Strumenti per lo sviluppo

RAPPAZZO: in tempi di crisi il marketing è una risposta?

Vincenzo Rappazzo, esperto di marketing, senior partner Forfabrica

La produzione nazionale di carni di pollame nell’anno 2013 è risultata pari a 1.258.800 tonnellate (-0,2% rispetto al 2012); il consumo totale si è collocato a 1.178.100 tonnellate (-0,3% rispetto al 2012), pari a 19,34 Kg per abitante (contro i 19,40 del 2012). In particolare sono state prodotte:

 

863.400 tonn. di carne di pollo (+0,3% rispetto al 2012);

 

46.800 tonn. di carne di gallina (-1,4% rispetto al 2012);

 

313.500 tonn. di carne di tacchino (-0,4% rispetto al 2011);

 

35.100 tonn. di carne delle altre specie avicole allevate (-0,3% rispetto al 2012).

 

La produzione nazionale di uova da consumo nell’anno 2013 è risultata pari a 12.168.000.000 pezzi (-2,1% rispetto al 2012); il consumo totale si è collocato a 12.996.000.000 pezzi (+0,77% rispetto al 2012), pari a 212 pezzi per abitante (uguale al 2012).

 

(Fonte Una Italia, Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova)

 

Il bisogno non può essere cancellato: in Italia vivono 60 milioni di persone che mangiano, bevono, si vestono eccetera. E che contribuiscono alle necessità altrui con il proprio lavoro. Se allarghiamo i nostri confini ci accorgiamo che possono essere molte di più: nel mondo vivono circa 7 miliardi di persone. Che vi sia una crisi è un dato di fatto, ma non ci avventuriamo nelle analisi sulla sua origine che ci portano lontano dal nostro intento. Il realismo ci impone di prenderne atto, di considerarla un aspetto – non secondario – dello scenario in cui svolgiamo le nostre attività. Ma con altrettanto realismo dobbiamo constatare che i bisogni non si sono ridotti, anzi sono ancor più  ineludibili.

 

«Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande…». (Charlie Brown)

 

«Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce». (Hannah Arendt)

 

«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato». (Albert Einstein)

 

La filosofa e il fisico (forse non è un caso che entrambi, ebrei di origini tedesche, negli anni ’30 del secolo scorso siano dovuti fuggire e naturalizzarsi come cittadini statunitensi) ci suggeriscono un passo in avanti. Non ci serve soffermarci a chiederci perché il mercato non richiede più come una volta il nostro prodotto che per tanti anni ha soddisfatto i nostri clienti, ma per quali bisogni le mie capacità sono una risorsa? E questo è il compito del marketing.

 

Contatti: rappazzo@forfabrica.com

 

CASTALDO: punti di forza e minacce del fare impresa? e start up

Roberto Castaldo, business coach e fondatore di 4 MAN Consulting

In Italia è sempre più difficile fare impresa, soprattutto a causa della pressione fiscale. Nonostante ciò, però, gli italiani continuano ad essere un popolo che crede nelle proprie capacità imprenditoriali, e che è pronto a sfidare la sorte e il delicato assetto economico per realizzare il proprio sogno imprenditoriale. Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia operano 63,8 imprese ogni mille abitanti, un tasso di concentrazione tra i più alti in Europa, e se è vero che sono molte le attività che sono state costrette a chiudere a causa della crisi, altrettante sono le startup che ogni anno decidono di lanciarsi sul mercato. Le motivazioni che portano alla costituzione di un’azienda possono essere suddivise in tre macro categorie: aziende nate per clonazione; aziende frutto di successione; aziende nate da grandi idee. Ognuna di queste tipologie ha in sé determinati punti di forza ma, al tempo stesso, è soggetta a specifiche minacce. Le aziende nate per clonazione sono le aziende familiari, che applicano un meccanismo di recruiting vecchio stampo: mio figlio, mio nipote, figli di amici, o comunque persone fidate. Spesso i giovani che iniziano a lavorare in questo modo, una volta imparato il “mestiere” decidono di aprire la loro azienda ed offrono ai clienti dell’ex-capo lo stesso prodotto, ma ad un prezzo più basso. Queste aziende basate principalmente su una politica di prezzo sono destinate a chiudere non appena il mercato cambia. Le aziende frutto di successioni sono aziende familiari in cui il passaggio generazionale avviene quando il capo decide di andare in pensione, lasciando il comando dell’attività al giovane figlio 40/50 enne. Il parco dipendenti è spesso coetaneo del capo uscente, nonché padre dell’attuale leader, per cui il tutto va rifondato. Il rischio in questo tipo d’impresa è che fallisca a causa dell’incapacità del successore di implementare, o almeno replicare, le dinamiche organizzative del fondatore. Negli ultimi anni sono nate moltissime start up, aziende innovative fondate su grandi idee, ma spesso gestite da tecnici che niente hanno a che fare con il mondo imprenditoriale. Queste imprese rischiano di non riuscire a decollare, o di avere vita breve, a causa dell’eccessivo orientamento al prodotto, senza avere un adeguato supporto sul fronte manageriale. E’ indispensabile dire che senza un’adeguata preparazione del suo leader, qualsiasi azienda chiude entro i primi 5 anni. Spesso nei miei corsi di formazione mi viene chiesto di parlare della figura dell’imprenditore, proprio perché molti che si ritrovano a capo di un’attività non hanno una vera cultura imprenditoriale. Possiamo sintetizzare in questi pochi punti le chiavi per gestire al meglio un’azienda.

L’imprenditore deve essere un buon venditore. Deve vendere la sua idea d’impresa: ad altre persone per farle lavorare alla sua idea; alle banche, per farsi finanziare; ai clienti che diventano i primi finanziatori dell’impresa; ai fornitori che devono affiancare la sua idea imprenditoriale;

deve avere capacità di visione e leadership, l’imprenditore deve essere carismatico, deve avere coerenza, una visione chiara e deve diventare un catalizzatore di talenti in azienda. Competenza primaria: “capire le persone”, che si tramuta in capacità di reclutare personale, clienti, fornitori;

deve essere curioso di conoscere e di imparare. Il primo investimento che deve fare è sulle sue competenze: “chi non si forma si ferma”;

deve avere un’altissima capacità organizzativa, per gestire flussi di informazioni per se e per i collaboratori;

deve capire quando è il momento di lasciare. Questo vale anche sulle attività di delega più semplici. Spesso si entra in un delirio di onnipotenza nel quale si pensa di poter controllare tutto, e che tutti dovrebbero essere come lui… rischiando di diventare così il nemico numero 1 della sua stessa creatura.

RAPPAZZO: Il marketing come risposta comprensibile a una domanda posta

«Non esiste niente di più incomprensibile della risposta a una domanda che non si pone» (Reinhold Niebuhr). Niebuhr, teologo protestante americano, si riferisce evidentemente alla fede che se non si presenta come risposta ad un anelito umano rimane, se rimane, un orpello inutile. Del marketing Kotler ne definisce il punto di partenza con “i bisogni e i desideri umani”  e il teologo ci ricorda che una proposta, un prodotto o un servizio che non corrispondono alla reale esigenza del nostro interlocutore sono ad egli “incomprensibili”, cioè assurdi. Anzi, Niebuhr dice in proposito qualcosa in più poiché parla di una domanda che non si pone. Il che non significa che il bisogno e la necessità non vi siano, ma che non se ne abbia piena consapevolezza. In psicologia il bisogno è definito come la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della persona. Alcuni studiosi, della corrente chiamata “psicologia umanistica”, hanno elaborato teorie che costruiscono una gerarchia dei bisogni secondo una scala suddivisa in differenti livelli che vanno da quelli primari, riguardanti la sopravvivenza, ai più articolati, inerenti la sfera sociale. Il modello più noto di scala di bisogni è la Piramide di Maslow (dal nome del suo ideatore Abraham Maslow), ma non ci addentreremo ora in questo studio se non per accennare a un elemento critico di questa teoria che prevede che l’individuo si realizzi passando per i vari stadi, passaggio che avviene solamente dopo la soddisfazione dei bisogni di grado inferiore. Il che non è sempre verificabile in realtà, poiché non è detto che il bisogno di amicizia e di affetto familiare, che nella Piramide appartengono al terzo livello, può trovare soddisfazione solamente dopo aver appagata la necessità di nutrirsi. Della psicologia umanistica riteniamo, invece, come significativa, la constatazione che i bisogni sono comuni a tutti gli uomini e che, per questo motivo, essi, attraverso la personale capacità di soddisfare i propri bisogni, possono comprendere le necessità degli altri uomini. Se un uomo ha come fine quello di contribuire al miglioramento dell’esistenza delle altre persone attraverso il proprio lavoro, ciò è possibile perché riconosce di avere con i suoi simili un comun denominatore che gli permette di interpretarne e comprenderne le necessità e di offrire loro soluzioni “comprensibili” sulla base della sua esperienza, perché condivide con essi un’origine universale che accomuna bisogni ed esigenze. E questo è il compito del marketing.

Contatti: rappazzo@forfabrica.com

RAPPAZZO: Il marketing come interpretazione e risposta a un bisogno

Vincenzo Rappazzo, esperto di marketing, senior partner Forfabrica

«Se vuoi vendere qualcosa non devi spiegare cosa vendi, devi regalare un’emozione!» (Maurizio Crozza nel “Paese delle Meraviglie”). Abbiamo già discusso del sentire comune che identifica il marketing in un apparato che controlla e condiziona la nostra vita. Iniziando, però, a conoscerlo meglio abbiamo appreso che riguarda aspetti della nostra vita quotidiana di cui siamo protagonisti perché relativi allo scambio di prodotti e servizi. «Molti vedono il marketing solo nei suoi aspetti tattici, vale a dire molta pubblicità e promozione vendite. Ma così vedono solo la punta dell’iceberg». (Kotler,  “300 risposte sul marketing”. Se non ci accontentiamo della punta dell’iceberg che emerge, potrebbe valer la pena di approfondirne la conoscenza per comprenderne i concetti su cui si basa e che rimangono nascosti sott’acqua. Leggiamo quale definizione fornisce lo stesso Kotler di marketing: «Il marketing è il processo sociale mediante il quale una persona o un gruppo ottiene ciò che costituisce oggetto dei propri bisogni o desideri creando e scambiando prodotti e valore con altri». Questa definizione non parte dai prodotti, bensì da un elemento trascurato: all’origine dello scambio vi sono dei bisogni. L’uomo si adopera per soddisfare, trovare le risposte adeguate ai propri bisogni. Se un bisogno è all’origine dello scambio, prima di questo vi è tutto il lavoro per realizzare gli oggetti idonei. Quindi le produzioni di beni e servizi, di qualunque natura, hanno la loro corrispondenza in un bisogno diffuso o particolare che sia. La dignità e l’utilità di qualunque attività e di ogni impresa risiedono nel tentativo di rispondere agli infiniti bisogni che riempiono la vita degli altri uomini. Il motore dell’iniziativa umana, dei progetti, piccoli o grandi che siano, di ogni uomo ha come fine quello di contribuire al miglioramento dell’esistenza delle altre persone. È vero che il marketing non deve spiegare cosa vende ma, piuttosto, interpretare e comprendere le necessità di persone a cui offrire soluzioni alle loro specifiche esigenze. In questo senso elargisce un’emozione. E questo è il compito del marketing.

Contatti: rappazzo@forfabrica.com

MORETTI: Con la riforma del Fondo 394/81 più agevolazioni a supporto dell’internazionalizzazione

 

Lorenzo Moretti, consulente sulla finanza agevolata per l’internazionalizzazione

 

Dopo un lungo percorso legislativo , nello scorso mese di luglio sono finalmente entrate  in vigore le modifiche normative previste dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 21 dicembre 2012 in merito alle modalità d’intervento degli strumenti agevolativi contenuti all’interno del Fondo N°394/81, attraverso i quali si sviluppa una quota importante del supporto pubblico ai programmi di espansione commerciale  delle imprese italiane nei mercati extra – UE. Tra le novità più rilevanti introdotte dalle suddette modifiche si segnalano, in particolare:

 

a) la destinazione alle piccole e medie imprese (PMI) di una quota annua del 70% delle risorse stanziate per il Fondo Legge 394/81 , ad evidenza della volontà, da parte del Legislatore, di concentrare l’azione del supporto pubblico soprattutto sulle iniziative proposte dalle piccole-medie imprese;

 

b) l’ampliamento dei soggetti che possono accedere a queste agevolazioni : potranno infatti essere presentate domande di finanziamento non più solo da imprese in forma singola ma anche da parte di un’ aggregazione di imprese per un medesimo progetto;

 

c) la riduzione delle garanzie previste a carico delle PMI per l’erogazione del finanziamento e che , in presenza di determinati requisiti di bilancio e di merito creditizio,  potrà arrivare fino al 60 % del finanziamento  concesso;  

 

d) la creazione di un nuovo strumento agevolativo , solo per le PMI , che prevede un finanziamento al tasso fisso dello 0.5% , delle spese previste per la partecipazione, in qualità di espositori , a fiere in Paesi al di fuori dell’ UE alle quali non abbiano mai partecipato in precedenza; 

 

e) la riattivazione del finanziamento agevolato è finalizzato alla patrimonializzazione delle piccole-medie imprese esportatrici costituite in forma di SpA  che abbiano realizzato, negli ultimi tre anni bilanci, una  quota media di export pari ad almeno al  30% del fatturato aziendale.

 

Tra i programmi di internazionalizzazione che possono accedere agli incentivi finanziari messi a disposizione dello Stato con questa riforma si evidenziano, in particolare,  i seguenti:

 

a) Programmi di inserimento commerciale in mercati  extra –UE: in quest’ambito è previsto un finanziamento agevolato per supportare programmi di spesa delle imprese italiane finalizzati alla creazione di strutture commerciali  in mercati extra – UE (filiali di vendita, uffici commerciali, magazzini, show-room, e anche un negozio) che siano dedicate alla diffusione di prodotti e/o servizi a marchio italiano. Il finanziamento copre l’85% delle spese previste per la creazione ed il funzionamento corrente dei primi due anni di attività della struttura (allestimento ed affitto dei locali, utenze, personale impiegato presso la struttura locale, consulenze per il progetto, viaggi ) e le spese per attività promozionali (partecipazione a fiere, consulenze per il progetto, pubblicità, organizzazione d’incontri promozionali, sponsorizzazioni, formazione del personale inserito nella struttura locale) . Il finanziamento ha un tasso fisso dello0.5%,  con una durata di rimborso di sei anni, di cui due anni di preammortamento e deve essere garantito con fidejussione bancaria sia pur con la possibilità di beneficiare di una riduzione della stessa in misura max. del 60% . L’erogazione del finanziamento avviene a fronte della consuntivazione delle spese sostenute dall’impresa italiana per la realizzazione del programma . E’ prevista comunque la possibilità di richiedere un’anticipazione fino al 30% del finanziamento deliberato . Nel programma di spese proposto dall’impresa è  prevista anche la possibilità di inserire i costi previsti per le attività promozionali da realizzarsi oltreché nel Paese in cui ha sede la struttura commerciale dell’azienda , anche in altri due Paesi della medesima area geo-economica .  

 

b) Programmi di partecipazione di piccole-medie imprese a fiere in Paesi extra –UE:In questo caso il legislatore ha creato uno strumento totalmente nuovo nel panorama normativo nazionale, con l’attivazione di un finanziamento agevolato per la spese previste per la partecipazione a fiere o mostre  in  Paesi extra –UE, alle quali l’impresa non abbia mai partecipato in precedenza come espositore. Il finanziamento , al tasso fisso dello 0.5% , copre l’85% fino ad un massimo di € 100.000 della spesa prevista, in un periodo di massimo di 18 mesi,  per la partecipazione alle fiere (allestimento ed affitto spazi espositivi , personale esterno fornito dall’Ente organizzatore della fiera, spese di  gestione dello spazio espositivo, consulenze, materiale pubblicitario). Il rimborso è previsto in un arco temporale di quattro anni.  L’erogazione del finanziamento ha luogo con le stesse modalità previste per i programmi d’inserimento commerciale. E’ bene considerare che, come regola generale, tutte le linee di finanziamento contenute nel Fondo 394, agevolano le spese che vengono sostenute dall’impresa dopo la presentazione della domanda  di finanziamento . E’ quindi fondamentale , per poter utilizzare al meglio le potenzialità di questi strumenti, valutarne il potenziale ricorso prima di avviare i programmi di spesa.

 

 Per informazioni e approfondimenti: lorenzo_moretti@fastwebnet.it

 

 

 

 

 

RAPPAZZO: Il marketing ci condiziona la vita. Anche quella di imprese e imprenditori

Vincenzo Rappazzo, esperto di marketing, senior partner Forfabrica

«Non c’è attività umana dove non regni il marketing: ci condiziona la vita e tutte le scelte». (Maurizio Crozza nel Paese delle Meraviglie). Crozza interpreta il sentire comune che identifica il marketing con una forza occulta che manovra decisioni che vengono involontariamente subite. Ma è veramente questa la funzione di questo sconosciuto che negli ultimi 50 anni è diventato una disciplina? Infatti la prima edizione del libro “Marketing Management” scritto da Philip Kotler – universalmente riconosciuto come colui che ha strutturato in maniera scientifica questa materia – è uscita nel 1967 e, ancora oggi, è utilizzato come libro di testo dalla stragrande maggioranza degli studenti di economia delle scuole di tutto il mondo. Il marketing è, dunque, un’invenzione dei tempi moderni? Ma di cosa si occupa il marketing? Iniziamo dal significato del vocabolo: la parola marketing è il gerundio del verbo inglese “to market”, che in italiano si può tradurre con “vendere al mercato”. Quindi parliamo di un’attività con cui qualunque persona si confronta quotidianamente, nel ruolo di venditore oppure nella veste di acquirente, che è costituita dallo scambio di due beni tra due persone (o gruppi) ognuna interessata a quanto viene offerto dall’altra. Tornando alla domanda precedente, è evidente che la transazione di beni non è un’invenzione del secolo scorso mentre, invece, lo è certamente l’organizzazione delle attività necessarie affinché lo scambio sia efficace e gratificante per le parti coinvolte. Leggiamo cosa risponde Kotler al riguardo:  «Il marketing è nato con i primi esseri umani. Nella Bibbia […] Eva convince Adamo a mangiare la mela proibita. Tuttavia, Eva non è stata la prima a fare marketing: è stato il serpente a convincerla a “vendere” la mela ad Adamo. Il marketing come disciplina è apparso negli Stati Uniti nella prima parte del XX secolo, tra gli insegnamenti dei corsi sulla distribuzione, in particolare la vendita all’ingrosso e al dettaglio, gli economisti, nella loro passione per la pura teoria, avevano trascurato le istituzioni che contribuiscono al funzionamento dell’economia stessa. […] Così i primi studiosi di marketing hanno riempito le lacune intellettuali lasciate dagli economisti. In ogni caso l’economia è la scienza madre del marketing». In un certo senso è vero che il marketing ci condiziona la vita poiché riguarda parecchi aspetti della nostra esistenza quotidiana: il lavoratore, autonomo o dipendente che sia, scambia tutti i giorni le sue prestazioni con una remunerazione.  Non si tratta, però, di una costrizione perché un processo di scambio – di vendita da una parte e di acquisto dall’altra – ci torva coinvolti e possiamo, per la nostra parte, influenzarne l’andamento. E questo è il compito del marketing, come vedremo nei prossimi articoli.

Contatti: rappazzo@forfabrica.com

 

 

CAVALLI: Con il temporary manager le giuste competenze per il tempo che servono

Franco Cavalli, partner Actiss Italia (fcavalli@actisspartners.it)

Nella vita di un’azienda ci sono fasi in cui gli obbiettivi di sviluppo e, o, quelli di rilancio delle attività, richiedono risorse e competenze aggiuntive rispetto alle disponibilità interne dell’azienda stessa. Per comprendere questo scenario basta rifarsi a situazioni che fanno parte dell’esperienza di molte piccole e medie aziende: la riorganizzazione di una unità produttiva nell’ottica di una sua vendita; l’acquisizione di un ramo di azienda; l’avvio di una nuova area di business; l’apertura di nuovi mercati esteri; il governo di periodi di transizione dovuti a passaggi generazionali nella direzione d’impresa; la necessità di uno sviluppo manageriale della vecchia dirigenza aziendale, senza voler ricorrere a cambiamenti traumatici, ecc. Ognuna di queste situazioni ci presenta contesti in cui necessita un “cambiamento organizzativo” e la struttura direzionale delle nostre aziende, che spesso grava direttamente sull’imprenditore, viene messa di fronte ad un “extra – impegno” che spesso rischia di mettere in crisi l’azienda, pur in uno scenario di sviluppo. A volte si tratta semplicemente di introdurre modalità nuove di gestione e capacità manageriali nuove, ma non si vuole, giustamente, mettere in crisi il sistema di relazioni interne fondate sulla dedizione e la conoscenza consolidata dei propri collaboratori. L’attenzione durante queste fasi è legata alla valutazione delle risorse manageriali interne all’azienda, compresa la preziosa risorsa dell’imprenditore: ho a disposizione le risorse professionali necessarie ad affrontare questo passaggio? Se sì, quali problemi possono sorgere alla gestione corrente nel caso la risorsa venga dedicata a questo nuovo impegno? Se no, come posso trovare le competenze che servono o, in alternativa, come rimpiazzare la risorsa interna dedicata destinata a questo nuovo progetto? In parallelo a queste considerazioni sulla disponibilità delle competenze adeguate, si pongono le valutazioni sulla prospettiva temporale che questi interventi richiedono: per quanto tempo dovrò sostenere questo “extra impegno organizzativo”? La soluzione organizzativa che sto prospettando è temporanea o rappresenta “la nuova organizzazione” del mio business? Le competenze manageriali che devo mettere in campo, devono rispondere ad un picco di fabbisogno o rappresentano un salto di qualità permanente nella gestione della mia azienda? In fine, quali costi di personale mi comporta la soluzione organizzativa che devo attuare? Se devo acquisire una nuova competenza manageriale, devo fare un’importante investimento in termini di costi di struttura, è opportuno per un coprire un fabbisogno temporaneo?

Queste valutazioni, che coniugano i progetti aziendali con le condizioni organizzative per la loro realizzazione sono discriminanti nella scelta tra il procedere verso il nuovo o mantenere lo stato attuale e, spesso, l’impossibilità della direzione aziendale a far fronte ad ulteriori sfide limita l’azienda nel raccogliere nuove opportunità. Le soluzioni ideali richiederebbero il mantenimento di condizioni di flessibilità nell’ utilizzo della risorsa manageriale richiesta, per il tempo necessario e con un costo temporaneo che non necessariamente si tramuti in un investimento fisso. Servirebbe la giusta competenza per il tempo che serve, ovvero la possibilità di disporre di un profilo professionale con le competenze necessarie, maturate in anni di responsabilità a vari livelli, in aziende differenti, nei settori di nostro interesse, e in contesti organizzativi da cui sarebbe interessante acquisire la cultura gestionale. Nelle nostre piccole e medie aziende vi è spesso la necessità di manager capaci di coniugare al meglio diverse competenze: capacità esecutiva abbinata ad una capacità decisionale più marcata; velocità di comprensione e valutazione del contesto operativo; capacità di inserimento in una dinamica aziendale consolidata e spinta al cambiamento in sinergia con l’azione dell’imprenditore. Comunque con l’obbiettivo di raggiungere i risultati prefissati nel tempo indicato. La risposta a queste esigenze sta nel Temporary Manager. Da non confondersi con il “consulente”, il Temporary Manager è impegnato direttamente sulla linea, insieme alla proprietà a cui risponde, nel rendere esecutivi i progetti assegnati, raggiungendo gli obiettivi operativi condivisi in sintonia con la realtà aziendale nella quale opera. Actiss Italia ben conosce le esigenze delle nostre aziende e mette al loro servizio competenze e professionalità utilizzabili “a tempo” o “a progetto”, altrimenti difficilmente selezionabili e accessibili. Aiuta le imprese a realizzare i loro progetti strategici e lavora per lo sviluppo di medio periodo con competenze operative specifiche.

 

BASSI: Team Up Work, più risorse per i piani industriali delle pmi

MILANO – «Con la costituzione e la quotazione a Piazza Affari di Team Up Work intendiamo colmare il gap che si è creato tra la finanza e l’economia reale, quella rappresentata da micro, piccole e medie aziende industriali, contribuendo a salvaguardare e valorizzare il patrimonio industriale italiano, sviluppare il know how tecnico e commerciale delle pmi e coinvolgere le competenze di manager specializzati in diversi settori della produzione e del terziario»: ha le idee chiare Carlo Bassi, fondatore e amministratore delegato di BacktoWork24, l’innovativa piattaforma di matching tra imprenditori, manager e investitori, nel presentare la nuova “creatura”. Nell’intervista che segue, a cui interviene anche Euan Lonmon, responsabile sviluppo di Team Up Work, ne scopriamo obiettivi e programmi.

Perché Team Up Work? E’ l’ennesimo fondo d’investimento “mordi-e-fuggi” inventato dai creativi della finanza?

Bassi: «Certamente no: Team Up Work è una holding di partecipazione, nata a inizio 2014 per porsi quale soluzione e supporto allo sviluppo industriale di micro, piccole e medie imprese, che vogliono partecipare alla ripresa economica ma devono anche saper cogliere tre opportunità: una maggior disponibilità finanziaria per nuovi investimenti, la possibilità di portare eccellenze manageriali al loro interno, l’occasione di entrare da protagoniste in un mercato molto più ampio ma anche molto più difficile da definire nei suoi canali e nelle sue nicchie».

Come intende operare questa holding di partecipazione?

«In sostanza Team Up Work è una Spa che vuole acquisire quote di partecipazione e di governance “intelligente” in aziende dove sono presenti almeno due criteri: una potenzialità di sviluppo individuata alla luce di un piano industriale e una possibilità di strutturazione delle responsabilità tale da poter co-gestire l’azienda. Infatti l’intervento di partecipazione dei soci di Team Up Work, che sono tutti manager di provata esperienza nei più importanti settori dell’industria e del terziario, è anche gestionale e non solo capitalistico».

Qual è la differenza rispetto a un comune fondo d’investimento?

Lonmon: «Rispetto a un fondo, che ha esigenze prioritarie di remunerazione dell’investimento a breve-medio termine, la nostra holding “sposa” la causa del piccolo imprenditore condividendo sul lungo termine i rischi e le opportunità dello sviluppo industriale. E questo vale per tutte le aziende partecipate, perché si ottengono dei vantaggi evidenti, a cominciare dall’atomizzazione del rischio e dalla possibilità di diventare come holding un soggetto attrattivo anche per investitori istituzionali, italiani ed esteri, rassicurati dalla trasparenza delle partecipazioni e dalla quotazione in Borsa. Ci sono diversi fondi e compagnie tedesche molto interessati ad acquisire quote di partecipazione in piccole imprese italiane ad alto valore tecnologico aggiunto. Team Up Work è lo strumento per consentire all’imprenditore di veder affluire capitali freschi senza perdere il controllo della sua azienda».

Come avviene la selezione delle imprese da partecipare?

«Abbiamo già individuato una ventina di imprese che hanno i giusti requisiti per entrare nella “squadra” di Team Up Work. Proprio perché siamo manager con esperienza in ambiti industriali, siamo in grado di valutare la realtà e la prospettiva di un’azienda senza limitarci alle dimensioni di organico, al volume di fatturato o alla quadratura dei bilanci, ma individuandovi il potenziale ancora inespresso o una novità da sviluppare. L’industria è la nostra vera ricchezza e non vogliamo vederne svuotato il contenuto di know how, fondato su trenta, quarant’anni di eccellente attività imprenditoriale. Ci sono aziende che hanno capacità e potenzialità ma magari non hanno il mezzo milione di euro necessario per dare una svolta tecnologica o commerciale, e che forse tra due/tre anni avranno anche problemi di governance per mancanza di ricambio generazionale. Noi possiamo proporre una soluzione logica in modo sistemico, creando opportunità d’investimento senza veder scomparire le aziende».

In sostanza, la finanza diventa strumento vero di supporto all’economia…

Bassi: «Il nostro strumento aumenta la quantità di capitale trasferibile verso la micro e piccola impresa, attraverso la funzione di un manager che sarà sempre determinante perché è il garante della governance del progetto strategico della singola impresa partecipata. E’ in questo concetto che risiede la finalità sociale di Team Up Work: non siamo l’ennesimo prodotto della finanza creativa, ma gli interpreti della capacità industriale in senso lato della pmi italiana, attraverso la patrimonializzazione della ricchezza industriale.  Dare supporto alle aziende significa mantenere occupazione e benessere sociale. Noi non facciamo selezione in funzione dei settori industriali; è innovativo anche chi sa realizzare un nuovo processo di produzione dei mobili di legno in Brianza. Non è un approccio esclusivo ma inclusivo, e ha la portata di un progetto di sistema perché ha l’obiettivo di moltiplicare gli investimenti non su quei tre/quattro target a più rapido valore di rendimento, ma su chi ha una prospettiva di lunga gittata».

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