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Dalla buccia d’arancia il filato innovativo che “veste” chic e sostenibile

CATANIA – Al recente Fashion Global Summit, dedicato al tema “Mangia come ti vesti”, il presidente della Camera della Moda Carlo Capasa ha dichiarato che l’80% dei fashion consumer ritiene la sostenibilità un fattore d’acquisto importante. Due giovani imprenditrici siciliane, Adriana Santanocito ed Enrica Arena, hanno lanciato a livello mondiale l’idea di un “bioprodotto” che renderà possibile indossare un abito realizzato con filati di origine alimentare.  «Inizialmente era una tesi di laurea in fashion design, al fine di studiare la trasformazione degli scarti delle arance in un prodotto tessile», racconta Santanocito. Dallo studio di fattibilità condotto con il Politecnico di Milano si sviluppa il brevetto, che viene depositato in Italia e all’estero. A febbraio 2014 le due imprenditrici fondano Orange Fiber, con sede a Catania e in Trentino. A settembre 2014 viene presentato in anteprima il primo tessuto da agrumi al mondo, composto da acetato da agrumi e seta in due varianti: raso tinta unita e pizzo. «Il nostro impegno ecosostenibile – spiega Arena – mira infatti a risolvere il problema dell’accumulo degli scarti provenienti dall’industria agrumicola: ben 700mila tonnellate all’anno che comportano alti costi di smaltimento». Da qui l’intenzione di dar nuova vita al pastazzo, termine tecnico per definire ciò che resta degli agrumi dopo la spremitura. L’obiettivo di Orange Fiber adesso è la conversione a scala industriale dopo aver creato da zero il processo produttivo, l’intera filiera di recupero della materia prima e la realizzazione dei primi prototipi. Processi resi possibili grazie al sostegno pubblico del bando di Trentino Sviluppo e a quello del ministero per lo Sviluppo Economico per il recupero degli scarti agrumicoli, oltre a vari finanziamenti privati. A questi si aggiungono i concorsi per start up, tra cui Changemakers for Expo 2015 – in cui Orange Fiber è entrato tra i 10 migliori progetti selezionati – e Idea For Change dell’Onu, che ha valutato la start up come l’azienda con più alto potenziale economico e minor impatto ambientale.

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