materiale di scarto per produzione di energia, fino alla realizzazione del modulo e degli allestimenti interni. C’è allo studio l’utilizzo di un’essenza per la realizzazione dei mobili, il pino cembro, presente nel bosco dell’Alevè nel Parco del Monviso, che ha particolari caratteristiche terapeutiche»: così Giacomo Verrua, imprenditore e responsabile dell’Associazione Tranchero, illustra lo stato dell’arte del progetto di eco-edilizia che punta alla tutela e allo sfruttamento intelligente delle risorse boschive. Per saperne di più abbiamo intervistato l’architetto Castellino.

Anni di incuria hanno devastato la qualità dei boschi. E’ ancora possibile recuperare le essenze autoctone? 

«I territori montani italiani non sono mai stati luoghi selvaggi ma luoghi fortemente antropizzati in cui l’uomo da millenni ha abitato e coltivato. Il bosco ha avuto un ruolo molto importane per la sopravvivenza dell’uomo in quei luoghi  per l’approvvigionamento di legname da ardere, legname per le costruzioni, per l’atigianato eccetera. Dal dopoguerra in poi il bosco ha subito innumerevoli stravolgimenti normativi e comportamentali che ne hanno compromesso profondamente il suo aspetto. Lo spopolamento non ha più permesso un costante avvicendamento dei tagli e della quantità di piante tagliate fino ad arrivare a situazioni eccessive di non taglio o di taglio selvaggio e indiscriminato. La legislazione ha creato vincolistiche autorizzative tali da non permettere più una coltivazione normale e chiara del bosco che ha avuto come conseguenza la fine dell’economia del legno e la crescita indistinta del bosco, con il repentino abbassamento della qualità del legno e la totale assenza di un controllo capillare del territorio con le conseguenze che ben conosciamo».

Attraverso la coltivazione del bosco, è possibile pensare ad una riqualificazione del territorio? 

«Sono convinto che se si cominciasse a immaginare il bosco non solo come superficie estetica naturale indistinta da utilizzare per le passeggiate della domenica, ma come fonte di sostentamento e rinascita economica, si otterrebbe come risultato la sua riqualificazione e il ripopolamento vero e sano dei territori montani, cosa che a oggi non è assolutamente compresa nell’immaginario collettivo e nelle classi dirigenti. Tutto ciò è possibile creando una forte sinergia tra il legislatore e gli attori locali della  filiera e avendo come obiettivo una procedura chiara di abbattimento e dandosi dei parametri di qualità molto virtuosi».

Quali sono le migliori opportunità per i soggetti interessati a rientrare in montagna? 

«Le opportunità che offre la nostra montagna per chi intende riabitarla sono tante ma devono essere solo ed esclusivamente economiche e non dettate da meccanismi di sovvenzione pubblica. Questo è possibile se si sa riconoscere nella filiera del legno gli elementi di una nuova economia verde. Il mondo è in continua evoluzione e si sente sempre più forte l’esigenza di conoscere e vivere territori come il nostro nel cuore dell’Europa, ma ancora poco abitati e selvatici, dove la speculazione edilizia e industriale ha fatto pochi danni e dove è possibile creare economie verdi. Credo che sia un passaggio chiave di riconoscibilità dei nostri territori e di questa potenzialità inespressa oggi molto richiesta».

Quali sono i settori o le tipologie produttive che potrebbero trarre vantaggio dal recupero della vita montana?

«Il settore del legno sicuramente: ultimamente dopo la ripartenza mondiale post Covid il prezzo del legno proveniente dall’Austria è più che raddoppiato e ha avuto come conseguenza positiva il ri-innesco del circuito virtuoso del legno locale, diventato economicamente vantaggioso rispetto a quello austriaco. Ma non solo il legno: anche l’agricoltura in generale, la produzione di piccoli frutti e fiori, ovviamente il turismo leggero escursionistico, culturale ed enogastronomico, il tutto in una nuova visione leggera e poco impattante».

Ci sono requisiti o pre-condizioni ideali per poter operare su questo mercato attirando investitori esteri?

«Ritengo importante cogliere noi stessi questa opportunità e farla diventare risorsa economica solida e ben strutturata e solo dopo coinvolgere investitori stranieri, altrimenti il rischio è quello di non creare le condizioni naturali di ripopolamento e di ridistribuzione della ricchezza ma di mero sfruttamento».

Che consigli si sente di dare a un privato che intende ristrutturare il proprio immobile , a km 0? 

«Innanzi tutto saper guardare con occhi nuovi il fabbricato che si intende recuperare, cogliendone gli elementi della tradizione dell’uso dei materiali e delle tecniche utilizzate e utilizzando in modo ragionato materiali del luogo come legno, pietra, calce, paglia, lana, terra, canapa eccetera. Si scoprirà che esistono materiali di qualità molto alti a portata di mano e che permettono di recuperare in modo ottimale con risultati tecnici ed estetici notevoli».   

Quali servizi, supporti o strumenti possono essere messi a disposizione? 

«E’ importante rendere cosciente il territorio delle proprie risorse e di quali sono gli esempi da imitare e quali possono essere i meccanismi che devono essere messi in campo per innescare la ripartenza. C’è bisogno di figure professionali e imprenditoriali esterne molto preparate per fare da supporto e instradamento a questi nuovi processi economici, oltre al ripensamento e un serio coinvolgimento di tutte le figure istituzionali già attualmente presenti sul territorio come le unioni montane, provincie, associazioni di categoria che in questi anni sono state spesso solo di ostacolo o peso».

Può raccontarci la storia di intervento sul territorio? 

Lavoro sempre più spesso con materiali del mio territorio evitando se possibile di acquistare materiali che arrivano da molto lontano. La comodità di approvvigionamento dei materiali standard non del nostro territorio fa parte di un automatismo consolidato e inconsapevole che arricchisce multinazionali o economie molto lontane e non permette di ri-innescare economie locali di materiali altrettanto validi. Recentemente ho appena concluso il recupero di un piccolo essiccatoio con un ampliamento in legno che sarà utilizzato come B&B utilizzando quasi tutti materiali locali. Ho recuperato in modo filologico le parti esistenti in pietra di un vecchio essiccatoio e isolato il tetto con calce-canapa ( calce di Piasco e Canapa di Carmagnola), ho rimesso le vecchie lamiere a copertura del tetto e ho realizzato l’ampliamento con legno di larice dell’alta Valle Stura e isolato i muri con isolante in calce- canapa e fibra di legno. La forma riprende le volumetrie della tradizione ma riletta in chiave contemporanea. Il recupero ha permesso di mettere in scena le potenzialità dei materiali locali e di far comprendere che è possibile fare architettura di qualità».

    

Irritec e Talis unite per l’irrigazione sostenibile

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MESSINA – Il gruppo Irritec, nato nel ’74 in Sicilia e oggi leader mondiale nel settore dell’irrigazione di precisione, ha siglato una partnership commerciale con Raphael by Talis, azienda israeliana specializzata nel settore delle valvole di controllo, tra i key player a livello internazionale con un’ampia e innovativa offerta di prodotto. Specializzato nella produzione di sistemi di irrigazione a goccia, con 12 filiali internazionali e una rete globale di oltre 15mila esperti, Irritec pone da sempre al centro della sua azione soluzioni altamente tecnologiche, studiate per ottimizzare le risorse ambientali e i processi produttivi, garantendo standard qualitativi di eccellenza. «Un passo in avanti nella fornitura completa di impianti di irrigazione: dalla progettazione all’istallazione. La partnership rappresenta uno strumento per consolidare il posizionamento di Irritec come punto di riferimento per il cliente, in termini di qualità e servizio, soprattutto nella fase di installazione e di formazione in campo», afferma Philippe Lejeune, cco del gruppo Irritec. «Irrigazione di precisione e automazione sono il primo, grande passo nella direzione della sicurezza alimentare. La combinazione di competenze e know-how di Irritec e Raphael permetterà ai nostri partner di raggiungere i risultati desiderati in modo più efficace ed efficiente»,  spiega Guy Levin, direttore commerciale generale di Raphael by Talis.

Pianca punta alla sostenibilità e investe nel green

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TREVISO –  Da sempre attenta al rispetto del pianeta, Pianca – azienda veneta specializzata da oltre mezzo secolo nel complemento di arredo e nei sistemi per l’abitare – continua la sua crescita nel nome della sostenibilità ambientale. A dare forza e mezzi alla visione etica dell’azienda è intervenuta Intesa Sanpaolo con un finanziamento di 4,3 milioni di euro per sostenere il progetto di ampliamento del fabbricato esistente e l’acquisto di nuovi impianti in grado di rendere più efficiente il sistema produttivo, incrementando l’output di semilavorati ottenuti secondo i dettami dell’economia circolare. Un investimento complessivo di 11 milioni di euro che l’azienda guidata da Aldo Pianca sta conducendo per dare impulso produttivo alla propria strategia di espansione internazionale, caratterizzata dall’accelerazione sulla proposta di designers di fama e di soluzioni rispettose dell’ambiente. «Conserviamo e tramandiamo l’arte di lavorare il legno da 14 generazioni – dichiara Aldo Pianca, presidente dell’azienda – avendo ricevuto in eredità la passione per la materia, il rispetto e la gratitudine per la biodiversità che la natura ci offre. Gli interventi in corso nella nostra sede aziendale fanno parte di questa strategia, dell’impegno costante a migliorare le nostre performance ambientali: con l’obiettivo di avere una produzione sempre più green e offrire prodotti ancora più sostenibili».

Il progetto di sviluppo sostenibile presentato da Pianca prevede due obiettivi di miglioramento Esg (Environmental, social, governance). Il primo riguarda l’introduzione di una politica di approvvigionamento che integri considerazioni ambientali: nello stabilimento di Codognè è prevista l’installazione di pannelli fotovoltaici – presenti anche nella sede di Pianca, con un impianto che copre interamente il fabbisogno energetico dell’azienda -, oltre che l’acquisto di auto elettriche aziendali e l’installazione delle relative colonnine di ricarica. Verrà ottimizzato l’intero processo produttivo grazie a macchinari ad alta efficienza energetica e nuovi impianti che permetteranno di utilizzare almeno il 10% di materia prima in meno, riducendo sfridi e scarti di lavorazione. Il sistema di riscaldamento scelto, a termostrisce radianti, sarà in grado di assicurare un elevato comfort termico oltre che un considerevole risparmio energetico. Grande attenzione verrà data anche al progetto del green, con la creazione di un’ampia area verde e la piantumazione di piante autoctone che contribuiranno al benessere di dipendenti e visitatori.

Il secondo obiettivo si riferisce alla quota di clienti e fornitori coinvolti sui temi della sostenibilità, che si traduce nell’utilizzo di programmi di promozione della cultura green e di pratiche virtuose. Da sempre legata alla cultura del legno, Pianca sceglie fornitori di pannelli certificati Fsc®, utilizzando solo legno proveniente da boschi certificati, a prelievo controllato e contro la deforestazione, oltre che pannelli privi di colle tossiche. Una costante ricerca verso nuovi materiali, processi e tecnologie, è inoltre promossa dall’azienda veneta con l’obiettivo di ridurre sempre di più la propria impronta ambientale. Per raggiungere traguardi sempre più importanti e risultati sempre più sostenibili, ed essere green non solo a parole, ma anche nei fatti.

 

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Green Media Lab presenta la prima Fabbrica dell’Aria

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MILANO – Green Media Lab Srl SB, media relation & digital company specializzata in attività di comunicazione e consulenza strategica in ambito sostenibilità e CSR, outdoor, lifestyle e healthy food, presenta ufficialmente la sua installazione della Fabbrica dell’Aria©, il rivoluzionario sistema ideato da Stefano Mancuso, botanico di fama mondiale e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, insieme a PNAT Srl, società multidisciplinare di ricercatori, biologi, designer, ingegneri e architetti, per depurare l’aria degli spazi indoor attraverso le piante. La Fabbrica dell’Aria© è un’installazione che aumenta in maniera esponenziale la capacità naturale delle piante di rimuovere gli inquinanti negli spazi abitativi, commerciali e di lavoro. La realizzazione della Fabbrica dell’Aria© nella sede di Green Media Lab è stata possibile grazie al contributo di Giovanni Storti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, che crede fortemente nella mission e nella vision di Green Media Lab, tanto da esserne diventato socio nel 2020.

La Fabbrica dell’Aria di Green Media Lab Srl SB è il primo prototipo installato a Milano che combina le potenzialità della tecnologia alle capacità di filtrazione delle piante: grazie alla depurazione botanica, l’installazione permette infatti di assorbire e degradare gli inquinanti atmosferici tipicamente presenti negli edifici e nelle città moderne fino al 98%. La struttura, che occupa una superficie di circa 25 metri quadri, è stata costruita in modo da permettere all’aria di entrare all’interno di una parete vetrata, passare attraverso un’intercapedine sotto al piano di calpestio, fluire nelle vasche dove vengono messe a dimora le piante, per poi tornare, depurata, nell’ambiente. Quando le sostanze inquinanti attraversano il substrato di coltura, vengono trattenute e quindi degradate dalle radici delle piante. Gli inquinanti rimanenti vengono assorbiti dalle foglie e convertiti in nutrienti.

Gli arredi del nuovo headquarter di via Tertulliano sono stati realizzati combinando pezzi unici dal design sostenibile con complementi derivati da materiali di recupero, riuso e riciclo. Grazie alla partnership con Bosch BSH, tutti gli elettrodomestici installati sono funzionali al progetto interno di Green Media Lab sulla riduzione degli sprechi, che si tratti di energia, acqua o cibo. Spazio anche al green outdoor: nella terrazza di oltre 150 mq, Green Media Lab Srl SB ospiterà un vero orto verticale popolato da colture di diverse specie di piante, in ottica di sviluppo della biodiversità. Con questi importanti investimenti che mirano a migliorare l’impatto della propria struttura, Green Media Lab Srl SB riconferma la scelta di optare per un modello di business più responsabile, come dimostrato anche dai riconoscimenti che l’azienda ha ottenuto nel corso degli anni: da gennaio 2018 è certificata come B-Corp e da gennaio 2020 ha ottenuto lo status legale di società benefit. Inoltre, ha ricevuto il premio Assorel per il miglior progetto “Economia Circolare 2019” e ha aderito al programma di Net Zero 2030 con l’obiettivo di azzerare entro i prossimi anni le proprie emissioni di CO2.

Dal seme al piatto: è vincente la biofiliera Girolomoni

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URBINO – Cresce il modello Girolomoni, realtà di riferimento nel panorama del biologico con un sistema unico di produzione che copre tutta la filiera della pasta, dalla coltivazione al piatto. La cooperativa agricola, con sede a Isola del Piano (Pesaro Urbino), ha chiuso il 2020 con 18,8 milioni di euro di fatturato, pari ad una crescita del 36% rispetto l’anno precedente. Una crescita che va di pari passo con l’aumento delle risorse umane, passate da 55 a 70, e degli agricoltori coinvolti nella filiera, che sono oggi 450, quasi 100 in più del 2019. Guidata dalla nuova generazione, la cooperativa prosegue con successo la strada tracciata sin dal 1971 da Gino Girolomoni, padre del movimento biologico in Italia, perseguendo un modello di sviluppo che oltre alla sostenibilità economica punta a valorizzare il legame con il territorio, il senso di comunità, il rispetto della terra.

“Il 2020 ci ha chiamato ad un impegno straordinario, che tutti hanno vissuto con grande spirito di servizio – commenta Giovanni Battista Girolomoni, presidente della cooperativa e figlio di Gino –, ciascuno ha dimostrato flessibilità e disponibilità anche a svolgere mansioni diverse: è grazie alla collaborazione di tutti che siamo riusciti ad affrontare quest’annata difficile. Entrare nelle case con la nostra pasta, mentre circolavano immagini di scaffali vuoti e tutto era bloccato, è stato per noi un privilegio. L’aumento della richiesta – aggiunge Girolomoni – con la crescita dei consumi in casa e il maggior utilizzo di canali di acquisto che presidiamo, come l’e-commerce, ci ha premiato”.

Il 2020 segna un balzo nel quadro di un andamento già positivo (il 2019 aveva chiuso con 13,8 milioni, pari a +12% sull’anno precedente), con una produzione della pasta, attività principale della cooperativa, arrivata a 105 mila quintali. Quasi l’83% del fatturato proviene dall’estero: Girolomoni esporta oggi in 30 paesi, fra cui i principali sono: Francia, Germania, USA, Spagna, Australia e Giappone. I risultati sono legati anche alla politica di investimenti, con in primo piano la costruzione del mulino, inaugurato nel 2019, che ha consentito di chiudere tutta la filiera di produzione: il grano viene coltivato negli 80 ettari di proprietà e dai 450 agricoltori in Italia (di cui il 76%nelle Marche), macinato e lavorato dalla cooperativa per raggiungere tutto il mondo. Sono in progetto ulteriori investimenti per l’ampliamento degli uffici e la realizzazione di un nuovo magazzino, di un centro di stoccaggio e di laboratori a servizio degli agricoltori.

La cooperativa Girolomonisi estende sulle colline tra lo splendido monastero di Montebello (da qui iniziò il sogno di Gino), lo stabilimento, i campi coltivati e la locanda, dove i prodotti Girolomoni arrivano al piatto. È in questo scenario unico che il modello Girolomoni diventa condivisione e incontro, con molteplici attività: ospitalità, fattoria didattica e visite guidate che contribuiscono a promuovere i valori dell’agricoltura sostenibile. Attività che nel solo 2020, tenuto conto delle limitazioni dovute alla pandemia, hanno portato ad Isola del Piano circa 3500 persone.

 

Cresce l’export di Terratinta Group, la ceramica benefit

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MODENA – La pandemia globale non ha arrestato la crescita di Terratinta Group, brand modenese punto di riferimento nel settore della ceramica di alto profilo, che ha chiuso il 2020 con un fatturato di 22 milioni e 715mila euro, un +1.4% rispetto all’anno precedente, confermando i suoi 34 addetti. Un risultato molto soddisfacente, in netta controtendenza rispetto all’andamento generale del settore in Italia, che negli ultimi 12 mesi ha totalizzato un calo di vendite complessivo del 4% rispetto al 2019. Per il gruppo di Fiorano Modenese, che da pochi mesi è una società benefit a tutti gli effetti, i primi mercati sono il Benelux, il Regno Unito, la Francia, gli Stati Uniti e la Scandinavia. Quest’ultimo mercato ha registrato una crescita del 15%, e al momento incide con una percentuale del 18% sul fatturato totale. Tra le performance individuali dei brand del gruppo, vale la pena menzionare quelle di Sartoria, che lo scorso anno è cresciuta addirittura del 75% rispetto al 2019. Le entrate del giovane brand, al suo secondo anno di vita, rappresentano già il 10% dell’intero fatturato di Terratinta Group.

“I desideri di crescita erano maggiori ma dobbiamo convivere con una situazione complessa dalle difficili prospettive. E’ questo quindi il periodo di rinsaldare i valori dell’azienda, e dare luce a una visione sempre più ambiziosa che condividiamo con tutto il nostro team. E’ il momento di avere coraggio, e la passione per la ceramica che Terratinta Group ha nel suo dna, ci porta a pensare anche fuori dagli schemi attuali”, ha dichiarato il ceo Luca Migliorini. 

Il 2020, per Terratinta Group, è stato anche l’anno del primo report sulla sostenibilità che rappresenta un vero e proprio manifesto della filosofia green dell’azienda. Per l’azienda guidata da Migliorini, il rispetto per l’ambiente rappresenta infatti una missione quotidiana, una parte essenziale della strategia operativa, indipendentemente dalle circostanze. Tutto è iniziato nel 2019 con il Progetto Change per approdare a una progressiva trasformazione del gruppo in un’azienda completamente a impatto zero. Tra le iniziative più rilevanti figurano i programmi Plastic Free, Green Energy e Paper Decrease e la certificazione Carbon Neutral.

 

Con Oroblù Save the Oceans la sostenibilità s’indossa

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BERGAMO – Creare un prodotto tessile di qualità e alla moda e che sia allo stesso tempo sostenibile grazie a un limitato impatto sull’ambiente. È questa la sfida che ha portato RadiciGroup – realtà italiana con 3.100 dipendenti e un fatturato superiore a 1 miliardo di euro, leader nella produzione di poliammidi, fibre sintetiche e tecnopolimeri destinati ad applicazioni in diversi ambiti, principalmente nel settore tessile/moda – e Oroblù – marchio di calze di alta gamma di proprietà di CSP International, gruppo che opera nel settore della produzione e distribuzione delle calze, intimo uomo e donna e costumi da bagno situato nella zona di Mantova – a collaborare per realizzare in Italia il primo collant realizzato con filati ottenuti dal riciclo del pet (polietilene tereftalato) delle bottiglie. È in quest’ottica che nasce “Oroblù Save the Oceans”, il collant nero, 50 denari, realizzato con Repetable, il nuovo filato di poliestere prodotto da RadiciGroup, ottenuto mediante un processo di riciclo post-consumer delle bottiglie di plastica, che consente di abbattere le emissioni di CO2 e ridurre i consumi di acqua ed energia.

Repetable è stato scelto da Oroblù, dopo un’attenta fase di studio e valutazione, per le sue caratteristiche uniche e per le prestazioni tecniche elevate, che rispondono pienamente alle esigenze del progetto Save the Oceans. Oltre a non consumare nuova materia prima vergine, Repetable viene anche tinto in massa, consentendo un ulteriore risparmio di acqua ed energia elettrica impiegate nella lavorazione.

“La nostra strategia di prodotto – ha sottolineato Angelo Radici, presidente di RadiciGroup- è sempre più orientata a incrementare l’uso di materia prima da recupero, senza però rinunciare alle performance delle soluzioni che proponiamo ai nostri clienti.  Abbiamo lavorato fianco a fianco con Oroblù per mettere sul mercato un collant di qualità, bello e sostenibile che potesse soddisfare le esigenze anche delle consumatrici più attente e sensibili a queste tematiche”. “La nostra azienda ha da sempre sviluppato collezioni che offrono prodotti di qualità, in cui l’attenta mano stilistica, in concerto con il team di sviluppo prodotto, ha sempre curato la costante attenzione all’eco-innovazione”, spiega Carlo Bertoni, amministratore delegato di CSP International Fashion Group. “Abbiamo sviluppato il concetto di sostenibilità integrandolo al nostro metodo di lavoro, attraverso la selezione di materie prime riciclate e riciclabili, garantendone l’intero percorso di tracciabilità, forti del fatto che il ciclo produttivo è basato prevalentemente in Italia nel territorio mantovano”.

Meno consumi, più fonti rinnovabili per Natura Nuova

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RAVENNA – Dopo un’attenta analisi e comparazione, sono stati calcolati i dati relativi ai consumi energetici che Natura Nuova, azienda di Bagnacavallo specializzata nella produzione di polpe e frullati di frutta e nei prodotti a base di proteine vegetali, destina annualmente per alimentare i propri impianti, che riguardano tre stabilimenti che occupano 150 addetti, 10 linee produttive che trattano 16mila tonnellate di frutta all’anno.  Ne emerge un quadro in linea con i principi che hanno da sempre animato l’azienda, che del rispetto per l’ambiente e sostenibilità ne ha fatto una scelta culturale, oltre che imprenditoriale: dal 2017 al 2018 il consumo energetico complessivo è sceso, infatti, dell’8%. Ma non è tutto: la produzione da energie rinnovabili (fotovoltaico e cogenerazione) è aumentata del 14% portando così l’autoconsumo di energia a un +11% e la riduzione di quella acquistata a -12%.

«L’attenzione per l’ambiente è uno dei nostri punti di forza. Disponiamo, infatti, di tre impianti fotovoltaici che forniscono il 50% del fabbisogno energetico e un cogeneratore che fornisce il 30% della restante energia. Inoltre, gli scarti di produzione (bucce di mele e scarti di tofu) diventano alimentazione per i biodigestori, mentre i materiali di imballo utilizzati sono certificati FSC, dunque riciclabili e sostenibili. Difendiamo la nostra terra attraverso delle scelte concrete, riducendo al massimo l’impatto ambientale. Per il benessere e il futuro di tutti», sottolinea Gabriele Longanesi, fondatore di Natura Nuova.

Dal 1994 l’azienda produce polpe e frullati di frutta naturali, senza l’aggiunta di zuccheri o di conservanti, e confeziona le puree composte al 100% da frutta in vaschetta o nel pratico formato in sacchetto (doypack). Da sempre Natura Nuova lavora sia la frutta tradizionale sia quella proveniente da coltivazioni biologiche e, recentemente, ha introdotto anche la lavorazione delle verdure. Non solo: è anche produttrice di proteine vegetali come il tofu, il tempeh e il seitan.

 

Progetto Inblue: i Tir del futuro diventano ecosostenibili

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MILANO – Il trasporto merci del futuro sarà all’insegna della sensibilità ambientale. Una flotta di 156 veicoli, il 26% dei quali alimentati a metano liquido (gnl) che diventeranno il 68% (oltre due terzi del totale) entro il 2018. L’imminente introduzione di 30 nuovi veicoli Iveco di ultima generazione. Una riduzione, nel solo 2016, di circa il 10% in termini di emissioni di CO2, pari a quasi 1 milione di kg di biossido di carbonio, che diventeranno 10 milioni nell’arco di due anni con l’adozione dei nuovi veicoli a biometano liquido, e in parallelo una diminuzione nell’esalazione di polveri sottili da 31 milioni di mg a circa 103 milioni in due anni. Sono solo alcuni numeri del programma Inblue, l’esperienza che sta mettendo in atto l’azienda umbra LC3 Trasporti, prima realtà in Italia che, grazie all’utilizzo di veicoli a metano liquido e all’adozione di una serie di pratiche virtuose, si pone oggi come prima azienda sostenibile di trasporto merci su gomma nel nostro Paese. «Fin dall’inizio l’azienda ha prestato grande attenzione alle problematiche ambientali connesse all’attività dell’autotrasporto», spiega il fondatore Mario Ambrogi. «Dati alla mano, nel 2013 le emissioni complessive del trasporto su strada sono state di quasi 100 milioni di tonnellate di CO2: di queste il 35% sono attribuibili al trasporto merci stradale, di cui circa la metà al trasporto pesante». La crescita di sensibilità delle aziende committenti verso i cosiddetti business sostenibili, capaci di garantire alti livelli qualitativi di servizio rispettosi dell’ambiente, ha trovato in LC3 l’interlocutore perfetto. L’azienda infatti, tra il 2009 e il 2012, riesce a sviluppare un grande know-how sui temi del green e sviluppa un percorso che pone le basi al progetto B.E.S.T. (Better Environment & Sustainable Transport) che prende corpo agendo su due fronti principali. Quello della formazione, avviando un percorso di eccellenza dedicato agli autisti su guida sicura e risparmio energetico, e quello dell’innovazione, attraverso la partnership con Iveco per la messa in strada di eco-veicoli. Dal 2015 LC3 è partner di Corridoio Blu, un progetto che fa capo alla Comunità Europea e che intende promuovere la realizzazione di ricerche, progetti e infrastrutture che favoriscano il ricorso all’uso del gas naturale liquido nel trasporto pesante. Nel 2016 l’azienda umbra è invitata a Parigi a rappresentare l’Italia in qualità di prima azienda di trasporto su gomma con veicoli a metano liquido. Da quest’anno LC3 ha avviato assieme a Michelin Solutions un progetto per testare i pneumatici specifici in base alla tipologia di trasporto. Questi test permettono di rilevare pressione e temperatura di ogni singolo pneumatico in tempo reale. A questo si aggiunge un percorso formativo dedicato agli autisti finalizzato a migliorare lo stile di guida e, conseguentemente, la sicurezza su strada. E sempre da quest’anno i primi veicoli a metano liquido di LC3 hanno cominciato a uscire dai confini nazionali. Oggi la flotta LC3 è composta di 156 truck, di cui 40 a metano liquido, ai quali si aggiungono i nuovi 30 veicoli a metano liquido 400 CV e può contare su una rete di 8 filiali distribuite lungo tutto il centro-nord Italia in grado di presidiare l’intera rete autostradale del Paese e su un centro logistico all’avanguardia con sede a Piacenza, dotato di terminal container e un deposito a temperatura controllata. Negli ultimi 5 anni il fatturato è raddoppiato tanto da superare nel 2016 i 40 milioni di euro.

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Dai rifiuti all’asfalto high tech: prima “posa” per Ama e Iterchimica

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ROMA – Iterchimica, azienda leader mondiale nel campo degli additivi per l’asfalto, e AMA, la municipalizzata romana per la gestione integrata dei servizi ambfoto-iterchimica-2ientali, hanno avviato una collaborazione per promuovere iniziative di sensibilizzazione all’utilizzo di prodotti innovativi ed ecosostenibili per la realizzazione di beni comuni. Come primo atto di questa partnership, è stato realizzato un tratto di pista ciclabile sotto Lungotevere Oberdan a Roma, che ha come peculiarità l’utilizzo di una pavimentazione green e high tech studiata ad hoc per piste ciclabili. Il tratto oggetto dell’intervento, in precedenza caratterizzato da una pavimentazione alquanto sconnessa, è stato individuato grazie alla collaborazione di Biciroma (il movimento nato in seno alla onlus Associazione Due Ruote d’Italia). La tecnologia, tutta italiana, di Iterchimica e la competenza sull’ambiente urbano di AMA permettono la riqualificazione e valorizzazione di un’area cittadina senza contaminarne la storicità, fondendo tradizione e innovazione in un pratico esempio di economia circolare che può diventare un modello replicabile in altre zone di Roma e in altre città.
Grazie ai suoi additivi di ultima generazione, interamente messi a punto e prodotti in Italia da 50 anni, Iterchimica è infatti in grado di consentire pavimentazioni stradali con percentuali altissime di asfalto riciclato (fino al 100%), abbassando le temperature di lavorazione, con un conseguente risparmio di energia e riduzione dei vapori bituminosi, aumentando di quasi il doppio la vita delle pavimentazioni grazie a speciali polimeri. AMA è diventata detentore unico di un brevetto per la realizzazione di un prodotto derivato da rifiuti solidi urbani, definito “Mineralized Biomass”, che consente il recupero della frazione organica in uscita dagli impianti di trattamento meccanico biologico. La miscela derivante, ottenuta senza trattamenti chimici o termici ma attraverso una mescola “a freddo”, è adatta al risanamento ambientale e il rifiuto organico potrà essere riutilizzato e trasformato in una base per strade, piste ciclabili, parcheggi, scarpate delimitanti autostrade e binari di ferrovie eccetera. «Siamo particolarmente soddisfatti dei risultati che sta portando questa collaborazione pubblico privato con AMA», ha dichiarato Federica Giannattasio, a.d. di Iterchimica. «Iterchimica ha da sempre posto particolare attenzione allo sviluppo di tecnologie e processi a basso impatto ambientale e ad alta economicità d’esercizio. Infatti, con buone pratiche di produzione e di stesa e grazie al contributo determinante degli additivi, l’asfalto per piste ciclabili, strade e parcheggi può durare almeno il doppio del tempo senza danneggiarsi. E naturalmente lo stesso vale per la riparazione delle buche, che se fatta a regola d’arte, può essere duratura e non solo una soluzione temporanea».

Dal campo alla tavola: arriva l’high tech italiano per l’agroindustria

MILANO – Energie rinnovabili, materiali e strutture serricole d’avanguardia, gestione delle acque, studio bioclimatico e agronomico a 360°. Nasce AgroEnergy, la nuova divisione di Kopron – azienda italiana specializzata nella logistica industriale, con sedi in Francia, Cina e Brasile – che mira a rispondere in modo concreto allo slogan che ha accompagnato l’Expo: “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”. Come? «Oggi più che mai è necessario trovare soluzioni innovative nel campo dell’agricoltura – spiega Mario Vergani, ceo di Kopron – che consentano da una parte di sfamare una popolazione mondiale in costante crescita, e dall’altra di preservare le risorse del pianeta, attraverso un approccio davvero sostenibile. Questa è la mission di Kopron AgroEnergy che attraverso il suo metodo integrato e unico nell’ambito delle colture protette mira a fondere agricoltura, energia rinnovabile e tecnologia per far crescere un’agricoltura rigogliosa e sostenibile». La divisione AgroEnergy è il risultato di oltre 30 anni di esperienza di Kopron nel settore della logistica industriale, della progettazione e realizzazione di impianti di energie rinnovabili e della costruzione di serre, a cui si aggiunge oggi la consulenza agronomica per progettare sistemi innovativi e su misura, in grado di assicurare una produzione costante e autosufficiente. Un progetto unico al mondo e interamente “made in Italy”, finalizzato sia alla produzioni di ortaggi da foglia (come la classica insalata) o a frutto pendente (come per esempio pomodori o melanzane) sia al settore florovivaistico (fiori, piante in vaso). Ma come funziona? Kopron AgroEnergy fornisce un progetto di filiera completo, dal ciclo di semina e germinazione alla distribuzione, passando attraverso la produzione, il raccolto (comprensivo di taglio, lavaggio, asciugatura, pesata e confezionamento), l’organizzazione dello stoccaggio e alla progettazione della linea del freddo. Ogni impianto infatti è composto da quattro zone: zona preparazione nursery, zona produzione, zona lavorazione e confezionamento, sistemi di stoccaggio. Ogni sistema progettato da AgroEnergy è una sorta di “serra verticale”, un campo multistrato animato da un sistema di movimentazione automatico o semiautomatico “a giostra”, in grado di spostare le coltivazioni a seconda della necessità (semina, maturazione, raccolta). In questo modo, è possibile programmare il ciclo produttivo, che rimane fisso, ripetibile e soprattutto indipendente dai fattori ambientali esterni. Ogni impianto infatti può comprendere sistemi di irrigazione e controllo umidità, sistemi computerizzati per la fertirrigazione ed il controllo del microclima interno, impianti riscaldamento/raffrescamento, ombreggi e coibentazioni. Ogni nuovo impianto richiede da 6 a 8 mesi di progettazione e un investimento di 2-3 milioni di euro per impianti di prima installazione, e i 20-30 milioni per impianti capaci di massa critica autosufficienti.

La sfida per il risparmio energetico premia l’acciaieria più eco-efficiente

POZZUOLO DEL FRIULI – Anche il settore siderurgico può essere a basso impatto ambientale, mantenendo alti standard qualitativi e produttivi, come dimostra l’assegnazione del premio Fire – Certificati Bianchi per un’industria energeticamente efficiente ad ABS – Acciaierie Bertoli Safau del Gruppo Danieli, azienda friulana (che ha di recente ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione dell’energia secondo lo standard Iso 50001) che realizza acciai speciali di alto livello, per uno dei progetti realizzati in collaborazione con Tholos, Esco certificata Uni Cei 11352, specializzata nella consulenza alle industrie per l’efficienza energetica e l’ottenimento di Certificati Bianchi. Il riconoscimento, ritirato da Luca Sassoli, energy manager di ABS, nell’ambito della fiera Key Energy di Rimini, è stato assegnato all’intervento di efficienza energetica che consiste nel revamping del parco siviere all’interno del reparto acciaieria. L’intervento ha consentito un abbassamento dei consumi specifici di energia nel processo di produzione dell’acciaio fuso, consentendo un aumento del quantitativo di acciaio fuso trattato per ciascuna colata e una riduzione dei consumi specifici di energia elettrica, carbone/grafite e metano, rispetto alla situazione pre-intervento. «L’intervento di efficienza energetica realizzato da ABS e premiato da Fire – ha dichiarato Michele Loi, amministratore delegato di Tholos – consente non solo di produrre in modo più efficiente, ma ha anche un vantaggio in termini ambientali, in quanto sono ridotte le quantità di materiale refrattario da impiegare nelle siviere e da smaltire (rifiuti), minimizzando, dunque, l’impatto che l’intero sistema ha sull’ambiente». «Siamo onorati di ricevere un simile riconoscimento, che ci ripaga del lungo percorso mirato a migliorare il nostro sistema produttivo in un’ottica di white economy», ha commentato Sassoli. ABS ha chiuso l’ultimo bilancio a 795 milioni di euro di fatturato, con una presenza commerciale in 41 Paesi e l’occupazione di quasi 1.300 addetti.

Bello ed ecosostenibile, è il cemento biodinamico di Palazzo Italia

MILANO – Un cemento bello da vedere e da accarezzare. Un materiale sostenibile, durabile, resistente e allo stesso tempo di grande qualità estetica, pronto per essere utilizzato in opere di pregio architettonico come Palazzo Italia a Expo 2015. La capacità di ricerca e di innovazione di Italcementi ha portato all’ideazione di un nuovo materiale per l’architettura sostenibile: i.active Biodynamic. Italcementi ha presentato la nuova malta cementizia nel corso di un evento mondiale, che si è tenuto nell’auditorium di Palazzo Italia alla presenza di delegazioni provenienti da quattro continenti. Molti i rappresentanti della building community giunti a Milano per conoscere da vicino il prodotto, scoprirne le caratteristiche e vedere da vicino la sua prima applicazione sperimentale: la straordinaria struttura esterna e le facciate interne di Palazzo Italia, progettata dallo studio Nemesi & Partners per essere il luogo-icona di Expo Milano 2015. «Dalla medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, passando per il successo internazionale del Padiglione Italiano in cemento trasparente simbolo di Expo Shanghai 2010, fino al nuovo cemento biodinamico che caratterizza Palazzo Italia a Expo Milano 2015: quello che unisce le esposizioni universali a Italcementi è un legame storico e fondato sull’innovazione»,  ha affermato Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi. «Anche un settore “tradizionale” come quello dei materiali per le costruzioni è capace di rinnovarsi e di offrire nuove opportunità alla building community. Dalla nostra ricerca nascono performance e soluzioni grazie alle quali le intuizioni di architetti e ingegneri possono prendere forma e dare vita a edifici bellissimi». «Palazzo Italia nasce dall’idea di un’architettura naturale, che diventa paesaggio», ha spiegato Susanna Tradati, progettista di Palazzo Italia insieme a Michele Molé e allo studio Nemesi & Partners. «Una foresta pietrificata la cui complessità è resa possibile dalla plasticità del materiale, il cemento biodinamico . Per la prima volta, come architetti, abbiamo trovato in Italcementi un’azienda che invece di porre “confini” al nostro lavoro ci ha spinto ad andare oltre, a superare i limiti della progettazione che spesso ci vengono posti dai materiali tradizionali». Il risultato di questo incontro tra innovazione di prodotto e architettura è un’opera che sta dando lustro al sistema Paese. Il biocemento i.active Biodynamic è una malta cementizia ad alta fluidità destinata alla realizzazione di elementi architettonici prefabbricati non strutturali, dalle geometrie complesse e a sezione sottile. La componente “bio” è data dalle proprietà fotocatalitiche del nuovo cemento, ottenute grazie al principio attivo TX Active brevettato da Italcementi. A contatto con la luce del sole, il principio attivo presente nel materiale consente di “catturare” alcuni inquinanti presenti nell’aria, trasformandoli in sali inerti e contribuendo così a liberare l’atmosfera dallo smog. La malta, inoltre, prevede l’utilizzo per l’80% di aggregati riciclati, in parte provenienti dagli sfridi di lavorazione del marmo di Carrara, che conferiscono una brillanza superiore ai cementi bianchi tradizionali. La “dinamicità” è invece una caratteristica propria del nuovo materiale, che presenta una fluidità tale da consentire la realizzazione di forme complesse come quelle che caratterizzano i pannelli di Palazzo Italia.

La riqualificazione innovativa parte dalle facciate green & smart

ROVERETO – La riqualificazione parte dall’involucro. Questa è la missione di Oros, start up trentina di Progetto Manifattura: fornire soluzioni innovative e funzionali nell’ambito delle facciate continue, dei serramenti, delle chiusure tecniche e delle vetrate high-tech specifiche per ogni edificio, seguire i progettisti supportandoli con soluzioni tecniche, offrendo pacchetto completo garantendo un servizio dalla progettazione al chiavi in mano. «Oggi l’industrializzazione della riqualificazione, come anche annunciato alla fiera Rebuild quest’anno, richiede soluzioni sostenibili, mediante l’utilizzo consapevole di elementi tecnologici tradizionali e al tempo stesso porgendo una grande ed innovativa attenzione verso l’ambiente e una progettazione snella e di qualità», spiega Nadia Manfredi, fondatrice di Oros. Uno degli esempi più recenti è il cantiere degli edifici della Gasperini a Rovereto, seguito dall’architetto Alberto Sala, dove è stato realizzato un’interessante modello di facciata ventilata (controparete): con un involucro smart, serramenti ad alta efficienza e un normale cappotto l’azienda è riuscita a trasformare un edificio colabrodo degli anni sessanta in una struttura energy efficient, con un intervento dai costi contenuti e poco invasivo. «Con semplici pannelli di materiale composito da 4 millimetri per la contro facciata, lamiera d’alluminio per finiture o imbotti, e uno spazio di isolamento d’aria interno tra facciata e cappotto, abbiamo ottenuto effetti di controllo temperatura interessanti», continua Alessandro Pezzani, socio di Nadia. Alla base di Oros una semplice filosofia: realizzare architetture sostenibili che perseguono certificazioni di qualità. Per questo, Oros stessa gestisce la produzione di involucri opachi e trasparenti per edifici residenziali, per uffici e terziario, offrendo soluzioni personalizzate anche per l’interior design. «Prodotto e progetto devono andare di pari passo. Spesso succede l’opposto: si scelgono prodotti per la riqualificazione senza un reale dialogo con il progettista. Questo significa un fallimento della riqualificazione integrata, che richiede esattamente questo tipo di dialogo e questo tipo di prodotti, come gli involucri e infissi di Oros». La start up è insediata presso Progetto Manifattura, hub della green economy trentina.