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CONFARTIGIANATO: Il mobile made in Lombardia va alla conquista di Russia e Cina

Quando si parla di mobile, l’innovazione parte dal cuore della Lombardia per conquistare i nuovi mercati di Russia e Cina. È quanto conferma lo studio appena pubblicato dall’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia, che analizza la dinamica delle imprese lombarde di fabbricazione di mobili. Sono i mercati extra europei la risorsa per i mobili Made in Lombardia. Le 5.887 imprese che operano nel settore della fabbricazione dei mobili in Lombardia, di cui quasi i due terzi artigiane (il 62,8%, pari a 3.699 imprese), sono il risultato di una forte selezione che ha fatto registrare un calo del numero di aziende dell’11,9% negli ultimi 4 anni (IV trimestre 2013 rispetto al IV trimestre 2009). Le possibilità di salvarsi dalla crisi sono in gran parte legate all’export, in crescita del 4,4% nell’ultimo anno, con un valore più alto di due punti rispetto all’incremento verificatosi a livello nazionale (+2,3%). Le vendite di mobili rappresentano inoltre il 2,1% del valore totale delle esportazioni di prodotti lombardi, pari a 2.232 milioni di euro, e si concentrano per il 90,5% nelle province di Monza-Brianza (34,1%), Como (25,9%), Milano (14,9%), Brescia (8,7%) e Bergamo (6,9%). A guidare la crescita è l’incremento dell’export sui mercati extra UE, con un aumento delle vendite del 10,8% che risolleva il calo del 2,5% sui mercati europei. A crescere sono in particolare le esportazioni verso la Russia (+16,6%), la Cina (+16,2%), la Svizzera (+9,6%) e gli Stati Uniti (+7,2%), che scalano la classifica dei mercati di destinazione guadagnando ogni anno posizioni. Il settore del mobile lombardo si distingue per la propensione ad innovare. Altra cifra distintiva dei produttori di mobili lombardi è il forte orientamento all’innovazione: al punto che il Distretto del Mobile della Brianza è in cima alla classifica dell’Indice Confartigianato del contesto per l’innovazione dei Distretti, superando settori considerati più innovativi quali biomedicale e meccatronica.

INDICE IFIIT: ripresina in aprile, ma solo un terzo degli imprenditori avvia investimenti in innovazione tecnologica

MILANO – Forte rallentamento degli investimenti produttivi, calo della propensione ad investire in innovazione e crisi dei modelli produttivi. E’ questa in sintesi la fotografia scattata in un rapporto frutto di una ricerca congiunta tra Istat e Csea (Centro studi di economia applicata dell’Università Cattolica di Milano). Sono state monitorate le attività di 5 mila aziende italiane del settore manifatturiero (tra queste 1.100 lombarde). Il rapporto ha messo in evidenza che “solo il 33% delle imprese manifatturiere sta investendo in macchinari e impianti mentre prima della crisi lo facevano 92 imprese su 100”. Queste valutazioni sono del tutto in linea con quanto da mesi rileva l’Indice Ifiit (Indice di fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica), che fissa a 33,10 il numero di sintesi del mese di aprile, in lieve recupero da marzo.  Il clima del mercato resta stabile nella sostanza, con una certa riluttanza ad investire in nuove attività produttive se queste non sono fortemente contrassegnate da un’aspettativa di sviluppo delle attività commerciali sui mercati esteri. Si intensifica il fenomeno che in altri report di Ifiit era stato indicato come “arcipelaghizzazione del tessuto produttivo”, nel senso che restano a galla i distretti e le filiere che rappresentano o un’eccellenza o un nodo di rilievo all’interno di reti produttive estese a livello internazionale, mentre soffrono le imprese e le attività che vivono di prevalente o di solo mercato interno. I migliori segnali di fiducia giungono dal comparto della fornitura di prodotti automotoristici, le cui aziende hanno ripreso in mano progetti di innovazione con un certo vigore. Nella sostanza resta stabile il quadro già emerso nei precedenti report. Resta alta e superiore alla media la propensione ad investire in innovazione tecnologica nei settori: arredamento, meccanica fine, energia, farmaceutica. Nella media i comparti: moda, lusso, abbigliamento, bancario, assicurativo e telecomunicazioni. Al di sotto della media i comparti: edilizia, commercio, oltre alle categorie professionali e alle micro e piccole imprese. Circa l’80% degli intervistati ribadisce come si stia allargando il gap di competitività tra il nostro sistema-Paese e quello delle altre nazioni europee più avanzate.

INDICE IFIIT: ripresina in marzo, ma solo un terzo degli imprenditori avvia investimenti tecnologici

MILANO – Forte rallentamento degli investimenti produttivi, calo della propensione ad investire in innovazione e crisi dei modelli produttivi. E’ questa in sintesi la fotografia scattata in un rapporto frutto di una ricerca congiunta tra Istat e Csea (Centro studi di economia applicata dell’Università Cattolica di Milano). Sono state monitorate le attività di 5 mila aziende italiane del settore manifatturiero (tra queste 1.100 lombarde). Il rapporto ha messo in evidenza che “solo il 33% delle imprese manifatturiere sta investendo in macchinari e impianti mentre prima della crisi lo facevano 92 imprese su 100”. Queste valutazioni sono del tutto in linea con quanto da mesi rileva l’Indice Ifiit l’Indice di fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica) – 32,70 il numero di sintesi del mese di marzo – e cioè che in questo periodo solo un terzo della base imprenditoriale sta avviando progetti e/o programmi di investimento in innovazione e di miglioramento della qualità produttiva. Le aree geografiche dove la fiducia verso gli investimenti mostra i valori più alti restano nell’ordine la Lombardia, il Triveneto, l’Emilia Romagna, il Piemonte e il Lazio. Le medie e le grandi aziende internazionalizzate continuano a rappresentare il pilastro delle attività di investimento. In luce anche i gruppi che costituiscono un nodo di sub-fornitura di imprese nord-europee (tipicamente tedesche, olandesi e svizzere) che cominciano a irrobustire il senso della ripresa. Peggiora invece il quadro delle categorie professionali, delle micro e delle piccole imprese, oltre al settore delle costruzioni. Resta alta e superiore alla media la propensione ad investire in innovazione tecnologica nei settori: meccanica fine, energia, farmaceutica, trasporti, lusso. Nella media i comparti bancario, assicurativo e telcom, mentre una tendenza al miglioramento connota i settori della moda, dell’abbigliamento e dell’arredo. Restano infine molto deboli i comparti dell’edilizia e del commercio, insieme all’agricoltura e all’industria estrattiva (soprattutto cave per marmo e per ghiaia). La maggior parte degli intervistati del campione di riferimento di Ifiit conferma la convinzione che si stia allargando il gap di competitività tra il nostro sistema-Paese e quello delle altre nazioni europee più avanzate con le quali siamo chiamati a confrontarci.

RAPPORTO IREX: l’industria delle energie rinnovabili punta su innovazione e mercati emergenti

BRUXELLES – Acquisto di impianti eolici e solari, diversificazione internazionale su mercati emergenti, razionalizzazione gestionale ed innovazione tecnologica. Sono questi gli ingredienti della ricetta che le maggiori imprese mondiali delle energie rinnovabili hanno utilizzato per far fronte alla crisi del mercato. Althesys ha analizzato 359 tra decisioni d’investimento, fusioni e acquisizioni, accordi di cooperazione e altre operazioni societarie, condotte dalle 50 protagoniste del settore mondiale delle rinnovabili nel 2012 e nella prima metà del 2013.  I risultati dello studio sono raccolti nel secondo Rapporto Annuale Irex International. «Analizzando le strategie dei migliori giocatori in campo, si ottiene una interessante chiave di lettura delle tendenze del settore delle rinnovabili nel suo complesso», dice Alessandro Marangoni, ceo di Althesys e capo del team di ricerca per l’Irex International Report. «Nei primi mesi del 2014 abbiamo visto come queste scelte abbiano aiutato molte imprese a imboccare la via della ripresa: la maggiore efficienza, la riduzione della sovraccapacità e lo spostamento verso mercati caratterizzati da forti investimenti nelle energie rinnovabili stanno dando buoni risultati in termini di crescita dei ricavi e di ritorno alla redditività». Secondo Althesys lo sviluppo delle rinnovabili è stato influenzato dai differenti modelli di mercato adottati nei diversi Paesi. Un dato fondamentale nell’attuale dibattito sulle politiche energetiche in Europa e che assumerà un valore discriminante nei programmi che verranno presentati nelle prossime elezioni per il Parlamento Europeo. Il valore complessivo delle operazioni analizzate da Althesys ammonta a 83,3 miliardi dollari, la maggior parte dei quali è stata destinata dai 50 maggiori operatori del settore a investimenti in nuova capacità produttiva, con 280 impianti per un totale di 30,1 gigawatt con un costo di 69,4 miliardi dollari. Sebbene la gran parte dei nuovi impianti di energia pulita siano ancora installati in Europa, l’analisi mostra un ruolo sempre più importante dei mercati emergenti, pari al 31,5% delle operazioni e il 29,3% dei megawatt di capacità installata. L’industria eolica, in particolare, è sempre più globale, con investimenti crescenti nei Paesi in via di sviluppo. È la prima volta infatti che l’importo degli investimenti nei Paesi emergenti ha superato quello in regioni industrializzate. I tassi di crescita più elevati si registrano in America Latina e Europa orientale. In Cina, in particolare, la produzione eolica è aumentata più dell’energia prodotta con il carbone e per la prima volta ha superato la potenza prodotta dell’energia nucleare. Si registrano contemporaneamente sovraccapacità di produzione e spinte centrifughe per i produttori più deboli, costretti a fronteggiare a una forte concorrenza sui prezzi da parte dei maggiori operatori. Per quanto riguarda operazioni di fusione, acquisizioni e accordi di cooperazione, il segmento principale è risultato quello del solare fotovoltaico, che da solo costituisce il 40% del totale delle operazioni e il 50% in termini di megawatt.  Una tendenza indotta dal rallentamento nel settore fotovoltaico e dalle ristrutturazioni e vendite delle capacità in eccesso, da parte dei produttori in difficoltà.  Le operazioni di fusioni e acquisizioni hanno un ruolo rilevante anche per l’eolico, con il 43% di accordi e il 30% della capacità installata. Un risultato importante dovuto alla scelta di diverse utility di acquistare parchi eolici per espandere le loro attività sulle rinnovabili. Un indicatore chiave dello sviluppo futuro è rilevabile dal modo in cui le aziende leader –  soprattutto negli Stati Uniti e in Europa – hanno spinto sull’innovazione tecnologica.. realizzando investimenti tripli delle imprese asiatiche. Le spese aggregate 2012 in ricerca e sviluppo espresse dalle imprese statunitensi ed europee,  sono state di circa 2 miliardi dollari, cioè il 12,6% dei ricavi, contro i 486 milioni dollari e 4,5% dei ricavi investiti in Cina e nei paesi asiatici. «I produttori occidentali hanno puntato molto sull’innovazione, in particolare per aumentare l’efficienza di produzione delle celle fotovoltaiche, in altre parole sulla qualità e non la quantità di prodotti solari. Le aziende fotovoltaiche asiatiche, invece, hanno cercato di competere con l’alta quantità e prezzi bassi», ha commentato Marangoni.

AIRI: Lombardia capofila dell’innovazione in Italia con un terzo dei brevetti nazionali

MILANO – Per le invenzioni sono state 3mila le domande di brevetto del 2013 in Lombardia, su un totale nazionale di circa 9mila. Oltre 2mila brevetti a Milano con Monza, oltre mille a Torino, 728 a Roma, 724 a Bologna. E da Milano parte più di un quinto dei brevetti italiani che richiedono la tutela in Europa (con circa 800 domande su circa 4mila pubblicate annualmente). Sono 32mila le imprese lombarde nell’innovazione, quasi una su quattro in Italia (146mila), di cui a Milano 16mila. Prime Milano con Monza e Brescia. In Europa Milano è al settimo posto  per i brevetti. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati 2013 e 2012 UIBM (Ufficio italiano brevetti e marchi), Epo (European patent office) e Registro delle imprese. Dati che hanno accompagnato lo svolgimento del convegno “L’innovazione tecnologica dell’industria italiana verso la visione Europea del prossimo futuro”, promosso da Airi (Associazione italiana per la ricerca industriale) – e Innovhub Stazioni Sperimentali per l’industria (Ssi). Per il presidente Airi, Renato Ugo, «nel nostro Paese lo stallo che stiamo vivendo dal punto di vista occupazionale e produttivo richiede un piano di sostegno alle aziende che investono concretamente in ricerca e innovazione tecnologica. Si tratta di lanciare un piano che si potrebbe denominare “fiscal technology” che preveda azioni concrete come opportuni sgravi fiscali. Il Governo appena insediato deve fare sue queste opportunità di crescita, che sono sempre state accantonate. A sostegno di questo messaggio si può ricordare un recente studio condotto da Luiss Lab che indica che se in Italia si inizia ad accumulare capitale immateriale (tecnologia, risorse umane, competenze trasversali) con tassi simili a quelli dei Paesi del Nord Europa (accumulo in Italia del 2,1% rispetto al 5,7% della Finlandia) si avrebbe rapidamente un incremento del 2,3% della produttività e quindi della competitività». Lanciare un messaggio per sviluppare un filo tra ricerca, innovazione tecnologica e ripresa industriale per la crescita economica è l’obiettivo che Airi si è prefisso con la pubblicazione di “Le Key Enabling Technologies – Un’occasione per la competitività del sistema industriale italiano”.

ANIE ENERGIA: Per inverter, accumuli e mobilità elettrica il mercato italiano crescerà del 20%

Il 2015 sarà l’anno del rilancio del settore elettrico, con i sistemi di accumulo a fare da traino. Anie Energia prevede infatti per il prossimo anno incrementi di fatturato interno fino al 20% rispetto al 2013, dopo un 2014 ancora a due marce: una prima metà faticosa e una seconda metà nella quale si intravedono segnali di ripresa. Questi i risultati dell’indagine svolta da Anie Energia per il biennio 2014-2015 su un campione rappresentativo di imprese del settore, con la quale vengono analizzati gli andamenti e le prospettive del mercato italiano di sistemi di accumulo (stazionari e automotive), inverter fotovoltaici (connessi alla rete e integrati con sistemi di accumulo) e colonnine di ricarica. Secondo le imprese intervistate, il 2014 sarà ancora un anno difficile, ma i segnali di ripresa appaiono incoraggianti. L’ottimismo è dovuto alle attese regolamentazioni del mercato elettrico in riferimento ai sistemi di accumulo e ai SEU (Sistemi Efficienti di Utenza). AEEG e GSE sono già al lavoro sulle nuove normative di riferimento, che dovrebbero essere pubblicate proprio entro la prima metà dell’anno in corso. Le previsioni di ANIE Energia sono supportate anche dall’outlook positivo dei mercati finanziari, che spesso si rivelano precursori dei cambiamenti di direzione dei mercati produttivi. Sistemi di accumulo stazionari e inverter fotovoltaici integrati con sistemi di accumulo sono i comparti del settore elettrico nei quali le imprese nutrono più fiducia. Il podio lo conquistano i primi, con un incremento di fatturato nel 2015 stimato fino al 20% dal 40% delle aziende e atteso dal 32% come addirittura superiore a questa quota. Per gli inverter integrati con sistemi di accumulo più di un terzo delle aziende prevede invece una crescita superiore al 10%.

Guardando in specifico all’andamento degli inverter fotovoltaici connessi alla rete, un settore particolarmente penalizzato negli ultimi anni, le previsioni restano senza dubbio caute, ma incoraggianti. Per il 2015 più di un terzo delle aziende intervistate prevede, nel confronto con il 2013, un incremento del fatturato nel mercato interno fino al 10%. Il mercato degli inverter fotovoltaici conferma il ruolo determinante dei sistemi di accumulo: analizzando, infatti, l’andamento degli inverter integrati con questi sistemi, si nota come già per l’anno in corso le previsioni siano positive. La metà delle aziende prevede per il 2014 un aumento del fatturato interno fino al 20%, incremento che diventa ben più consistente (80% delle aziende) nel 2015. Il 23% delle imprese ipotizza infatti un incremento fino al 5%, un’analoga quota indica una crescita a un tasso compreso fra il 5% e il 10%, mentre circa il 35% delle imprese si spinge a prevedere una crescita superiore al 10% del fatturato.

Specifica menzione va ai sistemi di accumulo stazionari che si guadagnano il ruolo di traino della ripresa prevista dalle aziende intervistate da Anie Energia. Nonostante la congiuntura critica emergono infatti alcune indicazioni di segno positivo già dal 2014: a testimonianza della dinamicità di questo segmento innovativo e ad alto contenuto tecnologico, il 26% delle imprese intervistate stima nell’anno in corso una crescita del fatturato interno superiore al 20%, che si somma ad un altro 35% per il quale l’incremento del fatturato raggiungerà il 20%. Ancora più positivo il “sentiment” del 2015 per il segmento dei sistemi di accumulo stazionari, secondo il quale il 32% delle imprese prevede una crescita di fatturato superiore al 20%.

Più complicato l’orizzonte per i sistemi di accumulo dell’automotive. Su questo risultato si riflettono le criticità mostrate nel periodo più recente dal settore nel suo complesso, che penalizzano la domanda anche delle tecnologie più innovative. La contrazione del mercato influenza anche le previsioni per il 2015, per il quale tuttavia il 28% delle imprese arriva a prevedere una crescita del fatturato nazionale ad un tasso superiore al 10%.

Ma è il mercato della mobilità elettrica che vive le maggiori criticità, poiché risente della debolezza degli investimenti avviati dagli enti locali a causa degli stringenti vincoli di bilancio: sistemi di accumulo per veicoli elettrici, ma anche colonnine di ricarica presentano il 2014 come un anno di transizione, mentre nel 2015 si dovrebbe assistere a una decisa ripresa della sperimentazione e degli investimenti sia pubblici che privati. Guardando alla tecnologia delle colonnine di ricarica, secondo i dati forniti da Anie CSI – Componenti e Sistemi per Impianti, dopo un 2014 caratterizzato da un andamento di segno negativo o invariato, si intravedono per il prossimo anno spiragli di fiducia che portano il 37% delle aziende a credere in una crescita del fatturato interno, rispetto al 2013, tra il 5 e il 20%, fino ad arrivare ai più ottimisti (il 5% delle imprese intervistate) che stimano un incremento addirittura superiore.

AIPEM: Il 67% delle pmi del nord est esporta ma non sfrutta il marketing sui mercati esteri

UDINE – Oltre i due terzi delle imprese venete e friulane esportano i loro prodotti, ma la metà di queste non supporta l’internazionalizzazione con strategie di marketing e comunicazione. Questo è il dato che si evince dalla ricerca commissionata dal Gruppo Aipem – Vodu all’istituto di ricerca sociale Quaeris. Un’indagine che ha coinvolto le piccole e medie imprese del Veneto e del Friuli Venezia Giulia per conoscere l’orientamento all’esportazione e il grado di efficienza e fiducia nel marketing a supporto di politiche di internazionalizzazione del business. Oltre i due terzi delle imprese friulane e venete sono attive sui mercati stranieri: infatti, il 67,8% delle aziende che hanno partecipato all’indagine dichiarano di avere rapporti d’affari con l’estero. Per le imprese interpellate la capacità di agganciare la domanda estera non è solo una semplice possibilità, ma è un reale asset strategico in quanto l’export incide in media per il 47,5% sul fatturato, quindi di vitale importanza. Il restante 32,2% delle aziende intervistate dichiara comunque la propria propensione per esportare all’estero. Il 61,9% delle imprese esportatrici coinvolte nell’indagine, quando si tratta di approcciare un mercato estero, agisce autonomamente e non attua alcuna particolare strategia, ma allo stesso tempo oltre i due terzi delle intervistate lamenta, tra i fattori esterni all’azienda, difficoltà nel competere sui mercati mondiali a causa dei vincoli legislativi o per la mancanza di partner locali di contatto. Mentre per ciò che riguarda i fattori interni all’impresa circa il 40% dichiara una scarsa conoscenza dei mercati e la mancanza di personale con competenze necessarie ad affrontare queste sfide. Questo aspetto si lega anche alle attività di marketing a supporto dell’internazionalizzazione del business: ben il 47% delle interpellate ammette la necessità di migliorare le proprie attività di comunicazione e marketing, constatando che però non hanno le idee chiare di cosa e come fare. Inoltre ben il 40% delle aziende esportatrici dichiara di non utilizzare in maniera organica modalità di awareness o di engagement attraverso la rete. Chi esporta si affida per il 34% dei casi a consulenti di comunicazione e marketing operanti sui mercati d’interesse, mentre il quasi il 60% degli intervistati svolge l’attività di comunicazione e di visibilità all’estero dall’head quarter italiano, utilizzando personale interno all’azienda (34,3%) o affidandosi ad agenzie specializzate italiane (23,4%).

INDICE IFIIT: battuta d’arresto per gli investimenti, ma il nord continua a credere nella ripresa

MILANO – Battuta d’arresto in febbraio per l’Indice Ifiit (l’Indice di fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica), che segna il passo dopo una tendenza alla lenta risalita del clima di fiducia. Il valore di sintesi dell’Indice scende dai 32,80 punti del mese di gennaio agli attuali 32,50, appena al di sopra dei 32,40 punti registrati a dicembre. Si contrae la propensione ad investire anche nel mondo industriale e manifatturiero. Le aree geografiche dove la fiducia verso gli investimenti innovativi è più alta sono la Lombardia, il Triveneto e l’Emilia Romagna. Si conferma che sono soprattutto le medie e le grandi aziende internazionalizzate il segmento più vivace e attento alla dinamica innovativa. In sofferenza si mostrano le categorie professionali, il settore edile e le micro-imprese. Resta alta e superiore alla media la propensione ad investire in innovazione tecnologica nei settori del lusso, nella meccanica, nel comparto aeronautico e in quello farmaceutico. Nella media i comparti bancario, assicurativo, dell’energia e delle telecomunicazioni. Nella media – ma con una tendenza al ridimensionamento – i settori della moda e dell’abbigliamento, della manifattura generica. Restano infine molto deboli i comparti dell’edilizia e del commercio, insieme all’agricoltura e all’industria estrattiva. La maggior parte degli intervistati del campione di riferimento di Ifiit è convinta che si stia allargando il gap di competitività tra il nostro sistema-Paese e quello delle altre nazioni europee più avanzate con le quali siamo chiamati a confrontarci. «La platea imprenditoriale – commenta Paolo Gila, giornalista economico della RAI e curatore dell’Ifiit) appare stretta in una morsa. Da una parte sta cogliendo i segnali di una ripresa del ciclo economico a livello internazionale che, pur senza robuste convinzioni, appare via via sempre più incoraggiante. Dall’altra viene costantemente depressa dalle inadempienze della sfera politica nazionale, che mostra tutte le sue lacune e incapacità. Non è solo e tanto il carico burocratico e il peso fiscale a generare indifferenza e malumore nella base imprenditoriale e professionale, quanto la mancanza di una visione strategica di medio e lungo periodo. E’ questa la condizione che consente di poter avviare e pianificare investimenti in grado di smuovere la palude nella quale il Paese sembra essersi arenato. Sulla base dei contatti e delle rilevazioni mensili appare in tutta evidenza come la volontà di avviare o innovare attività rimanga ancora rattrappita in attesa di nuove e più confortanti notizie».

INTESA SAN PAOLO: Il Pil positivo del quarto trimestre 2013 “certifica” la fine della recessione

Il dato sulla produzione industriale, tornata a salire su base annua (+1,4% a novembre) dopo oltre due anni di contrazione, “certifica” che nell´industria la recessione è finita. Paolo Mameli, senior economist del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo, rimarca come il mese di agosto sembra aver rappresentato il punto di minimo del ciclo per la produzione e sembra avviata una fase di ripresa. «Sebbene il livello dell´output resti di quasi un quarto inferiore ai massimi pre-crisi – commenta Mameli – il dato conferma la nostra idea che fosse solo questione di tempo affinché il miglioramento del morale delle imprese manifatturiere (evidente già da alcuni mesi) si trasferisse sulle decisioni di produzione delle aziende». L’esperto di Intesa Sanpaolo ritiene che la produzione industriale sia in rotta per un aumento dell´1% t/t nell´ultimo trimestre del 2013, che sarebbe l´incremento più forte da oltre tre anni, «un segnale coerente con la nostra idea di un ritorno a una crescita positiva del Pil già nello scorcio finale dello scorso anno».

Fonte: Finanza.com

VODAFONE: Per le pmi italiane la ripresa cavalcherà le applicazioni hi-tech

Seppure con molti distinguo, la ripresa sembra alle porte anche in Europa e a portata di mano per le pmi. Secondo una ricerca condotta da Vodafone tra ben 17 mila piccole e medie imprese di sei Paesi Ue (Regno Unito, Repubblica d’Irlanda, Germania, Italia, Spagna e Repubblica Ceca), seppure la crisi continui a farsi sentire l’outlook è migliore rispetto a due anni fa. La ricerca riguarda l’impatto che gli investimenti in tecnologia hanno sulle future prospettive di business e di come possono migliorare la produttività, e suggerisce che esiste una forte correlazione tra l’utilizzo di una tecnologia migliore e le performance di un’impresa. La ricerca è stata condotta in primavera in modo trasversale tra pmi operanti in settori che spaziano dal retail alla finanza e alla distribuzione. Ancora una volta le differenze geografiche mostrano un’Europa tutt’altro che unita: in Italia la sensazione di ripresa economica è ancora lontana vista l’attuale crisi, mentre in Irlanda i dati sottolineano che, seppur le condizioni non siano ancora ottimali, le riforme stanno producendo degli effetti positivi. Significativo il fatto che la percentuale più elevata di pmi che esprimono fiducia nel futuro appartiene a due dei Paesi più gravemente colpiti dalla crisi dell’Eurozona : l’88% delle pmi irlandesi e l’83% di quelle spagnole ora si aspetta di aumentare il fatturato e la redditività entro la fine del 2015. Circa la metà delle pmi intervistate ritiene che il business stia migliorando rispetto a due anni fa, e l’88% ha ottenuto vantaggi da investimenti fatti nel miglioramento del servizio al cliente. Una percentuale in rapida crescita delle aziende prevede di aumentare l’uso di servizi di cloud storage, destinata a passare dal 44% al 60% nel corso dei prossimi dodici mesi. I settori di investimento prioritari per le pmi riguardano smartphone e servizi di connettività 4G, specialmente in Italia. La ricerca ha coinvolto 298 pmi italiane, di cui 173 micro, 80 piccole e 46 medie, che hanno evidenziato differenze peculiari rispetto alle altre imprese europee. Il 70% delle imprese italiane coinvolte ha affermato che il benefit maggiore ottenuto dall’adozione della tecnologia mobile nelle aziende consiste nella possibilità di poter lavorare fuori sede, a differenza degli altri paesi europei secondo cui il vantaggio principale è rappresentato da maggiori servizi offerti al cliente. L’Italia offre inoltre la più grande opportunità per le tecnologie mature, come siti web aziendali, adozione di smartphone e tecnologie mobili in generale. (Milanofinanza.it)

UVET AMEX: Con il 4,4% dei biglietti aerei emessi Dubai è ora la prima meta del turismo d’affari

Le imprese italiane cercano nuove opportunità di mercato all’estero come testimonia l’incremento delle trasferte di lavoro nei primi nove mesi del 2013 (+4% rispetto allo stesso periodo del 2012) eppure la spesa complessiva è diminuita del 2%. E’ lo scenario tracciato dalla Business Travel Survey di Uvet American Express, società del Gruppo Uvet specializzata nei viaggi d’affari. Per la prima volta quest’anno Dubai ha superato New York come meta più gettonata tra le destinazioni intercontinentali. Verso Dubai sono stati emessi il 4,4% del totale biglietti aerei intercontinentali da gennaio a settembre 2013 mentre New York si è fermata al 4%, in calo di quasi un punto percentuale rispetto al 2012. Questa tendenza ha incentivato contestualmente, nel 2013, il calo, del prezzo medio dei biglietti aerei da Milano a Dubai, mentre sono aumentati quelli tra Milano e New York come pure tra Roma e New York. Le mete asiatiche sono meno battute dagli uomini d’affari a parte Hong Kong che rimane stabile. Shangai resta la città più frequentata. «Le trasferte intercontinentali – afferma Luca Patanè, presidente del Gruppo Uvet – continuano a trainare i viaggi d’affari e sono cresciute di ben 7 punti percentuali nei primi nove mesi del 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012. Segno che le nostre imprese stanno cercando, oggi più di ieri, nuovi sbocchi di mercato. E’ stabile il numero di trasferte dentro i confini europei, mentre sul territorio nazionale calano ancora i movimenti (-3%)». Parigi, in crescita, si conferma la principale destinazione europea con una quota del 13% del totale dei viaggi d’affari. In lieve calo i viaggi verso Brussels, Francoforte e Monaco. Madrid e Amsterdam, uniche due mete in leggero incremento. Londra rimane stabile. A livello nazionale lo scalo aereo di Roma Fiumicino arretra del 2% sui movimenti interni (28% del totale viaggi d’affari) e Milano è ancora leader (30,9%). Guadagna posizioni l’aeroporto di Napoli Capodichino che raggiunge una quota di mercato del 7%. In crescita Venezia, e in misura minore Bari e Genova. Unica destinazione a perdere terreno è Torino. Stabili gli scali di Palermo e Catania, che è la quarta destinazione italiana dei viaggi d’affari. Il treno è sempre più amato dai manager che viaggiano per lavoro sulla tratta Milano-Roma: + 14% di trasferte su rotaia negli ultimi due anni, eppure c’è sempre un 53% che preferisce l’aereo. L’entrata nel mercato italiano di NTV sulla Milano-Roma e su altre tratte dell’Alta Velocità, come effetto della concorrenza ha fatto calare negli ultimi 2 anni dell’8% (dal terzo trimestre 2011 al terzo del 2013) il costo medio del biglietto ferroviario.

ANTAL: Migliora il mercato italiano, in crescita le assunzioni di manager e impiegati

Il quindicesimo Global Snapshot elaborato da Antal International, società leader nell’ambito della ricerca e selezione di personale in tutto il mondo, ha coinvolto circa 10.500 società appartenenti ai mercati di maggiore interesse a livello globale, indagando il trend di assunzioni e licenziamenti a livello impiegatizio e manageriale sia attuale che in relazione al prossimo trimestre. In linea con le precedenti due edizioni, lo studio ha rilevato un incremento di assunzioni di manager e impiegati in Italia. Si registrano nuovi inserimenti nel  41% delle società intervistate (+1% rispetto a giugno 2013 e +7% su base annua).  Il 15% delle imprese coinvolte nello studio è in fase di ridimensionamento del personale (-2% rispetto ai due Snapshot precedenti) e le stime indicano un’ulteriore riduzione dei licenziamenti nel prossimo trimestre, segno di una maggiore stabilità sul mercato italiano. Le società più attivamente impegnate nella ricerca e selezione di personale sono quelle nel settore dei servizi, che vantano i dati previsionali migliori in relazione al prossimo trimestre. Anche nel settore delle biotecnologie e in quello sanitario le opportunità di lavoro sono destinate a crescere nei prossimi mesi. «Nonostante la ripresa economica globale sia disomogenea, l’aumento delle assunzioni su base mondiale, rispetto ai dati rilevati nella precedente edizione dello Snapshot, rappresenta un segnale incoraggiante», sostiene Tony Goodwin, presidente di Antal. «Dai dati raccolti dalla nostra rete di uffici a livello globale emerge che molte aziende si sono focalizzate sulla stabilità», afferma Vincenzo Trabacca, Managing Director di Antal International Italy. «E’ cresciuta quindi la responsabilità delle imprese di fronte alla scelta di assumere e licenziare. Molte hanno riconosciuto l’importanza di avere al timone manager capaci nonché l’importanza e il valore della fidelizzazione delle risorse in azienda. Al momento, solo il 16% delle aziende intervistate a livello mondiale ha deciso di tagliare l’organico (-3% rispetto a giugno 2013), segno della maggiore stabilità dell’economia globale».

INFOCAMERE: Anche on line le 5.900 imprese coinvolte in progetti di aggregazione

ROMA – Il contratto di rete si conferma per le imprese, di tutte le dimensioni, un’occasione per rispondere alla difficile congiuntura economica e mantenersi competitive sul mercato. Lo segnala Infocamere, la società che gestisce il patrimonio informativo delle Camere di Commercio, indicando che a poco più di tre anni dalla costituzione della prima rete d’imprese, sono coinvolte ormai quasi 5.900 soggetti dall’edilizia alla sanità, dal tessile alle nuove tecnologie, per un numero di contratti che al primo dicembre scorso aveva superato quota 1.200. Infocamere mette a disposizione di tutti un insieme completo di dati sui contratti di rete, un vero e proprio osservatorio sulle imprese, i cui dati saranno oggetto di monitoraggio mensile (http://www.registroimprese.it). Il servizio offre la possibilità di conoscere lo stato di un contratto di rete in ogni fase (da quella di start up fino alla possibile evoluzione), ottenere dati economici ed effettuare analisi aggregate; la completezza e l’ufficialità delle informazioni disponibili, estratte direttamente dal Registro delle Imprese, rendono il materiale presente nel portale uno strumento di informazione economica indispensabile. Diffusi in quasi tutte le province, le reti d’impresa parlano soprattutto milanese: è il capoluogo lombardo a contare il maggior numero d’imprese (477) aderenti a un contratto di rete; seguono Brescia (296), Roma (229), Firenze (216) e Modena (213).

INFOCAMERE: anche on line le 5.900 imprese coinvolte in progetti di aggregazione

ROMA – Il contratto di rete si conferma per le imprese, di tutte le dimensioni, un’occasione per rispondere alla difficile congiuntura economica e mantenersi competitive sul mercato. Lo segnala Infocamere, la società che gestisce il patrimonio informativo delle Camere di Commercio, indicando che a poco più di tre anni dalla costituzione della prima rete d’imprese, sono coinvolte ormai quasi 5.900 soggetti dall’edilizia alla sanità, dal tessile alle nuove tecnologie, per un numero di contratti che al primo dicembre scorso aveva superato quota 1.200. Infocamere mette a disposizione di tutti un insieme completo di dati sui contratti di rete, un vero e proprio osservatorio sulle imprese, i cui dati saranno oggetto di monitoraggio mensile (http://www.registroimprese.it). Il servizio offre la possibilità di conoscere lo stato di un contratto di rete in ogni fase (da quella di start up fino alla possibile evoluzione), ottenere dati economici ed effettuare analisi aggregate; la completezza e l’ufficialità delle informazioni disponibili, estratte direttamente dal Registro delle Imprese, rendono il materiale presente nel portale uno strumento di informazione economica indispensabile. Diffusi in quasi tutte le province, le reti d’impresa parlano soprattutto milanese: è il capoluogo lombardo a contare il maggior numero d’imprese (477) aderenti a un contratto di rete; seguono Brescia (296), Roma (229), Firenze (216) e Modena (213).

GLOBAL DATA: Il mercato mondiale del mini-eolico varrà 3 miliardi di dollari entro il 2020

Anche l’Italia sarà protagonista del mercato del mini-eolico che, a livello mondiale, toccherà i 3 miliardi di dollari entro il 2020, con una crescita del 22% l’anno fino alla fine del decennio: sono le previsioni contenute in un recente report Global Data. In particolare l’ultimo rapporto elaborato dalla società prevede che la capacità cumulativa istallata passerà dai 728 megawatt registrati nel 2012 a oltre 4.644 mw entro il 2020. La diffusione del mini-eolico sta crescendo anche in Italia: alla fine del 2012, erano attivi 356 impianti per una potenza effettiva pari a 18,2 mw, con una crescita di 7-8 mw rispetto al 2011. Numeri ancora contenuti, ma con elevate aspettative di crescita, soprattutto per quanto riguarda le applicazioni del mini-eolico in contesti antropizzati. Le ragioni sono molteplici: dal ridotto o inesistente impatto sul paesaggio, al regime delle tariffe incentivanti, fino alla notevole semplicità procedurale. E i contesti applicativi sono i più svariati, con proposte personalizzate per installazioni presso abitazioni private e aziende, e usi specializzati come la generazione di elettricità su barche, yacht, camper e strutture da campeggio. Nel corso del 2013, inoltre, è stata avviata la fase di test avanzato per la pala minieolica progettata da Renzo Piano e sviluppata in collaborazione con Enel Green Power, una turbina bipala, estremamente sottile, che riduce di un terzo la sua visibilità rispetto alle tradizionali tripale ed è in grado di sfruttare venti minimi, dell’ordine dei 2 metri al secondo. Il prototipo, che è in fase di test nel campo prova di Molinetto di Pisa, dove ha sede anche il centro ricerche di Enel, ha prodotto in due mesi oltre 1.200 chilowattora, che sono stati immessi nella rete di distribuzione. La produzione in serie per il mercato italiano sarà sviluppata al termine di questa fase di test, che sarà effettuata ancora per alcuni mesi.

ASSIRM: In Italia il 70% delle imprese è a guida familiare e resiste meglio alla crisi

ROMA – Le imprese familiari italiane rappresentano un importante asset del sistema economico nazionale occupando i più svariati settori, dalla costruzione alla produzione, dal turismo al sanitario fino al sociale. Nonostante la difficile congiuntura attuale e l’innegabile flessione dei fatturati, questo tipo di impresa sembra abbia sviluppato, nel lungo termine, una maggiore resilienza alla crisi. E’ quanto dimostra la ricerca “Le imprese familiari: un modello di business non solo italiano”, realizzata dal Centro studi Assirm, l’Associazione tra istituti di ricerca di mercato, sociale e d’opinione, in collaborazione con Argos Fiduciaria. L’indagine ha sottolineato come la struttura di tipo familiare (quella in cui il controllo direttamente o indirettamente esercitato da una persona fisica o da una famiglia) è riscontrabile in oltre il 70% delle imprese industriali e dei servizi in Italia: ciò significa che 7 imprese su 10 sono a controllo familiare. In quasi il 90% delle imprese il primo socio una persona fisica o una famiglia, solo nell’8% dei casi un’altra azienda, mentre marginale la presenza al vertice del controllo azionario delle banche e degli enti pubblici. Seppure più attenuati negli ultimi anni della crisi, le aziende familiari di medie e grandi dimensioni hanno mostrato, nell’ultimo decennio, risultati in termini di crescita e redditività mediamente superiori rispetto alle altre classi di aziende. In sintesi, sottolinea la ricerca, le aziende familiari sembrano aver reagito con decisione alla crisi che ha colpito il nostro Paese all’inizio del 2008: nonostante ne abbiano sofferto pesantemente gli effetti, la maggior parte di esse ha saputo resistere continuando a creare ricchezza e a garantire occupazione. La rilevanza delle imprese familiari si combina con il peso delle piccole e medie imprese, la maggior parte delle quali sono, infatti, a conduzione familiare: ad esse rende conto una significativa porzione dell’economia italiana, con il 94,9% della forza lavoro impiegata. Durante i periodi in cui l’economia non è stata influenzata da eventi straordinari, le aziende di famiglia hanno dimostrato di avere guadagni leggermente inferiori, mentre durante i periodi di recessione esse sono in grado di performare meglio rispetto alle imprese non familiari di eguale grandezza. Questo perché le imprese a gestione familiare si concentrano più sulla capacità di recupero che sulle prestazioni e quindi rinunciano ad approfittare pienamente dei ritorni disponibili nei periodi economici positivi per accrescere le loro probabilità di sopravvivenza in tempi meno favorevoli. Sotto molti profili, quindi, le aziende familiari mantengono una visione più prospettica: chi le guida non pensa solo all’utile a breve termine ma anche, se non soprattutto, a garantire un futuro, possibilmente migliore, alle prossime generazioni. Lo dimostra anche la pratica degli investimenti che, quando vengono portati avanti, sono pensati principalmente per un orizzonte che vada dai 10 ai 20 anni a venire. «Crescita e investimento graduali – ha sottolineato Maurizio Pessato, vicepresidente vicario di Assirm – sono, in breve, il vero vantaggio competitivo delle imprese familiari rispetto ai modelli alternativi di gestione. Vale per l’Italia, ma anche per gli altri Paesi: quando una famiglia si fa impresa, essa sembra seguire uno schema simile, qualunque sia la sua latitudine geografica». Qual lo scenario estero? L’impresa familiare risulta essere molto diffusa nel mondo, basti pensare al fatto che la maggior parte delle aziende del pianeta sono controllate da famiglie o dai loro eredi e che il Pil mondiale annuo generato si attesta tra il 70 e il 90%. In alcuni Paesi come gli Stati Uniti le imprese familiari contribuiscono per il 60% circa al prodotto interno lordo ma l’Europa è il continente dove le imprese familiari sono maggiormente diffuse, con percentuali elevate che oscillano dal 60% della Francia al 70% di Portogallo, Belgio e Regno Unito, dal 74% dell’Olanda al 75% della Spagna, fino al 79% della Svezia, l’80% di Finlandia e Grecia, all’84% della Germania, per chiudere con l’85% dell’Italia, che si posiziona in cima alle classifiche come il Paese con la maggiore percentuale di imprese di proprietà familiare. Su scala globale, evidenzia la ricerca, emergono alcune importanti tendenze: la maggioranza dei proprietari di imprese familiari ha dichiarato di voler assicurare un sostentamento per le persone a loro carico grazie alla gestione del business familiare, l’ambiente per l’innovazione nelle imprese familiari migliora quando più generazioni della famiglia proprietaria sono coinvolte nel business e l’internazionalizzazione delle aziende diventa più probabile quando i membri giovani della famiglia sono coinvolti nella gestione della società. Le imprese familiari, conclude la ricerca Assirm, hanno dei vantaggi competitivi assodati, come testimonia la letteratura internazionale in merito. A uno sguardo d’insieme, i maggiori vantaggi competitivi di un’impresa familiare rispetto alle altre riguardano la lealtà, il maggiore attaccamento all’impresa, il più facile processo comunicativo interno, un minor turnover dello staff organizzativo, una visione di lungo termine e un’elevata quantità di tempo allocato per l’istruzione degli impiegati e dei successori. «L’importanza economica e sociale delle imprese familiari nel tessuto economico italiano ha stimolato da sempre un crescente dibattito sia accademico che politico. Fotografarne il valore, i driver di successo e i vantaggi competitivi significa anche riflettere in maniera consapevole sulle possibilità di sviluppo e di crescita dell’intero sistema Paese», ha dichiarato Umberto Ripamonti, presidente di Assirm.

CCIAA MONZA: il volto dell’artigianato cambia con la “carica” dei makers innovativi

MONZA – Cambia il volto dell’artigianato italiano, una volta c’erano falegnami e carpentieri che sceglievano di aprire un’impresa artigiana, oggi lo fanno anche progettatori di software, informatici, registi e designer, con circa 3.500 attività innovative che hanno aperto nel 2012 in Italia. Sono i makers, artigiani di terza generazione, che tra nuove tecnologie e “prospettive glocal” hanno portato ad un cambiamento del modo di concepire l’artigianato. Se infatti si considerano alcuni settori ad alto tasso di innovazione, la media delle imprese artigiane iscritte in Italia nel 2012 è più alta rispetto alla media delle attive del comparto. E così tra i settori dell’artigianato con indice di “dinamicità” più elevato, compaiono le attività legate alla produzione di software e consulenza informatica (722 imprese artigiane iscritte in Italia nel 2012, con un indice di dinamicità 2,1 volte più alto rispetto alle attive), il settore delle attività dei servizi d’informazione ed informatici (546 iscritte, con indice di dinamicità 1,8), ma anche le attività di produzione cinematografica (184 iscritte, indice 1,5) e le attività professionali, scientifiche e tecniche (2.011, indice 1,5). E se la Lombardia è la prima regione per numero di iscritte artigiane innovative (696), il Trentino Alto Adige è la regione in cui il peso delle nuove imprese artigiane nei settori innovativi è più alto che nel resto d’Italia (7,6%), seguita da Friuli Venezia Giulia (5,1%) e Marche (4,7%). Emerge da una elaborazione dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Registro Imprese. Tra i settori dell’artigianato brianzolo con indice di “dinamicità” più elevato, troviamo le attività legate alla produzione di software e consulenza informatica (con un indice di dinamicità 3,6 volte più alto rispetto alle attive), il settore dei servizi d’informazione e informatici (indice di dinamicità 2,2), ma anche le attività professionali, scientifiche e tecniche (indice 1,7).

ISTAT: un’impresa su quattro utilizza almeno un social media e la metà utilizza l’e-commerce

ROMA – Il 24,7% delle imprese con almeno 10 addetti utilizza un social media e il 10,5% dichiara di utilizzarne almeno due. Gli strumenti più adottati dalle imprese sono i social network (21,1%), come ad esempio un profilo aziendale su Facebook, e i siti web di condivisione di contenuti multimediali (ad es. YouTube, Flickr, Picasa, SlideShare), diffusi nel 9,9% delle imprese. Lo rileva l’Istat nel report “Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese”.    Gli indicatori rivelano differenze settoriali e dimensionali nell’adozione di questi strumenti, mentre la localizzazione territoriale non sembra avere molta influenza. La percentuale di utilizzo degli strumenti social aumenta notevolmente nel caso delle attività legate a media e comunicazione come quelle editoriali (76%) e della produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi (67%); percentuali elevate si riscontrano anche in attività per le quali la reputazione on line assume un significato molto importante come i servizi di alloggio (65,4%) e le agenzie di viaggio (59,9%). Le imprese di minore dimensione utilizzano soprattutto i social network mentre, al crescere della dimensione aziendale, le imprese risultano più orientate verso un utilizzo multicanale con la presenza di diversi strumenti social. Aumenta anche in misura significativa la quota di imprese attive nel commercio elettronico: il 44,4% delle imprese ha effettuato nel corso dell’anno precedente vendite e/o acquisti on line (erano il 37,5% nel 2012). Il 7,6% (il 6,2% nel 2012) ha venduto on-line i propri prodotti o servizi realizzando un fatturato pari al 7,2% di quello totale (6,4% nel 2012). La possibilità di vendere on line è utilizzata soprattutto da alcuni specifici settori quali l’editoria (42,8%, in flessione rispetto al 53,6% del 2012) e i servizi di alloggio (55,8% rispetto al 46,7% del 2012). Dopo la continua crescita registrata negli anni precedenti (dal 13,3% nel 2009 al 25,4% nel 2012), l’adozione di software specifici per la raccolta e condivisione con altre aree aziendali di informazioni raccolte sulla clientela ha subito quest’anno una leggera flessione (23,1%). Permangono accentuate le differenze tecnologiche tra grandi e piccole imprese anche se, nel corso degli ultimi anni, le imprese italiane hanno progressivamente incrementato l’adozione di tecnologie di base. Sono migliorate le tipologie di connessione a Internet (le imprese connesse in banda larga fissa passano dall’82,8% del 2009 al 91,5% del 2012 fino all’attuale 93,1%) e con esse anche le relazioni on line con altri soggetti esterni quali la pubblica amministrazione.

ISTAT: anche in dicembre sale l’indice di fiducia delle imprese edili e manifatturiere

ROMA – L’indice sul clima di fiducia delle imprese italiane elaborato dall’Istat a dicembre sale leggermente, passando a 83,6 da 83,4 di novembre. L’andamento dell’indice complessivo, spiega l’Istituto di statistica, «rispecchia un miglioramento significativo della fiducia tra le imprese del settore delle costruzioni, una crescita lieve per le imprese manifatturiere e dei servizi di mercato, mentre risulta stazionaria la fiducia delle imprese del commercio al dettaglio». L’indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere aumenta lievemente, passando da 98,0 di novembre a 98,2, mentre i giudizi sugli ordini e le attese di produzione peggiorano (da -25 a -27 e da 5 a 4, rispettivamente); il saldo relativo ai giudizi sulle scorte di magazzino passa da -1 a -4. L’analisi del clima di fiducia per raggruppamenti principali di industrie (Rpi) indica un miglioramento dell’indicatore per i beni di consumo (da 97,6 a 98,9) e i beni intermedi (da 99,2 a 101,1) e un peggioramento per i beni strumentali (da 97,7 a 95,2). L’indice del clima di fiducia delle imprese di costruzione sale da 80,4 di novembre a 82,6. I giudizi sugli ordini e/o piani di costruzione migliorano (da -45 a -42 il saldo) mentre le attese sull’occupazione rimangono stabili (a -21). L’indice del clima di fiducia delle imprese dei servizi sale leggermente a dicembre (da 80,5 di novembre a 80,6). Migliorano i giudizi ma non le attese sugli ordini (variano da -24 a -20 e da -10 a -11, i rispettivi saldi); in lieve peggioramento le attese sull’andamento dell’economia in generale (da -35 a -36). Nel commercio al dettaglio, l’indice del clima di fiducia si conferma sui valori di novembre (90,7). L’indice rimane stabile nella grande distribuzione (91,5) e peggiora in quella tradizionale (da 91,0 a 90,2).

FONDAZIONE EDISON: export +5,2% a fine 2013 per i distretti manifatturieri italiani

MILANO – Le esportazioni dei principali distretti industriali italiani hanno raggiunto nei primi nove mesi dell’anno un nuovo massimo storico. E’ quanto emerge dall’Indice dell’Export dei 99 principali distretti industriali elaborato dalla Fondazione Edison, da cui si rileva che i principali distretti industriali italiani hanno chiuso il periodo con una crescita dell’export del 5,2%, confermando “la buona performance già osservata nei trimestri precedenti” e registrando “un andamento nettamente più favorevole” rispetto al -0,4% dell’export manifatturiero. Lo spaccato settoriale evidenzia, come già nel primo semestre dell’anno, un contributo positivo di tutti i comparti distrettuali che compongono l’Indice: l’export dei distretti Hi-tech appare in crescita del 12%, gli Alimentari-vini del 7,7%, l’Abbigliamento-moda del 4%, l’Automazione-meccanica-gomma-plastica del 3,4% e l’Arredo-casa del 2,6%. Anche l’analisi relativa al solo terzo trimestre 2013 evidenzia un andamento positivo di tutti i 5 comparti, in cui primeggia l’export dei distretti degli Alimentari-vini (+5,2%), seguito da Automazione-meccanica-gomma-plastica (+4,9%), Abbigliamento-moda (+4,7%), Arredo-casa (+4,2%) e prodotti Hi-tech (+2,3%). Nel complesso l’export distrettuale nel terzo trimestre 2013 è cresciuto del 4,4% a/a. Lo spaccato per destinazione geografica indica nei primi 9 mesi del 2013 una maggiore crescita dell’export distrettuale diretto verso i Paesi extra Ue-27 (+8%) rispetto a quella verso i Paesi Ue-27 (+2,7%). Particolarmente buona verso i mercati extra Ue-27 e’ la performance dei distretti dell’Arredo-casa, dell’Automazione-meccanica-gomma-plastica e degli Alimentare-vini: +9,2%, +8,2% e +10,6% rispettivamente. Verso i Paesi Ue-27 spicca invece la performance dell’export dei distretti degli Alimentari-vini (+5,8%) e di quelli dei settori Hi-tech (+15,7%). “Con riferimento all’ultimo anno ‘scorrevole’, iniziato a ottobre 2012 e terminato a settembre 2013, l’export distrettuale, considerato nel suo complesso, non solo si mantiene oltre i livelli pre-crisi, ma migliora ulteriormente la propria performance rispetto a quella osservata nel trimestre precedente: nell’anno scorrevole conclusosi a settembre 2013 le esportazioni distrettuali hanno infatti fatto segnare un nuovo record storico, pari a 77,8 miliardi di euro”, si sottolinea nella nota.  Oggi sono 54 i distretti che esportano più di quanto facessero nel 2008, di cui 7 appartenenti al comparto Hi-tech, 13 al comparto Alimentari-vini, 17 al comparto Abbigliamento-moda, 14 al comparto dell’Automazione-meccanica-gomma-plastica e 3 appartenenti al settore Arredo-casa. Per 5 distretti l’incremento è superiore del 50% ai valori del 2008: si tratta di quattro distretti hi-tech e di un distretto alimentare e cioè, nell’ordine, la farmaceutica di Frosinone (+289%), i formaggi e latte di Parma (+124%), l’elettronica dell’Etna Valley (+115,8%), la farmaceutica di Latina (+83,9%) e gli aeromobili di Napoli (+54,7%). Per ben 23 distretti l’incremento e’ superiore del 20% rispetto al 2008, 6 dei quali appartenenti all’Abbigliamento-moda (tra cui la pelletteria fiorentina, l’occhialeria del Cadore, la concia di Arzignano), 9 all’Alimentare-vini (tra cui gli insaccati di Modena, i vini della Valpolicella e delle Langhe, la pasta e i prodotti da forno del parmense), 1 all’Arredo-casa (le pietre ornamentali di Pietrasanta), 2 all’Hi-tech (gli aeromobili di Vergiate e le autovetture sportive di Maranello) e 4 all’Automazione-meccanica-gomma-plastica (tra cui le macchine per imballaggio di Bologna e gli articoli in plastica-gomma del Lago d’Iseo). Per altri 13 distretti l’aumento è superiore al 10%, 5 dei quali appartenenti all’Abbigliamento-moda, 3 agli Alimentari-vini, 1 all’Arredo-casa, 1 al comparto hi-tech e 3 all’Automazione-meccanica-gomma-plastica; tra questi distretti si segnalano le calzature del Fermano, la concia di Santa Croce sull’Arno, i prodotti da forno di Alba, la cosmetica milanese, le macchine industriali di Bergamo e di Vicenza, solo per citare quelli con un export superiore ai 600 milioni di euro. Per 9 distretti, sempre rispetto ai livelli pre-crisi, l’incremento è superiore del 5% (tra cui le piastrelle di Sassuolo, la gomma-plastica di Varese, le macchine di impiego generale di Reggio Emilia, la rubinetteria-valvolame di Lumezzane e le macchine industriali di Brescia, solo per citare i distretti più importanti in termini di valore di export), mentre per i rimanenti 4 distretti l’incremento è compreso tra 0 e 5%.  Ai 54 distretti tornati sopra il valore di export del 2008 se ne aggiungono altri 8 che vi rimangono al di sotto soltanto del 5%.

(A cura di Rosario Murgida – MF Dowjones)