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ASSOCOMAPLAST: Le macchine per la plastica e la gomma “iniettano” ottimismo e aumento dell’export

MILANO – In occasione del salone Plast l’associazione nazionale di categoria, che raggruppa oltre 160 costruttori di macchine, attrezzature e stampi per materie plastiche e gomma, ha elaborato il consuntivo di settore del 2014, anche sulla base dei dati di commercio estero di fonte Istat. La progressione dell’export ha tenuto il passo fino agli ultimi mesi dell’anno e ha sostenuto i costruttori italiani di macchinari a fronte di un mercato interno la cui ripresa si è fatta timidamente sentire solo negli ultimissimi mesi. In effetti, pur in presenza di un non trascurabile incremento degli acquisti dall’estero – nell’ordine degli otto punti percentuali sull’intero anno, a livello statistico – la propensione agli investimenti da parte delle aziende trasformatrici è risultata ancora limitata fino all’ultimo trimestre del 2014. Assocomaplast, anche in base alle rilevazioni tra i propri associati, ha pertanto stimato un valore della produzione che ha nuovamente toccato la soglia dei 4 miliardi di euro; la bilancia commerciale risulta aver ulteriormente incrementato il proprio saldo positivo, portandosi abbondantemente sopra la soglia dei 2 miliardi di euro mentre il mercato interno è appena al di sotto di tale valore. L’ultima indagine congiunturale dell’associazione ha anche messo in evidenza attese improntate all’ottimismo per circa un terzo delle aziende intervistate, che si aspettano un ulteriore incremento di ordinativi e fatturato nel semestre in corso. Una percentuale analoga ritiene che anche la quota export dovrebbe aumentare. Circa le macro-aree di destinazione delle vendite all’estero di macchinari italiani, si rileva una decisa progressione per l’Europa – in particolare in ambito UE, a fronte di un cedimento del totale dei mercati extracomunitari, trascinati al ribasso dal negativo risultato della Russia (-11,9%), condizionato dalle sanzioni applicate in seguito alla crisi ucraina e al crollo del rublo – e per l’aggregazione del Nafta, grazie alle incrementate forniture agli Stati Uniti. Il poco brillante andamento delle vendite verso il Brasile (-11% circa sul 2013) ha influenzato il trend complessivo del Sudamerica mentre un moderato rimbalzo delle forniture ai trasformatori cinesi (ma anche vietnamiti, indonesiani e indiani, solo per citarne alcuni tra i più significativi) ha compensato la frenata di quelle a Corea del Sud, Giappone e Thailandia sul fronte asiatico. Grazie al già citato buon andamento delle esportazioni verso gli Stati Uniti (+21,5%), questi hanno rimpiazzato la Francia (-10,4%) al secondo posto nella classifica dei primi Paesi di destinazione mentre al primo si conferma, come da tradizione e con ampio margine (seppure in leggera diminuzione), la Germania. Uno sguardo alle principali tipologie di macchine evidenzia ancora una volta la buona progressione delle macchine per soffiaggio e delle stampatrici flessografiche (+11,6 e +11,1% rispettivamente). Sostanzialmente immutato rispetto al 2013 il valore all’export per gli estrusori mentre risulta in deciso calo (-16%) quello di macchine a iniezione. Bene la categoria degli stampi (soprattutto quelli a iniezione), che rappresentano oltre il 28% del totale di settore esportato.

UNIONCAMERE LOMBARDIA: è lenta ma progressiva la ripresa dell’industria e dell’artigianato lombardo

MILANO – Il primo trimestre del 2015 presenta dati con variazioni positive ma di modesta intensità, caratteristici di una fase di lenta ripresa. La produzione industriale lombarda cresce dello 0,4% tendenziale e dello 0,2% rispetto al trimestre precedente, mentre l’artigianato sconta ancora una lieve flessione dei livelli produttivi. Gli ordini crescono dello 0,4% congiunturale sia dall’interno che dall’estero, mentre si differenziano maggiormente i risultati tendenziali con l’estero molto più dinamico (+2,5% gli ordini esteri e +0,9% gli ordini interni). Conferme positive provengono anche dal fatturato in crescita del 2,9% tendenziale e dell’1,0% congiunturale. In miglioramento le aspettative degli imprenditori per la produzione, la domanda estera e l’occupazione. Ancora stazionarie le aspettative sulla domanda interna. Si incrementano i livelli occupazionali e si riduce il ricorso alla cig. Da un punto di vista settoriale, il numero di settori in crescita (6) è quasi identico al numero di settori ancora in contrazione (7). guidano i settori in ripresa la gomma-plastica (+4,1%), i mezzi di trasporto (+2,9%), la carta-stampa (+1,5%) e la meccanica (+1,0%). con incrementi minimi si segnalano i settori della siderurgia e degli alimentari (+0,2%). ancora penalizzati dalla stagnazione dei consumi e dalla crisi dell’edilizia i settori delle pelli-calzature (-5,3%), il tessile (-3,6%), l’abbigliamento (-3,3%), il legno-mobilio (-1,5%) e i minerali non metalliferi (-1,1%). chimica e industrie varie si aggiungono ai settori negativi, ma con variazioni molto vicine allo zero (-0,3%). Nell’artigianato la maggior parte dei settori registra un calo del livello della produzione rispetto a un anno fa, con le rilevanti eccezioni della meccanica (+2,6%) e della siderurgia (+2,0%), due tra i comparti artigiani che meglio hanno resistito alla recente crisi. Il legno-mobilio, altro settore che ha evidenziato una performance superiore alla media in questi anni, conferma i livelli produttivi di inizio 2014 (+0,1%), mentre tutti gli altri comparti registrano perdite superiori al punto percentuale. Se l’alimentare contiene la diminuzione (-1,1%), contrazioni rilevanti coinvolgono tutto il sistema moda: ossia l’abbigliamento (-3,3%), il tessile (-5,0%) e le pelli-calzature (-5,7%). Continua inoltre il forte calo dei metalli non metalliferi (-12,3%) collegati al settore dell’edilizia. Il ritardo nella ripresa degli investimenti influisce negativamente sui risultati delle imprese produttrici di tali beni, che rimangono in coda alla triade della classificazione per destinazioni finali dei prodotti con una contrazione della produzione dello 0,7%. I beni di consumo rimangono in territorio positivo, e l’incremento dei livelli produttivi si avvicina al punto percentuale (+0,9%). Le imprese produttrici di beni intermedi offrono un quadro complessivo positivo, con un incremento della produzione dello 0,4%. Altre variabili dell’andamento congiunturale: il tasso d’utilizzo degli impianti rimane a quota 73,6% per l’industria riducendo la variabilità a livello settoriale, con solo i minerali non metalliferi ancora sotto al 70%. Anche per i valori massimi si registra un livellamento, con il miglior risultato fatto segnare da pelli-calzature al 78,3%. Per le aziende artigiane l’utilizzo degli impianti è fermo al 67%, ma aumenta il numero di settori oltre il 70% che ora comprende: la siderurgia (72,8%), la gomma-plastica (70,6%) e il tessile (70,0%). Le aspettative degli imprenditori industriali mostrano un generale miglioramento. Per la produzione il saldo consolida il posizionamento in territorio positivo accelerando la crescita. Rimane alta la quota degli imprenditori che non prevedono variazioni (58%). In miglioramento anche le aspettative sull’occupazione che raggiungono il punto di svolta con un saldo praticamente nullo. In questo caso è dell’81% la quota di imprenditori che non prevede variazioni nei livelli. Le aspettative sulla domanda vedono l’estero in ripresa e una domanda interna ancora negativa ma che lentamente sale verso il saldo nullo. Nel caso dell’artigianato, a fronte di aspettative sulla domanda estera positive ma in rallentamento, si segnalano le aspettative sulla produzione, occupazione e ordini interni in territorio negativo ma caratterizzati da un marcato trend crescente che le fa avvicinare sempre più al punto di svolta. Rimane consistente la quota di artigiani che prevede stabilità dei livelli pari al 54% per produzione, al 55% per la domanda interna, al 69% per la domanda estera e all’85% per l’occupazione.

RAPPORTO IREX: Addio incentivi, ora le rinnovabili italiane sono protagoniste nel mondo

ROMA – Non fuggono all’estero solo “cervelli” e non sempre la fuga è una notizia negativa. L’Italia delle rinnovabili ha investito fuori confine 2,5 miliardi nel 2014. Una tendenza che ora coinvolge anche le imprese di dimensioni più contenute, spinte all’estero dal raffreddarsi del mercato nazionale. D’altro canto, l’estero guarda con attenzione alle aziende italiane del settore dell’energia pulita: l’eredità degli incentivi non è persa e per le imprese nazionali corrono i contratti esteri di fornitura, ingegneria, costruzione e gestione di impianti di energie rinnovabili. Sono alcuni degli elementi contenuti nella nuova edizione del Rapporto Annuale Irex intitolato “Strategie aziendali, competizione globale e politiche nazionali nel settore italiano delle rinnovabili”, realizzato dagli economisti di Althesys. Nell’ultimo anno l’Irex di Althesys ha censito 205 operazioni, pari a 7 miliardi di euro (-10% rispetto al 2013) e 4.736 megawatt di potenza. Le imprese italiane hanno investito all’estero 2,5 miliardi (l’88% della potenza). «La fotografia delle operazioni di dimensioni industriali del 2014 mostra un settore molto cambiato – commenta l’economista Alessandro Marangoni, coordinatore della ricerca e Ceo di Althesys – con un calo drastico degli investimenti in Italia a favore delle iniziative all’estero e un peso crescente degli operatori più grandi». «Nel mondo la percezione delle rinnovabili è molto cambiata», sottolinea Christine Lins, Executive Secretary di Ren21- Unep. «Nell’ultimo decennio il processo di transizione verso queste energie si è ben avviato, ma per realizzarlo è necessario uno sforzo condiviso da parte di tutti. Nel mondo sono almeno 138 i Paesi le cui politiche energetiche prevedono il ricorso alle rinnovabili. Di questi 95 sono i Paesi in via di sviluppo. Erano solo 15 nel 2005». Nonostante il calo degli incentivi, in Italia le fonti rinnovabili d’energia si sono confermate il perno del sistema elettrico e il Rapporto Irex stima che la sola produzione fotovoltaica abbia ridotto di 896 milioni il prezzo all’ingrosso dell’elettricità. La trasformazione del mercato ha accelerato la concentrazione e ha allargato l’internazionalizzazione anche alle imprese di dimensioni più contenute. Nonostante i tagli retroattivi che hanno punito i rendimenti, gli investitori finanziari sono rimasti attivi sul settore e il 2014 ha visto ben 5 Ipo sul mercato Aim. «Abbiamo osservato un rafforzamento della tendenza alla concentrazione fra imprese, dove quasi la metà delle operazioni sono di acquisizione, con maggiore attenzione per le tecnologie fotovoltaiche ed eoliche. Gli investimenti per crescita interna – aggiunge Marangoni – sono stati pari a 1.800 megawatt, per un valore di 3,1 miliardi di euro, sia fotovoltaici che eolici». Anche in Europa gli incentivi sono in riduzione, ma l’eolico resta comunque profittevole, con costi in discesa anche per il calo del costo del capitale, mentre nel fotovoltaico crescono i sistemi indipendenti e i piccoli impianti. Aumentano soprattutto gli investimenti italiani fuori dall’Europa: America Latina, Stati Uniti e Africa sono le aree più dinamiche. In molti Paesi, come ad esempio, Brasile, Cile, Messico, Usa, Sudafrica, Egitto e Marocco le rinnovabili sono ormai competitive o addirittura più economiche delle fonti tradizionali.

INDICE IFIIT: tra euforia e qualche delusione, continua a salire la propensione a investire in innovazione tecnologica

MILANO – Continua a salire – anche se timidamente – la fiducia degli imprenditori sugli investimenti in innovazione tecnologica. L’Indice mensile Ifiit si porta a 33,90 punti. Dal mese di novembre dello scorso anno il valore dell’indicatore ha registrato un incremento abbastanza significativo, ma è ancora presto per dire che la base imprenditoriale andrà concretamente a riposizionare a breve gli investimenti produttivi. Il mondo degli imprenditori manifesta segnali tra loro anche molto contrastanti. Vi sono alcuni “euforici” che, vivendo soprattutto di esportazioni o di mercato estero, stanno cogliendo le opportunità dell’euro debole e macinano attività e fatturato. Vi sono poi altri “delusi”, o perché strettamente legati al mercato interno, dove i consumi non sono ancora ripartiti, o perché esposti verso Paesi a rischio (Medio-Oriente, Libia, Russia, Iran). Infine altri, gli “attendisti”, che viaggiano sui posizioni neutrali con l’aspettativa di cogliere la possibile ripartenza del ciclo. Si accentua il fenomeno che Ifiit ha più volte sottolineato, ovvero la progressiva “arcipelaghizzazione” del sistema produttivo italiano, con aziende e distretti che resistono alla crisi e con altre porzioni di territorio che subiscono la contrazione. Nel complesso il tessuto produttivo resta ancora ricco di filiere integre, ma con eccellenze isolate e con la cilindrata ridotta (la produzione industriale è scesa di circa un quarto a causa della crisi). I settori che in questa fase congiunturale segnalano i più alti livelli di fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica sono: le macchine utensili, la meccanica fine, il bancario (soprattutto nella nicchia dei sistemi di pagamento), la sicurezza, la domotica e il farmaceutico. Stabili i comparti del legno-arredo, della moda e dell’abbigliamento. Restano al di sotto della media i livelli di fiducia nel commercio al dettaglio, nell’edilizia e nelle attività legate alle microimprese, alle attività artigianali e professionali. Il 70% degli intervistati sostiene che il nostro Paese mantiene alto il gap di competitività digitale con gli altri Paesi più industrializzati.

OSSERVATORIO MECSPE: Innovazione e formazione spingono le pmi della meccanica e della subfornitura

MILANO – Un comparto strategico per l’industria manifatturiera italiana. Sono le imprese della meccanica e della subfornitura del nostro Paese da cui emergono segnali positivi per quanto riguarda le performance aziendali, soprattutto da chi investe in innovazione (l’82,2%) e in formazione (l’89,8%). Oltre un imprenditore su due (51,5%) è infatti ampiamente soddisfatto dell’andamento attuale della propria impresa e il 51,1% ipotizza nei prossimi tre anni una crescita a livello generale del settore. Un clima positivo che parte dalla chiusura dell’esercizio del 2014 rispetto a tre anni fa: ben il 51% ha registrato un incremento dei fatturati – in netto miglioramento rispetto alla rilevazione dello scorso anno – e il 62,1% ha mantenuto il livello occupazionale invariato. Solo l’11,1% ha dovuto ridurre l’organico. Anche le previsioni per l’anno in corso seguono questo percorso di crescita, con quasi la metà delle aziende (46,2%) che prospetta un incremento dei fatturati e solo il 7,2% un calo. Una crescita che si riflette anche sul portfolio ordini attuale, che permette di sostenere le esigenze finanziarie di circa due terzi del campione (65,6%) e sulla liquidità aziendale, giudicata sufficiente o buona dall’86,6%. Questa la fotografia delle imprese del comparto italiano della meccanica e della subfornitura scattata dall’Osservatorio Mecspe realizzato da Senaf in vista di Mecspe, la fiera internazionale delle tecnologie per l’innovazione (Fiere di Parma, 26 -28 marzo 2015). «Le imprese della meccanica e della subfornitura credono fortemente nella ripresa del settore e dall’Osservatorio Mecspe emergono indicazioni importanti per il loro sostegno nel percorso di sviluppo», commenta Emilio Bianchi, direttore di Senaf . «Le aziende crescono, investono e hanno fiducia nel mercato, ma sono quelle che hanno puntato sull’innovazione e sulla formazione ad aver ottenuto le migliori performance aziendali. Asset, insieme all’internazionalizzazione, che possono fare la differenza migliorando significativamente la competitività delle nostre imprese. Per quanto riguarda l’export, quasi 8 aziende su 10 (78,2%) dichiarano di esportare i propri prodotti e servizi, con un’incidenza variabile.  Se il 31,3% dichiara di realizzare all’estero meno del 10% del proprio fatturato, c’è comunque un 20,4% che supera il 46%. Chi esporta punta prevalentemente verso gli Stati dell’Europa Centro-Occidentale (79,6%), seguiti da quelli dell’Europa dell’Est (36,1%) e del Nord America (23,6%). «Le imprese hanno colto le opportunità provenienti dai mercati esteri ma è necessario crescere di dimensioni per essere competitive», prosegue Bianchi. «Spesso questo richiede ingenti sforzi sia economici sia organizzativi e per questo le aziende del comparto della meccanica e della subfornitura, che impiegano in prevalenza meno di 50 dipendenti, devono trovare soluzioni alternative. Tra queste le reti d’impresa, che permetterebbero di presentarsi al mercato in maniera aggregata mantenendo comunque la propria identità aziendale. Uno strumento utilizzato attualmente solo dall’11% degli imprenditori, ma che trova il giudizio positivo di quasi due terzi delle aziende».

RAPPORTO ATRADIUS: Il colosso indiano torna a crescere, occasione per l’export italiano

Dopo i forti rallentamenti registrati nell’ultimo triennio, si prevede che nel 2015 l’economia indiana torni a crescere a ritmi sostenuti, superiori al 6%. Ciò sarebbe dovuto in larga parte al rilancio dei grandi progetti destinati alla costruzione di infrastrutture urbane, nonché alla ripresa delle riforme strutturali che dovrebbero contribuire a creare le condizioni ottimali per il pieno sviluppo del potenziale di crescita del Paese. Tra i comparti industriali locali, le performance migliori si attendono nel settore chimico-farmaceutico, quello della carta, l’agro-alimentare e i servizi. E’ quanto evidenzia il “Rapporto Paese: India” pubblicato da Atradius, gruppo tra i leader mondiali nell’assicurazione del credito, cauzioni e recupero crediti a livello internazionale. Secondo gli analisti di Atradius, la significativa ripresa dell’economia indiana si fonderebbe soprattutto sulla forte ascesa della classe media, che darebbe un concreto impulso alla domanda interna di beni di consumo (sostenendo la crescita dell’import che nel 2015 è prevista di oltre l’8%). Ciò offrirebbe alle aziende interessate a operare con l’India importanti opportunità d’investimento ed espansione commerciale. In tale contesto, spazi significativi si aprono anche per l’export italiano, che presenta un elevato potenziale di crescita sul mercato indiano (l’import complessivo dell’India proveniente dall’Italia non arriva attualmente all’1%,  le voci principali sono macchinari e apparecchi che rappresentano circa il 40% del totale export Italia verso l’India). Sebbene operare su mercati internazionali significhi avere prospettive di sviluppo commerciale, ciò vuol dire anche  rischiare di non incassare i  crediti. In riferimento all’India, Atradius, nel suo “Barometro sui comportamenti di pagamento tra imprese a livello internazionale” ha evidenziato che il 55% delle imprese intervistate nel Paese ha registrato ritardi di pagamento da parte dei clienti sul mercato domestico a causa di carenze di liquidità. Per oltre 2 intervistati su 5, in particolare, i clienti sul mercato domestico ritardano i pagamenti come forma di finanziamento. Ecco perché più di un terzo degli intervistati ha affermato che mantenere livelli di cassa adeguati al proprio fabbisogno, in particolare a causa delle difficoltà ad incassare i crediti insoluti, è stata la principale sfida da affrontare lo scorso anno. Il che impone agli operatori internazionali interessati ad operare su mercati ad alto potenziale, come quello indiano, la necessità di gestire in modo strategico il rischio di credito commerciale e politico. «La prevista crescita delle importazioni in India beneficerà anche le imprese italiane, e buone opportunità sono previste anche per le pmi», afferma Massimo Mancini, Country Manager di Atradius per l’Italia, secondo cui «il sempre più diffuso ricorso a strumenti di copertura dei crediti commerciali sta convincendo molte piccole e medie aziende, anche quelle finora più timorose di subire forti ritardi nei pagamenti, ad affrontare con più sicurezza le sfide nei mercati dell’India e dei Paesi asiatici».

ISTAT: vola il surplus commerciale estero, a quota 42,9 miliardi nel 2014

ROMA – Un importate segnale di ripresa: nel 2014 il surplus del commercio estero italiano ha compiuto un notevole balzo in avanti, grazie all’ottimo andamento delle esportazioni manifatturiere. L’avanzo commerciale ha raggiunto i 42,9 miliardi di euro, ed è più che doppio al netto dell’energia (+86 miliardi). Lo ha comunicato l’Istat. A dicembre 2014, il saldo commerciale è pari a +5,8 miliardi, in ampliamento rispetto a dicembre 2013 (+3,4 miliardi). Al netto dell’energia, l’attivo è di 8,7 miliardi.

EXPO 2015: 80mila le imprese lombarde già al lavoro per l’Esposizione Universale

MILANO – Cresce l’interesse degli imprenditori per Expo 2015. Così come sono in aumento le imprese al lavoro per l’Esposizione Universale. Passano infatti dal 4,7% al 7,9% le aziende che dichiarano di essere coinvolte in Expo: si tratta complessivamente di circa 80mila attività, comprese quelle che hanno progetti in attesa. Il business riguarda 1 impresa lombarda su 4. Il 26% circa degli imprenditori, infatti, avrà ricadute dirette sul proprio giro d’affari, tra commesse e iniziative ed eventi legati all’evento. Expo non è solo business. Cresce anche la curiosità e l’attenzione per i contenuti dell’evento: 7 imprenditori su 10 vogliono saperne di più. È quanto emerge dalla indagine “Economia e impresa- 2015” realizzata dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza – che ha coinvolto circa 400 piccoli e medi imprenditori lombardi, dei diversi settori, nel mese di gennaio 2015 – e confronti su indagini realizzate in anni vari.  

HAYS: cresce tra le imprese italiane la ricerca di top manager

La ricerca di figure executive in Italia inizia a registrare deboli segnali di ripresa, grazie agli investimenti dall’estero e alla nascita di start up capaci di dare un nuovo slancio all’economia. È quanto riporta la nuova edizione della Hays Salary Guide, l’indagine sul mercato del lavoro condotta su più di 260 aziende e 1.600 professionisti dal gruppo Hays, uno dei leader a livello globale del recruitment specializzato. E dopo anni di incertezza e precarietà, che non hanno risparmiato nemmeno le fasce alte del management italiano, il saldo della ricerca di profili dirigenziali torna ad essere positivo, registrando un +15% nel volume delle ricerche. «Secondo la nuova edizione della Salary Guide – commenta Erika Perez, responsabile divisione Hays Executive – l’attenzione delle aziende si sta focalizzando su profili di top management votati al cost saving: in grado cioè di gestire budget e bilanci, tagliando quelle spese considerate come non essenziali. Ma non solo. Cresce anche la richiesta di professionisti con innate capacità commerciali: il new business diventa un elemento importantissimo per ampliare il proprio giro di affari, sottraendo fette di mercato alla aziende concorrenti». E sempre secondo la nuova edizione della Salary Guide, tra le figure maggiormente ricercate dalle aziende Italiane, spiccano il direttore finanziario, il direttore commerciale e il general manager. diminuisce, invece, la domanda di dirigenti in ambito IT, legal e acquisti, professionisti non direttamente coinvolti nel processo di recovery economico. «Per fare colpo oggi, in fase di colloquio, è importantissimo – continua Perez – avere un background internazionale. Le aziende, a parità di curricula, tendono a scegliere quei candidati che possono vantare esperienze all’estero. Ma non solo. Sono viste di buon occhio anche quelle figure in grado di padroneggiare, oltre all’ormai canonico inglese, una terza lingua. Infine, l’excursus accademico diventa cruciale se, insieme alla laurea, si possono elencare corsi di specializzazione come Master o Mba rilasciati da prestigiose università estere». Per reclutare i professionisti migliori, le aziende sono disposte a negoziare il pacchetto retributivo che, nel 54% casi, comprende anche una parte variabile, così da motivare da un lato il professionista nel raggiungere importanti risultati aziendali e, dall’altro, per mantenere sotto controllo i costi aziendali. Tra i professionisti dirigenziali che possono contare sulle retribuzioni più generose, spiccano il Cfo, il Sales Director e i Managing Director strategici, per mantenere il timone economico dell’azienda. Sono molto più contenuti, invece, i salari per le figure staffing e per i professionisti del settore HR, marketing e legal perché ritenute meno strategiche per l’azienda.

OSSERVATORIO AUB: Le aziende familiari superano la crisi, soprattutto se riescono a internazionalizzarsi

MILANO – La medio-grande impresa familiare continua a essere resiliente: ha risentito della crisi ma è stata in grado di resistere meglio rispetto alle aziende caratterizzate da altre forme proprietarie, soprattutto quando ha intrapreso processi di internazionalizzazione. Questa in estrema sintesi la risultanza della sesta edizione dell’Osservatorio AUB sulle aziende familiari italiane, promosso da AIdaf (Associazione italiana delle aziende familiari), Unicredit, Cattedra AIdaf-EY di Strategia delle aziende familiari in memoria di Alberto Falck (Università Bocconi) e Camera di Commercio di Milano. Lo studio è basato sull’analisi dei bilanci di tutte le 4.100 aziende familiari italiane con ricavi pari o superiori a 50 milioni di euro, le quali rappresentano il 58% del totale delle aziende (di tali dimensioni) operanti nel nostro Paese. Il campione osservato, pur avendo mantenuto dal 2007 ad oggi una numerosità solo in lieve calo, ha visto un forte ricambio al proprio interno (circa il 40% delle aziende è infatti uscito ed è stato sostituito da nuove entranti), a riprova di come il perdurare della crisi rappresenti – da un lato – un meccanismo di selezione naturale e – dall’altro – un’opportunità per porre in essere cambiamenti di assetto e di strategie volti a creare i presupposti per una migliore risposta alla crisi stessa e alle sfide di mercati sempre più competitivi e globali. Dopo essere state tra il 2008 e il 2009 la tipologia di aziende che ha maggiormente accusato l’impatto della crisi, le aziende familiari sono riuscite – più delle altre – a invertire la tendenza e intraprendere percorsi di crescita (lo dimostra il divario positivo di 10 punti di incremento del fatturato realizzato tra il 2009 e il 2013 rispetto alle non familiari). Sul fronte della redditività (Roi, Roe) il quadro è invece meno positivo, in quanto le aziende familiari, pur continuando in assoluto a far registrate performance migliori rispetto alle altre,  hanno fatto registrare un più debole recupero rispetto alla situazione pre-crisi. Ancora difficile rimane la capacità delle aziende familiari di ripagare il debito, misurata dal rapporto Pfn/Ebitda, che si attesta a 6,1 (rispetto al 4,8 delle non familiari). Ciononostante, i dati AUB indicano come circa 1 azienda familiare su 5 abbia liquidità in eccedenza rispetto allo stock di debito finanziario, che l’incidenza delle aziende con Ebitda negativo è inferiore nella categoria delle familiari (6% contro l’11% delle non familiari) e che le aziende familiari nel corso del 2013 hanno ulteriormente ridotto la propria dipendenza dal capitale di terzi (migliorando dunque il proprio livello di patrimonializzazione) senza compromettere la propria propensione a investire. Un costante punto di attenzione resta quello del ricambio generazionale: da un confronto tra i dati Istat e quelli dell’Osservatorio emerge come il trend di ricambi al vertice continui a diminuire – complici forse le difficoltà e incertezze legate alla perdurante crisi economica – con il risultato che un quinto delle aziende osservate ha un leader ultrasettantenne. Sul fronte delle acquisizioni, i dati AUB evidenziano che le aziende familiari che hanno effettuato più di una acquisizione sono quelle con i tassi di crescita più elevati e che la propensione ad effettuare tale tipo di operazioni è maggiore nelle aziende che hanno un modello leadership meno familiare più strutturato e un assetto di governo con una minore presenza di esponenti della famiglia proprietaria. In merito agli Ide (investimenti diretti), i dati AUB evidenziano come il processo di internazionalizzazione nel nostro Paese risulti trainato dalle aziende familiari (hanno realizzato oltre il 75% del totale degli Ide) e che i modelli di leadership e di governo più semplici (es. amministratore unico) e a maggiore connotazione familiare tendono ad influenzare negativamente la propensione all’internazionalizzazione. Principale elemento di novità che caratterizza questa sesta edizione dell’Osservatorio AUB è la realizzazione di un confronto con le prime 300 aziende (per fatturato) localizzate in 5 tra i principali Paesi dell’Unione Europea: Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svezia. Da tale analisi emergono conferme importanti e interessanti spunti di riflessione. Sul versante delle conferme si rileva in particolare che l’Italia è il Paese in cui la presenza di aziende familiari è più rilevante (40,7%) – seguita dalla Germania (36,7%) e dalla Francia (36%), che la capacità di crescere delle aziende di maggiori dimensioni non è collegata all’andamento del PIL del Paese di appartenenza – a riprova del fatto che per poter crescere le aziende debbono inevitabilmente internazionalizzare.  In 4 dei 6 Paesi considerati le aziende familiari, tra il 2007 e il 2012, sono cresciute di più rispetto a quelle non familiari; fa eccezione  soprattutto la Spagna (dove le aziende familiari sono cresciute meno). Inoltre, in tutti e 6 i Paesi, l’effetto della crisi ha impattato maggiormente sui livelli di redditività (Roe) delle aziende familiari (più che delle non familiari). Il benchmarking sul fronte dei modelli di leadership e di governo mette poi in evidenza come l’Italia sia il Paese con la maggiore incidenza di leader familiari (51,3% rispetto al 33% di Francia e Germania) e che Italia e Spagna siano i Paesi in cui la presenza di consiglieri familiari è più rilevante (“1 su 3” contro “1 su 7” della media degli altri quattro Paesi). Infine, come da tradizione, i curatori dell’Osservatorio individuano le principali sfide che le aziende familiari si trovano (o si troveranno) inevitabilmente a dover affrontare per rilanciare la propria competitività: imparare a gestire le complessità della leadership collegiale, pianificare per tempo e realizzare la successione al vertice, “aprire” l’azienda a giovani e a managerialità esterne alla famiglia proprietaria, imparare a crescere tramite acquisizioni, approdare all’estero quanto prima per espandere il proprio business.

ZURICH INSURANCE: diversificazione ed esportazioni le risposte delle pmi alla crisi di mercato

MILANO – Pubblicati i dati relativi alla seconda edizione del sondaggio internazionale, realizzato da GFK Eurisko per Zurich Insurance Group (Zurich), sull’attività, le difficoltà riscontrate e le strategie di crescita adottate dalle piccole medie imprese italiane negli ultimi 12 mesi. Nel corso dell’ultimo anno il 12% delle pmi italiane ha ridotto il personale e il 9% ha dovuto contenere gli stipendi dei propri collaboratori per affrontare il perdurare della crisi economica. Per far fronte all’elevato livello di competitività e al protrarsi del calo della domanda, il 20% delle imprese ha inoltre ridotto i prezzi; va però sottolineato che il dato, confrontato con l’edizione 2013 dell’indagine (24%), fa emergere un leggero miglioramento. Il 22% delle pmi italiane, in linea con il dato globale (21%), si sono concentrate sulla diversificazione della gamma dei prodotti e dei servizi per attrarre nuovi clienti ed espandere la propria attività; segnale di un rinnovato ottimismo soprattutto se si considera che le aziende che si sono impegnate ad ampliare l’attività verso il mercato locale (11%) e ad espandere le esportazioni (12%) sono raddoppiate rispetto all’estate 2013. A fronte di una crescita economica che rimane modesta, l’8% delle imprese ha valutato l’opportunità di chiudere, ed è più che raddoppiato (9%) il numero delle imprese che hanno chiesto nuovi investimenti o ampliamenti delle linee di credito per proseguire l’attività e finanziare la crescita. In Europa, hanno continuato a ridurre i prezzi anche Spagna (26%) e Portogallo (20%) e sono insieme all’Italia gli unici Paesi europei in cui le pmi appaiono riluttanti ad assumere nuovo personale e a incrementare i prezzi.  Anche nel Regno Unito, in Svizzera e Germania la tendenza all’aumento dei salari è scesa leggermente rispetto ai risultati del 2013. Al contrario, le pmi dell’America Latina (in particolare Brasile, Messico e Argentina) dichiarano un forte aumento degli stipendi (40% – 33% -30%), e nonostante la crescita economica della regione sia ancora lenta, hanno investito nell’espansione dell’attività verso nuovi clienti target sul mercato locale e diversificato la gamma di prodotti e servizi. I Paesi dell’Asia del Pacifico come Hong Kong, Taiwan e Malesia dichiarano invece di aver incrementato molto il personale (28% – 37% – 25%) e in misura minore gli stipendi (16% – 15% – 19%). Il quadro complessivo che emerge dall’indagine sullo stato delle pmi a livello globale è positivo: esse guardano al futuro con ottimismo ampliando la propria attività sia sul mercato locale (23%) che nelle esportazioni, soprattutto attraverso la diversificazione dei prodotti e dei servizi offerti (21%). Solo una minoranza di pmi in tutti i 19 Paesi oggetto del sondaggio (tra lo 0% e il 10%) ha preso in considerazione di ridurre l’offerta o di chiudere l’attività, una su 5 ha aumentato i salari e una su 6 ha incrementato il personale.

MARMOMACC: è italiano un terzo del mercato mondiale delle tecnologie di lavorazione dei lapidei

VERONA – La pietra naturale alla conquista del mondo: dal 1990 al 2013, la produzione lapidea internazionale è salita del 180%, da 46 a 130 milioni di tonnellate, pari a 1,4 miliardi di metri quadrati equivalenti (riferiti allo spessore convenzionale di una lastra da 2 centimetri), mentre i consumi sono cresciuti del 185 per cento. Un trend di aumento costante negli anni che diventa ancora più evidente se si prende in considerazione l’ultimo mezzo secolo, che ha visto un utilizzo di marmi e graniti superiore a quello di tutte le epoche precedenti. A rivelarlo, il XXV Rapporto Marmo e Pietre nel Mondo curato da Carlo Montani in collaborazione con la casa editrice Aldus e il patrocinio della Regione Toscana, presentatoin occasione del salone Marmomacc 2014. Per l’industria mondiale, il 2013 ha costituito un ulteriore anno di consolidamento: il volume di materiale estratto e trasformato, pari a 265 milioni di tonnellate, sono aumentati di circa il 5% rispetto al 2012. Il marmo è sempre più utilizzato come materiale costruttivo e decorativo, con l’impiego pro-capite salito nel 2013 a 226 metri quadrati ogni mille unità, a fronte dei 215 dell’anno precedente e dei 135 del 2003. Un’espansione generale che però corrisponde a una concentrazione progressiva della produzione in alcuni Paesi: «Dagli anni ‘60, i rapporti di forza sono mutati radicalmente – ha spiegato Montani – con i primi quattro produttori, Cina, India, Turchia e Brasile che sono passati dal 30 al 61% della produzione globale». Per quanto riguarda l’interscambio, nel 2013 sono stati raggiunti i 22 miliardi di dollari di controvalore, totalizzati per il 58,5% dai primi quattro Paesi esportatori: Cina, Italia, Turchia e India. Il made in Italy conferma il proprio ruolo di protagonista nel settore delle tecnologie e dei macchinari di estrazione, taglio e lavorazione, con circa un terzo del mercato mondiale e posizioni maggioritarie in vari nazioni leader come Turchia e Brasile. Ma cosa riserva il futuro del marmo? Per l’autore del XVV Rapporto «la pietra viene da lontano e andrà lontano, riunendo tecnologia, estetica e valori professionali, in una parola qualità. Tradotte in numeri, le prospettive al 2020 indicano una produzione complessiva di almeno 170 milioni di tonnellate, pari a 1,8 miliardi di metri quadrati equivalenti».

OCSE: Il superindice economico vede positivo per l’Italia

MILANO – Nonostante i dati Istat sul Pil sotto le attese e le previsioni fosche dell’agenzia Moody’s, l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, vede positivo per l’Italia. Il superindice Ocse di giugno segna un aumento dello 0,1% per il nostro Paese, mentre quello dell’Eurozona è stabile a -0,04% e addirittura quello della Germania in calo dello 0,23%. L’organizzazione internazionale di studi economici prevede dunque una fase di slancio positivo per l’economia italiana, che sarebbe avviata verso la crescita. A maggio l’indice Ocse dell’Italia era 101,6 a giugno è cresciuto a 101,7. In crescita anche la Francia che passa dal 100,3 al 100,4. Su base annua, il superindice per l’Italia è aumentato del 2,15%, l’incremento maggiore nei Paesi del G7, seguito da quello della Francia cresciuto dell’1,06%. Al di fuori dell’Europa, l’Ocse segnala che gli Stati Uniti registrano uno slancio stabile della loro economia, mentre il Giappone attraversa una fase di “interruzione” dello slancio positivo dei mesi precedenti.

OSSERVATORIO ALKEMY: Italia ultima in Europa per export ma il digitale può far salire il Pil del 10%

I dati rilasciati da Commercio nello scorso mese di giugno dicono che occorreranno più di 10 anni per tornare ai livelli di consumi pre-crisi: ed è quindi alla luce di questi dati che risulta impensabile perseguire una crescita del nostro Pil basata sui soli consumi interni. Attualmente, soltanto il 29% del Pil italiano è basato sull’export, una percentuale decisamente minore rispetto alla media Europea del 40% e che appare ancor più esigua se paragonata a quella della Germania, dove l’export contribuisce per circa metà del prodotto interno lordo nazionale. L’obiettivo futuro che l’Italia si deve porre per riallineare la propria competitività internazionale agli standard europei è, quindi, quello di incrementare le sue esportazioni di almeno un terzo rispetto ai livelli attuali. Nel supportare la sfida delle aziende italiane ad aprirsi a nuovi mercati, il digitale si candida come naturale protagonista.  Recenti ricerche di Boston Consulting Group e di McKinsey rilevano come le aziende con una presenza rilevante sui canali digitali crescono il doppio in termini di fatturato e sono, al contempo, tre volte più competitive sul panorama internazionale oltre a generare sensibili innalzamenti anche sul fronte dell’occupazione. Ma perché le nostre aziende sono ancora così indietro sul digitale? Due sembrano essere le più evidenti motivazioni. La prima: l’erronea convinzione che il digitale valga poco. Uno studio Altagamma di questo anno indica che, nel settore moda e lusso risulta solo il 3% delle vendite è realizzato online, ma che oltre il 30% delle vendite offline è, però, fortemente influenzato dall’online. Il secondo: la scarsa integrazione di strategie digitali nei piani di sviluppo, sul fronte domanda/azienda e poche competenze di business e strategia da parte delle società di consulenza digitale. Quanto può̀ valere tutto questo? Se grazie ad un corretto uso del digitale, le aziende italiane riuscissero ad esportare almeno al livello della media europea, questo significherebbe un aumento di circa 150 miliardi di euro di Pil: il 10% in più rispetto agli attuali 1.500 miliardi.

DNV GL: in tre anni il 50% delle industrie chimiche aumenterà gli investimenti nella tutela ambientale

Quando si tratta di rischi ambientali, le più attente sono le aziende chimiche. Le imprese ad alto rischio, in particolare quelle appartenenti al settore chimico, sono quelle che stanno lavorando più attivamente per limitare il proprio impatto sull’ambiente. È quanto emerge da un’indagine internazionale condotta da DNV GL – Business Assurance, ente di certificazione tra i leader a livello mondiale, e dall’istituto di ricerca GFK Eurisko su un campione di oltre 3.500 professionisti provenienti da imprese di settori diversi in Europa, Nord America, Centro e Sud America e Asia. Il 92% delle aziende ad alto rischio, ossia quelle il cui impatto ambientale potrebbe rivelarsi significativo per natura e gravità, considera la salvaguardia dell’ambiente come parte integrante delle proprie strategie. Fra queste, con percentuali che raggiungono il 98%, spiccano le imprese del settore chimico (+14% rispetto alla media mondiale e +9% rispetto a quella italiana). L’attenzione per l’ambiente non sembrerebbe essere solo un’operazione di facciata: ben il 96% delle industrie chimiche adotta policy di tutela ad hoc. Interrogati su quali siano i principali rischi ambientali, i professionisti di tutti i settori in tutto il mondo – Italia compresa – hanno indicato quelli associati allo smaltimento dei rifiuti (60% media globale, 56% media italiana), forse per una sensibilità crescente alle problematiche legate a scarti e imballaggi. Anche per le industrie chimiche lo smaltimento dei rifiuti rappresenta una delle preoccupazioni principali (61%), insieme all’utilizzo di materiali pericolosi (64%) e allo scarico di acque reflue (62%). Queste aziende, inoltre, sono particolarmente sensibili al tema delle emissioni atmosferiche (42%). Con il 100% degli intervistati che implementa almeno un’iniziativa per ridurre i rischi ambientali, a fronte di una media mondiale e italiana di poco superiore al 90%, il chimico si conferma il settore più attento all’ambiente. Oltre a monitorare la conformità ai requisiti legali e di altra natura (92%), l’82% delle aziende del settore svolge attività di assessment per identificare tutti i potenziali impatti sull’ambiente, il 76% adotta sistemi di gestione e il 63% monitora indicatori ambientali specifici. Inoltre, sono impegnate in attività innovative legate, ad esempio, a processi di progettazione che mirano a minimizzare gli impatti (62%). Benché con percentuali inferiori, un comportamento analogo si riscontra in tutte le aziende ad alto rischio, generalmente più attive rispetto alla media mondiale. Coerentemente con ciò che avviene a livello globale e anche in Italia, leggi e normative (90%) rappresentano la spinta principale per le aziende chimiche a impegnarsi in azioni di salvaguardia ambientale. Seguono la continuità operativa (45%), la reputazione di marca (43%) e l’opinione pubblica (37%), rivelando quanto contino le pressioni esterne da parte di comunità e istituzioni in questo settore. Il consenso degli stakeholder esterni è essenziale perché queste imprese possano continuare a operare e le iniziative di tutela intraprese hanno dimostrato la propria utilità in tal senso. Il 70% delle industrie chimiche, infatti, ha ottenuto benefici in termini di miglioramento delle relazioni con le autorità e il 40% con le altre parti interessate. In tutto il mondo, invece, il fattore che maggiormente ostacola i progressi delle aziende nella gestione ambientale è la mancanza di risorse finanziarie (33%). La percentuale scende al 26% per le imprese del settore chimico e il 36% addirittura non rileva alcuna barriera al miglioramento. Per il futuro le aziende si aspettano di migliorare le proprie capacità di gestione e diminuisce la preoccupazione per questioni come lo smaltimento dei rifiuti (-12%) o lo scarico di acque reflue (-9%). Le imprese si concentreranno maggiormente su questioni di lungo periodo, probabilmente a causa di crescenti pressioni da parte delle istituzioni sulla necessità di considerare gli impatti in un’ottica di lungo termine, soprattutto nel settore chimico. In ogni caso, l’attenzione per l’ambiente non diminuirà. Il 92% degli intervistati dichiara che manterrà o aumenterà il livello degli investimenti. In particolare, quasi un’azienda chimica su due incrementerà gli investimenti per la tutela ambientale nei prossimi tre anni.

MECSPE: L’80% delle imprese meccaniche investirà in ricerca e formazione tecnologica

PARMA – Le imprese della meccanica e della subfornitura guardano con fiducia alla chiusura del  2014 e al futuro prossimo del comparto. Secondo l’indagine annuale realizzata da Senaf, il 2014 si è aperto per il 58,8% delle imprese con un portfolio ordini giudicato “adeguato” ai propri livelli di sostenibilità finanziaria (contro un 35,8% per cui è insufficiente). Guardando alle attese di fine anno sotto il profilo del fatturato, il 46,2% si aspetta di chiudere con una crescita, il 46,1% si aspetta stabilità, mentre si prospetta un calo solo per il 7,7% delle imprese. Stesso andamento anche per l’occupazione: nei prossimi mesi, ben l’80,1% dichiara di voler mantenere stabile il numero di addetti, contro un 16,3% che prospetta incrementi e solo un 3,5% che prevede cali. Non ci sono dubbi anche sul futuro del mercato in cui si trovano a operare le singole aziende: per il triennio 2014-2016, solo il 13,6% si aspetta una contrazione del mercato contro un 46% apertamente convinto del suo sviluppo e un 40,5% che crede non ci saranno grosse variazioni rispetto all’andamento attuale. La fiducia nei confronti delle proprie performance e di quelle del mercato si traduce, per la quasi totalità delle imprese, in investimenti in ricerca e sviluppo: se il 61,9% dichiara di investire fino al 15% del proprio fatturato, il 16,5% arriva a dedicarne oltre il 16%. Per aiutare le imprese e il comparto a orientarsi tra le migliori soluzioni disponibili, Mecspe tornerà nel 2015 (a Fiere di Parma dal 26 al 28 marzo) con i suoi otto saloni, che proporranno macchinari e tecnologie su cui le aziende potranno investire, e le aree dimostrative che mostreranno dal vivo processi produttivi, grazie alla presenza di macchinari in funzione. «Il costante aggiornamento su tecnologie e processi è fondamentale perché assicura alle imprese la massima competitività e permette di differenziarsi dai propri competitor», dichiara Emilio Bianchi, Direttore di Senaf. «Un’azienda competitiva è quella che, non solo possiede le migliori tecnologie, ma che ha personale qualificato in grado di tenere il passo con l’evoluzione della produzione». L’indagine dimostra come la formazione dei lavoratori sia un asset fondamentale per le imprese del comparto: l’87,3% prevede investimenti in tal senso. In particolare il 31,8% prevede fino a 10 ore di aggiornamento, il 24,5% tra le 11 e le 20, il 20% tra le 21 e le 30 e il 10,9% oltre le 31 ore. Anche nei prossimi mesi, nonostante una situazione economica che obbliga a oculati investimenti, il budget destinato all’aggiornamento per chi opera nell’area della progettazione e della produzione non verrà ridotto (lo afferma il 69,1%) e c’è chi addirittura (19,1%) pensa di incrementarlo. «Dalla nostra rilevazione emerge altrettanto chiaramente quanto sia importante per le imprese la ricerca di giovani diplomati da inserire in azienda e in grado di portare tutta l’energia, lo spirito creativo e la curiosità tipici della loro età. Per ricercare operatori e tecnici specializzati, oltre la metà delle aziende si affida alla scuola: il 28,5% ricorre agli Istituti tecnici mentre il 23,4% alle scuole e agli istituti professionali», afferma Maruska Sabato, project manager di Mecspe. «Per questo abbiamo avviato, da alcuni anni, una proficua collaborazione con il Cnos, il Centro nazionale ordine salesiani, che avvia i ragazzi al mondo della produzione e dell’industria».

CONFARTIGIANATO: L’artigianato del futuro parte dal territorio lombardo

MILANO – L’artigianato del futuro parte dalla Lombardia, cioè da un territorio in testa alla classifica delle regioni europee per numero di lavoratori autonomi – con 910.800 micro-imprenditori, di cui uno su tre è un artigiano – ma che sconta, rispetto ai competitor europei, anche la più alta tassazione e un maggior costo dell’energia elettrica di quasi 4.500 euro in più per impresa. Un territorio operoso in cui la differenza tra il prelievo fiscale su imprese e cittadini e la spesa erogata ammonta a 53.978 milioni, equivalente al 16,3% del Pil e pari a 5.511 euro per abitante. Qui l’artigianato ha perso, solo nel 2013, 5.216 imprese, il 2% del totale, la quasi totalità tra manifattura (-1.540) e costruzioni (-3.464). «Fare impresa non è semplice di questi tempi – ha sottolineato il presidente di Confartigianato Lombardia Eugenio Massetti presentando il 4° Rapporto Osservatorio Mpi – soprattutto quando si è piccoli. A zavorrare le micro imprese lombarde sono l’imposizione fiscale (il made in Lombardia sconta un gap di tassazione di oltre 15 punti sui principali mercati esteri di destinazione, pagando il 65,8% di tasse contro una media del 50,7%), la burocrazia, i tempi di pagamento ancora troppo lunghi (la PA ha pagato in media in 170 giorni nel 2012), ma anche le difficoltà nel ricevere credito. Basti pensare che qui le imprese con meno di 20 addetti sono il 97,5% del totale e ricevono il 13,7% del credito totale erogato a favore del settore produttivo». Eppure gli imprenditori lombardi continuano a lavorare per uscire a testa alta dalla crisi. Lo dimostrano i dati sulle imprese manifatturiere: chi è sopravvissuto alla forte selezione degli ultimi sei anni, sta riprendendo a crescere dopo molti trimestri in negativo (+0,9% nel quarto trimestre 2013, +0.6% nel primo del 2014). In Lombardia le microimprese hanno reagito alla crisi con strategie difensive legate a innovazione, presidio di nuovi mercati e dinamiche di rete:  il 39% ha incrementato la gamma di prodotti e servizi, una su cinque (19,1%) si è rivolta a nuovi mercati, più di una su dieci (12,1%) ha attivato o incrementato le relazioni con altre imprese. Quello delle reti resta un ambito dove le imprese lombarde sono protagoniste: la Lombardia è la seconda regione italiana tra quelle a maggior intensità di collaborazione tra realtà imprenditoriali. Qui le imprese con almeno tre addetti che intrattengono almeno una relazione stabile – di tipo contrattuale o informale – con altre aziende o istituzioni sono 133.983, pari al 66,1%. Tra loro, sette su dieci hanno meno di dieci addetti. Le opportunità di ripresa nascono anche dalle ristrutturazioni, occasione di recupero del patrimonio edilizio esistente e di rilancio del settore delle costruzioni, che ha particolarmente sofferto della crisi. Qui gli incentivi giocano un ruolo centrale: in Lombardia il valore delle detrazioni sul settore dell’edilizia  incide per il 6% sul valore aggiunto delle costruzioni.  Spazi di sviluppo esistono anche nella green economy: l’impiego di energia prodotta da fonti rinnovabili è in crescita del 2,6% e genera lavoro (+30.900 occupati nel settore in Lombardia nel 2012) e opportunità di business per le 18.603 le imprese potenzialmente interessate dalle fonti rinnovabili. Il futuro dell’artigianato lombardo passa infine anche per le smart cities: un’analisi condotta  su 14 potenziali smart cities lombarde (i 12 capoluoghi di provincia, oltre a Sesto San Giovanni e Busto Arsizio) ha definito le opportunità per le 45mila imprese artigiane presenti,  che si concentrano nell’ambito dello smart environment per il 49%.

REGUS: Per le imprese italiane sono i mercati esteri a tirare la crescita

Regus, il principale fornitore mondiale di soluzioni per uffici, ha condotto una ricerca a livello globale, sondando le opinioni di oltre 20.000 imprenditori e dirigenti in 95 Paesi, per valutare la crescita sui mercati interni ed esteri e identificare le principali difficoltà che le imprese devono affrontare per entrare nei mercati internazionali. I risultati dimostrano che, sebbene i governi di ogni Paese cerchino di incrementare le esportazioni nelle relative economie, le aziende che desiderano espandersi in mercati internazionali si trovano ancora a dover superare ostacoli notevoli. Le risposte delle aziende italiane, confrontate con la media mondiale, denotano che per noi la realtà è ancora più ostica, come illustra la tabella 1, da cui emerge come quasi la metà delle aziende italiane non cresca e un terzo cresca all’estero, mentre la realtà internazionale vede una crescita concentrata principalmente in mercati interni. La ricerca Regus ha anche chiesto ai partecipanti di indicare i principali fattori critici che influenzano la crescita all’estero. In questo caso le differenze sono mediamente meno significative, come illustra la tabella 2.Nonostante i tanti ostacoli, comunque, il 17% delle aziende mondiali sta comunque attuando un’espansione a livello internazionale: l’inizio delle attività è sempre un momento difficile e problematico, ma può essere semplificato grazie all’utilizzo di spazi ufficio flessibili, che liberano risorse per iniziare l’attività commerciale e costruire i rapporti con partner, distributori e clienti locali. Mauro Mordini, general manager di Regus in Italia ha così commentato: «Indipendentemente dal fatto che le aziende intendano espandersi in nuovi mercati nei relativi paesi o all’estero, queste devono poter contare su tutta una serie di fattori chiave. Ovvero, devono potere accedere a informazioni sul mercato affidabili e aggiornate, disporre dei contatti giusti e avere accesso a una gamma di opzioni quando si tratta di scegliere la sede più rispondente alle proprie necessità. Oltre a tutte queste esigenze, gli spazi ufficio flessibili consentono loro di reagire velocemente ai cambiamenti del mercato e a mantenere disponibili i capitali per gli investimenti destinati a un’ulteriore crescita. Le aziende devono potersi espandere rapidamente, ma anche ridimensionarsi alla stessa velocità nel caso in cui si presentino possibilità di crescita altrove».

  

Tabella 1 – Dove crescono le aziende

Italia

Media mondiale

Crescita principalmente attraverso l’espansione all’estero

30%

17%

Crescita principalmente in nuovi mercati interni

10%

42%

Crescita bilanciata interno/estero

14%

23%

Non c’è crescita

45%

17%

 

Tabella 2 – Fattori critici per la crescita all’estero

Italia

Media mondiale

assunzione di personale altamente qualificato

70%

77%

mancanza di conoscenze e contatti locali

69%

62%

mancanza di informazioni accurate sul mercato

61%

57%

accesso a spazi ufficio flessibili a costi ragionevoli

60%

57%

mancanza di supporto consolare e governativo

55%

34%

 

DRONITALY: Cresce di 50mila occupati al giorno l’industria mondiale dei droni

Se le cifre elaborate da Auvs International sono esatte, quella dei mezzi Unmanned (aerei ma anche terrestri e acquatici), è l’industria ad alto valore aggiunto che attualmente sta creando più posti di lavoro. Capiamoci: non si tratta di cinquantamila piloti di droni in più al giorno, ma di chi ne fabbrica i componenti e, in particolare, i software di guida. Sempre più costruttori, infatti, cercano di semplificare la condotta e il pilotaggio dei mezzi utilizzando protezioni algoritmiche che dopo essere state calcolate finiscono, sottoforma di software esecutivi o parti di esso, nei sistemi di controllo dei mezzi. «Le impostazioni e i metodi iniziali per pilotare droni sono state derivate dal modellismo radiocomandato e dall’impiego militare», sostiene l’ingegner Mark Rietchke, eccellenza dell’Mit di Boston e ora capo degli sviluppatori della sino-americana GKI, che spiega nel dettaglio a Dronitaly: «Ma gli operatori ora non desiderano dover addestrare i nuovi piloti mediante corsi costosi e lunghi, serve quindi una nuova codifica per la guida assistita; del resto l’aviazione e la marina insegnano; da sempre gli incidenti avvengono prevalentemente nelle fasi di decollo e atterraggio, manovre in porto e sottocosta. Ecco perché è necessario che anche i droni e gli Uas siano controllabili applicando le protezioni che i software garantiscono impedendo l’errore o le manovre oltre i limiti degli inviluppi di utilizzo. Se guardiamo per esempio al settore elicotteristico, gli incidenti capitano al 95% nelle vicinanze del suolo. Così, per gli Rpas, vogliamo creare un modulo standard certificato da sottoporre all’Faa che limiti il comportamento dei mezzi in alcune situazioni: tra tutte la perdita di data-link con la stazione di controllo, che farebbe assumere al mezzo un’orbita di attesa se le condizioni di missione lo permettono, lo porterebbe all’auto-distruzione oppure all’atterraggio controllato in area auto-rilevata come idonea e nella memoria, nel caso di quadricotteri. Per fare questo i programmatori devono specializzarsi con sistemi che sconfinano nell’elettronica integrata e nella robotica, divenendo così professionisti con una specializzazione unica. Si pensi per esempio a chi, in un’azienda piccola che produce mezzi Rpas ad ala fissa, deve risolvere problemi di aerodinamica e di controllo, lavorando in galleria di vento e con equazioni complesse per il controllo di parametri tipici dell’aerospazio, come i numeri di Reynolds. Insomma, tra specialisti di propulsione, di energetica per le batterie, aerodinamica, strutture, software e radiofrequenza, si è aperto un nuovo mondo di attività professionali che crescerà almeno per i prossimi vent’anni».