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Mercati africani più vicini con il Venture Lab di Altis

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MILANO – Mentre gli analisti socio-economici continuano a guardare all’Africa come al mercato del futuro, c’è chi si sta muovendo da tempo per favorirne uno sviluppo positivo anche nel presente. E’ la mission di E4Impact Foundation, la fondazione costituita da Altis, l’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica, che da una decina d’anni promuove un percorso formativo economico e manageriale rivolto agli aspiranti imprenditori di diversi Paesi africani, soprattutto dell’area centrale del Continente Nero. Il Global Mba in Impact Entrepreneurship, ideato e sviluppato da Altis, è offerto dalla fondazione e dall’Università Cattolica in sette Paesi africani, sempre in partnership con università locali: Kenya, Uganda, Etiopia, Ghana, Sierra Leone, Costa d’Avorio e Senegal. Nel prossimo anno accademico il programma sarà avviato anche in Gabon, Sudan e Zimbabwe. Frutto di questo intenso impegno formativo, finalizzato a creare legami stretti tra le imprese italiane e i nuovi imprenditori africani, è la Business Networking Week in Italy (http://e4impact.org/bnwi/), un programma di networking e di formazione imprenditoriale che E4Impact Foundation propone ai migliori imprenditori che hanno partecipato negli scorsi anni al Global MBA. Quest’anno la settimana, in programma a Milano dal 10 al 14 settembre, intende offrire agli imprenditori africani opportunità di networking con clienti, fornitori e potenziali partner, occasioni di visite aziendali e meeting con alcune eccellenze imprenditoriali italiane, momenti di incontro con potenziali investitori, sessioni di formazione con particolare attenzione ai temi di import/export e all’accesso ai mercati EU. Nel pomeriggio di martedì 11 settembre si terrà l’Italy-Africa Venture Lab, momento di incontro e networking tra attori del mondo finanziario e imprenditoriale italiano (investitori, start-up, pmi, incubatori, business services providers) interessati all’Africa e gli imprenditori africani, operanti in differenti settori: agricoltura, salute, energia, fin-tech, manifatturiero, educazione e formazione, information technology eccetera. I partecipanti avranno modo di accedere in anticipo al profilo degli imprenditori presenti e di esprimere le proprie preferenze per incontri one-to-one dedicati.

I ferrovieri USA parleranno italiano con le “cornette” Ermetris

GORIZIA – La tecnologia friulana conquista gli Stati Uniti: Ermetris, azienda specializzata nelle soluzioni innovative per il settore ferroviario, ha ricevuto da Amtrak, leader del trasporto ferroviario oltreoceano, una commessa per la fornitura di speciali “cornette intelligenti” con pulsantiera esterna per 30 treni ad alta velocità della linea Boston – New York e 120 convogli della California. Gli strumenti, appositamente sviluppati per rispondere a specifiche richieste di manutenzione, garantiranno la comunicazione tra il macchinista e i passeggeri e tra il macchinista e il personale ferroviario. «Parliamo di un particolare telefono ferroviario che viene connesso all’architettura di bordo e che funziona senza l’ausilio di altri dispositivi», spiega Claudio Borrello, amministratore e fondatore di Ermetris. «È uno strumento che viene integrato nel banco del macchinista per fare le comunicazioni con i passeggeri – comunicazioni di servizio, ma anche di sicurezza – e che permette anche di comunicare con i capitreno e con l’altro macchinista che si trova sul fronte opposto del convoglio. Una dotazione che abbiamo sviluppato custom, sia per quanto riguarda la pulsantiera sia per la cornetta. Il valore complessivo è di oltre 500mila euro». Ermetris è stata scelta da Amtrak dopo un’accurata indagine. Due i principali problemi da risolvere, entrambi riguardanti la manutenzione degli apparecchi: ridurre la rottura del meccanismo di fissaggio delle cornette e rendere più agevole la sostituzione del cavo spiralato. «Al posto del fissaggio meccanico, con conseguente sblocco meccanico, abbiamo sviluppato un sistema di ancoraggio della cornetta di tipo magnetico che garantisce la stabilità dell’apparecchio anche a fronte delle vibrazioni cui è sottoposto un treno. Per il cavo spiralato, particolarmente soggetto a rottura la cui sostituzione richiedeva un intervento di manutenzione su tutto l’apparecchio, con conseguenti tempi lunghi, è stato invece sviluppato un sistema di sgancio del solo cavo così da facilitare la riparazione e soprattutto non dover ricorrere alla sostituzione di tutta la cornetta», aggiunge Borrello. Non è la prima volta che Ermetris arriva al mercato americano. «Abbiamo in passato fatto delle forniture per un general contractor destinate agli Stati Uniti», ricorda l’ingegnere. «È la prima volta però che arriviamo al mercato statunitense in modo diretto. E lo abbiamo fatto con un prodotto definito come “standard” che, in quanto destinato ai macchinisti, viene sottoposto anche alla valutazione e approvazione da parte dei sindacati». Alla prima pre-serie di apparecchi che sono già stati consegnati, nei prossimi due anni seguirà la completa fornitura al colosso ferroviario americano. Amtrak opera infatti su 33.800 km di ferrovie connettendo 500 località di 46 Stati. Conclude Borrello: «Per un’azienda che è partita come start up solamente cinque anni fa questo è un grande risultato che conferma il trend di crescita di Ermetris e la bontà delle soluzioni a forte tasso di innovazione proposte».

Tecnologie di ispezione visiva: Antares Vision cresce del 52%

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TRAVAGLIATO – Antares Vision, società leader mondiale nelle macchine e sistemi per l’ispezione visiva, nelle soluzioni di tracciatura e nella gestione intelligente dei dati, continua il proprio trend positivo anche nel 2017. Il fatturato consolidato della multinazionale bresciana, infatti, ha fatto registrare una crescita del 52% toccando quota 89,3 milioni di euro (58,5 milioni nel 2016), con un Ebidta di 23,3 milioni di euro (+95% rispetto ai 11,9 del 2016), un EBbit di 22,4 milioni di euro (+101% rispetto agli 11,1 del 2016) e un utile netto di 16 milioni di euro (+72% rispetto ai 9,3 milioni di euro del 2016), con ammortamenti per 948mila euro e imposte per 6,3 milioni. I ricavi sono suddivisi nelle seguenti aree geografiche: 16% in Italia, 32% nei Paesi Ue e il 52% nel resto del mondo. Gli ordini raccolti nel 2017 sono stati pari a 107 milioni. Una crescita aziendale importante che non poteva non riguardare anche il personale, con l’assunzione nel 2017 di oltre 80 nuovi collaboratori altamente specializzati: la forza lavoro a livello globale supera adesso le 400 unità ed è stimata oltre le 500 entro la fine del 2018. «La nostra azienda – afferma Emidio Zorzella, CEO di Antares Vision –, dopo aver raggiunto nel 2017 il traguardo dei primi 10 anni di attività, prosegue nel suo importante percorso di crescita. Lo scorso anno abbiamo inaugurato il nostro Innovation Center di Galway, in Irlanda, ma anche un sito produttivo a Sorbolo (Parma) interamente dedicato all’ideazione e alla produzione di macchine d’ispezione innovative, consolidando al tempo stesso la nostra presenza internazionale in oltre 60 Paesi. Per l’esercizio 2018 puntiamo ad ampliare l’attività in nuovi settori di mercato come il food & beverage e i dispositivi biomedicali, oltre a far crescere ulteriormente il nostro network globale». Contando su 6 filiali estere (Usa, Germania, Francia, Brasile, Corea del Sud, India), Antares Vision è fornitore di 9 delle 20 principali aziende farmaceutiche mondiali, mentre sono oltre 25.000 i sistemi d’ispezione che assicurano ogni giorno la sicurezza e la qualità del prodotto, oltre 2000 linee di serializzazione installate in tutto il mondo, che garantiscono la tracciatura in tutta la filiera distributiva di oltre 5 miliardi di prodotti.

Grob acquisisce Dmg Meccanica per il know how sull’elettromobilità

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TORINO – Siglata l’acquisizione da parte del gigante tedesco Grob, leader nella fabbricazione di macchine utensili (5.600 dipendenti e revenue per 1,3 miliardi di euro nel 2016), dell’italiana Dmg Meccanica, azienda specializzata nella produzione di macchine e impianti per la fabbricazione di statori per motori elettrici, alternatori e generatori, al fine di intensificare il lavoro di ricerca e sviluppo nel settore dell’elettromobilità e proporsi così come un partner sempre più competente, soprattutto per l’industria automobilistica. Financial advisor dell’operazione: Translink Corporate Finance. «Il settore automotive sta vivendo una nuova rivoluzione industriale a livello globale», spiega Mauro Bussotti, partner Translink Strempel & Co. che ha seguito l’operazione. «La scommessa dei giganti europei, americani e orientali è quella di diventare, nei prossimi anni, sofisticati produttori anche di motori elettrici. Più bravi di giganti specializzati quali la Bosch tedesca, la Nidec giapponese, la Midea (Welling) cinese, che sarebbero i naturali e più attrezzati fornitori di motori elettrici per la trazione automobilistica. Ma la sfida non riguarda solo la competizione tra marchi storici per la supremazia sul mercato, riguarda soprattutto il barrare la strada a tante nuove Tesla che cercheranno di conquistare quote di mercato in tutte le fasce di questo settore industriale. Considerando che l’industria automobilistica, relativamente ai primi 18 gruppi, rappresenta un fatturato globale di circa 2.000 miliardi di dollari (in termine di vendite), si comprende quanto questa sfida sia strategica anche per l’economia dei relativi Paesi». La futura collaborazione si prefigura dunque come una situazione vincente per entrambe le aziende: Grob fa proprie nuove conoscenze nel campo dell’elettromobilità e Dmg Meccanica trova in Grob un partner solido dalla vocazione internazionale per la produzione in serie. Per il consolidamento di queste tecnologie nel settore dell’elettromobilità sono previsti ulteriori investimenti sia nella sede di Torino sia in quella di Mindelheim. Nel 2016 Dmg Meccanica, che conta quaranta dipendenti e nel suo portafoglio clienti annovera molti nomi importanti tra i produttori di motori elettrici e i fornitori dell’industria automobilistica, ha raggiunto un valore complessivo della produzione pari a 10 milioni di euro. I proprietari Mauro Marzolla e Marco Debilio resteranno con l’azienda, continuando a guidare Dmg Meccanica in qualità di amministratori delegati e mantenendo tutti i posti di lavoro nella sede italiana.

Rillosi: «In Extravega la flessibilità è al potere e crea eccellenza»

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PADERNO DUGNANO – La flessibilità? Per chi occupa una posizione manageriale di una famosa multinazionale, oppure è un giovane collaboratore di qualche millennial startup nel mondo del digitale, è certamente già dato per scontato, ma per i collaboratori di una azienda manifatturiera, non avere orari fissi di lavoro, è una cosa che fanno in poche, speciali aziende. Alla Extravega Architectural Fabrications di Paderno Dugnano, piccolo paese a nord di Milano, questa di “organizzarsi tra dipendenti” per il maggior bene comune è una storia che si crea giorno dopo giorno, fin dagli anni Novanta. «Il bene maggiore è il bene dell’azienda, ma è anche il bene di ogni singolo collaboratore, e il bene delle famiglie di questo micro-mondo che si chiama Extravega. E’ il maggior bene di tutti i clienti, che dal 1985, anno della fondazione, spingono da sempre questa azienda all’eccellenza. Ed ovviamente è anche il maggior bene di tutti i fornitori, che aiutano Extravega a migliorare le proprie performance e capacità, anno dopo anno», spiega il fondatore e amministratore Antonio Rillosi. Una trentina di dipendenti, di cui il 30 per cento sono donne, unica sede produttiva mondiale in Italia, con sedi commerciali all’estero, negli States, a Londra e in Australia, la Extravega produce al proprio interno il Made in Italy per gli architetti più esigenti e per i clienti più esclusivi: è un servizio ai progettisti di tutto il mondo, un laboratorio che lavora al proprio interno tutti i materiali: metalli, vetro, legno, marmo e materiali compositi. Materiali naturali, che diventano facciate, scale, arredi e pezzi d’arte. In Extravega si producono pezzi unici e parti importanti di progetti di design ed architettura, da installare in giro per il mondo. Potrebbe sembrare uno slogan, ma il lavoro che viene svolto è un mix di sapienza artigiana, auto-organizzazione che deriva dall’esperienza, engineering e progettazione all’avanguardia. E molta innovazione tecnologica. Alle quali si è aggiunta la voglia di innovare anche nell’ambito dell’organizzazione aziendale, e la mancanza di orari fissi per i dipendenti, che praticamente si autogestiscono, è uno dei tanti fatti inusuali che lo testimonia. «Ho iniziato lavorando nell’azienda di mio padre e questa cosa dell’orario fisso, del cartellino, della campanella che suona, come a scuola, mi ha sempre dato fastidio, è qualcosa che limita la persona. E le sue idee. Quando ho fatto il mio percorso ho voluto farlo diverso», racconta Rillosi, che aggiunge: «Non ci ha guidato certo il mero tornaconto personale: è partito tutto da quella idea che dietro al fatturato c’era di più, c’era qualche cosa di valore: le persone. Se lavori libero, se puoi esprimere le tue idee, lavori meglio e dai di più. E si costruisce un bel gruppo affiatato, dove gli obiettivi sono di tutti. E l’azienda va meglio». I sindacati? «Inesistenti, a cosa servirebbero? Avete mai provato a chiedere a un sindacalista di aiutarvi a risolvere un problema di momentanea indisponibilità economica? Oppure di accompagnarvi con una certa esperienza nella apertura del vostro mutuo della prima casa?». La flessibilità è negli orari e, quando serve, anche nelle mansioni: «Ognuno dei miei collaboratori sa fare benissimo più cose, e, alla bisogna, si sposta anche di ruolo, anche perché cambiano i prodotti. Si fanno oggetti diversi ogni volta, e le persone, così allenate al nuovo che avanza, ragionano con grande elasticità. E non si annoiano mai, imparando cose nuove, crescendo in esperienza. E in soddisfazioni personali». Non si timbra neppure il cartellino, ognuno segna le proprie ore e quelle si contano. «Ci sono anche dei problemi o qualche incomprensione, come in ogni gruppo di persone. È certo, però, che questo sistema funziona: oggi siamo una delle aziende leader e questo nostro modus operandi è una vittoria e non lo gettiamo via per qualche contrattempo per il nervosismo di una giornata». Molte aziende della new economy in California fanno così da sempre: «Quando ho creato Extravega ho voluto fare così: insieme ai miei ragazzi e ragazze abbiamo inventato un posto dove si vanno a fare delle cose, non “a lavorare”. Con passione e voglia di farle bene. Perché il cliente questo lo capisce, e vede la differenza fra noi e i nostri concorrenti». Un modello nuovo che si è fatto pratica, e incredibilmente funziona: «Certi sistemi “militareschi” spinti all’eccesso portano le aziende a chiudere. Invece con lo spirito creativo che c’è qui, tutti si sentono più liberi di inventare, di creare, di proporre idee. Questo sistema è il nostro: perché dobbiamo veramente combattere con le competenze. Con il saper fare di ognuno di noi. Per il bene di tutti noi, e del Made in Italy».

Lo storico “pomodoro” De Rica passa al Consorzio Casalasco

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CREMONA – Il Consorzio Casalasco del Pomodoro, leader in Italia nella coltivazione, produzione e trasformazione del pomodoro, e Generale Conserve Spa, azienda italiana specializzata in conserve alimentari, hanno siglato l’accordo definitivo per l’acquisto del marchio De Rica da parte di Casalasco. De Rica, storico marchio italiano, è da sempre sinonimo di prodotti naturali, genuini e di alta qualità, e grazie anche al rilancio avviato a fine 2013 da parte di Generale Conserve, gode di grande notorietà e copertura distributiva in Italia come in vari Paesi esteri, collocandosi nel segmento premium del mercato delle conserve vegetali. Il Consorzio Casalasco del Pomodoro, prima filiera italiana nella coltivazione e trasformazione di derivati del pomodoro, con un fatturato di 230 milioni di euro, oggi conta 370 aziende agricole associate che coltivano 7mila ettari di terreno dislocati nella Pianura Padana tra le province di Cremona (dove ha sede a Rivarolo del Re), Parma, Piacenza e Mantova. Una terra che oggi permette alle 550mila tonnellate di pomodoro fresco raccolto di essere trasformato nei 3 stabilimenti di proprietà della cooperativa in prodotti esportati in 60 Paesi nel mondo. Grazie all’accordo tra le due aziende, assistite dallo Studio Vitale & Co coadiuvato da Lmcr e dallo Studio De Bellis, l’acquisizione garantisce che De Rica resti in Italia. L’operazione riporta il rinomato brand nella sua zona originaria di produzione e decreta il passaggio di un altro importante marchio italiano direttamente in mano al mondo agricolo cooperativo, espressione di una filiera tutta italiana con un forte legame col proprio territorio d’origine.

Gellify entra in Silicon Valley investendo nella startup Beaconforce

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BOLOGNA – Gellify, piattaforma di innovazione B2B in grado di connettere le start up software digital alle aziende tradizionali, annuncia l’ingresso nel proprio programma di gellificazione di Beaconforce, piattaforma che tramite l’ascolto e il feedback continuo tra dipendenti e manager permette di migliorare la loro motivazione intrinseca e quindi la produttività, la retention dei talenti e le performance dei team. Con la piattaforma SaaS, Beaconforce trasforma i feedback forniti dai dipendenti con una apposita app mobile in informazioni strutturate, attraverso algoritmi di intelligenza artificiale. La start up nasce nel 2016 a San Francisco ed è già un’azienda distribuita a livello globale con risorse negli Stati Uniti, in Italia, in India, in Canada e in UK. «L’ingresso di Beaconforce nel portafoglio di Gellify rappresenta il nostro primo importante investimento in una realtà della Silicon Valley ad alto potenziale di crescita – dichiara Fabio Nalucci, CEO e founder di GELLIFY – perché va incontro, sfruttando le analytics e l’intelligenza artificiale, a una delle più grandi criticità delle aziende di oggi, ovvero la gestione e il coinvolgimento delle risorse umane e dei talenti». «L’idea di Beaconforce nasce dai risultati di oltre vent’anni di studi scientifici e accademici – dichiara Luca Rosetti, Ceo di Beaconforce – che hanno dimostrato che le persone sono realmente motivate da una spinta interiore che le fa agire per propria gratificazione personale, perché sono immerse in un’attività coinvolgente e appagante. La forza della motivazione intrinseca e dell’efficacia di questi studi è evidente anche dal successo dei progetti Beaconforce, in tutto il mondo: nei primi due mesi dall’adozione da parte dell’azienda oltre il 70% dei dipendenti entra spontaneamente nel nostro circolo virtuoso di feedback». Beaconforce è uno strumento di ascolto e non di controllo e consiste nel ricevere quotidianamente da parte dei dipendenti due domande a risposta multipla a cui è possibile rispondere volontariamente e in maniera anonima. In questo modo la persona si sente parte integrante e attiva dell’organizzazione e fornisce al contempo dati ed informazioni, che vengono poi tradotti in raccomandazioni pratiche consigliate ai manager. Gellify opera tramite altre due business unit: Gellify Air, focalizzata sui programmi di innovazione delle aziende italiane, per creare un flusso di innovazione che congiunga imprenditori digitali ed imprenditori tradizionali con un verticale sull’Industria 4.0, e Gellify Investment, composta da un team di sei investitori, che si posiziona accanto ai principali venture capitalist italiani come capacità di investimento in start up.

  

Royal Group: tutta l’energia che serve alla ripresa delle pmi

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COMO – Mentre l’economia italiana continua a mandare chiari segnali di ripresa, soprattutto per i settori con maggiore attività sui mercati esteri, si affaccia all’orizzonte una stagione di accelerazioni anche sul fronte del costo energetico: «Quando aumenta la domanda, proprio a causa della ripresa delle attività produttive, cresce il valore dell’offerta. E’ quanto sta avvenendo anche nel comparto energetico con i rincari del costo della materia prima già registrati nell’ultimo trimestre, con l’impennata di novembre», spiega Vincenzo Forino, amministratore delegato di Royal Group (www.royalgroupsrl.it), società che opera dal 2007 – cioè dall’avvio del mercato libero dell’energia – come fornitore diretto di energia elettrica e gas a imprese, pubbliche amministrazioni e istituzioni private. Nell’ultimo decennio l’evoluzione del prezzo dell’elettricità è stata generalmente in crescita, ad eccezione del biennio 2009-2010, per l’effetto della crisi economica che ha colpito il Paese. Nel 2017 il prezzo all’ingrosso dell’energia ha subito un aumento dovuto alla chiusura delle centrali nucleari in Francia, che ha fatto salire il costo anche nelle nostre bollette. Così Royal Group ha avviato una strategia commerciale finalizzata all’ottimizzazione del costo dell’energia, sia attraverso la possibilità di interventi di efficientamento energetico, sia soprattutto mettendo in campo un squadra di consulenti d’area per una presenza capillare nei territori dove maggiore è la richiesta di energia a fini produttivi, cominciando proprio dal nord Italia. «Stiamo investendo nello sviluppo di una rete di consulenti commerciali che possa affiancare gli imprenditori nella valutazione e nella scelta delle migliori condizioni tariffarie, per poter garantire sensibili risparmi economici e una forte componente di servizio», aggiunge Alberto Viotto, responsabile commerciale nord Italia. Come si muove il team Royal Group? «Vogliamo umanizzare il rapporto tra fornitore e cliente, superando la logica asettica e spesso inefficiente del call center. Il nostro primo contatto tende ad analizzare le fatture sia di energia elettrica sia di gas naturale per valutare il posizionamento economico sul mercato, individuare eventuali voci poco “trasparenti” in fattura e favorire abbattimenti di tassazione, con un resoconto oggettivo che può anche confermare la validità del contratto in essere. Infatti il nostro obiettivo non è la vendita, ma la creazione di clienti soddisfatti e fidelizzati. In seconda battuta formuliamo un’eventuale offerta commerciale migliorativa, con riduzione di Iva e accise (ove possibile per legge), ripartizione vantaggiosa per kw/h o Smc, procedure snelle e rapide per la risoluzione di problematiche tecnico-contabili, gestione diretta di nuovi allacciamenti o aumenti-riduzioni di potenza dei contatori, progetti di efficientamento in ambito civile, industriale, commerciale». Royal Group sta inoltre procedendo alla stipula di convenzioni e accordi quadro con associazioni di categoria e territoriali, per favorire forniture e tariffe su misura per i diversi comparti economici (industria, artigianato, commercio, terziario eccetera). Grazie alla convenzione siglata con Voxfabrica, è possibile richiedere gratuitamente la valutazione del proprio conto energetico e ricevere un’offerta a condizioni migliorative. Per maggiori informazioni rivolgersi a: direzione@voxfabrica.it.

Film plastici: AMB apre il secondo polo e raddoppia la produzione

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S. DANIELE DEL FRIULI – Alla luce del trend positivo dei risultati economici, del piano di investimenti pluriennale e di un avanzato modello di innovazione del prodotto, AMB Spa – azienda italiana e punto di riferimento internazionale per la realizzazione di film plastici multistrato destinati prevalentemente al packaging di alimenti – annuncia il nuovo piano di sviluppo e l’apertura di un secondo stabilimento ad Amaro, che dal luglio affianca lo storico quartier generale di San Daniele del Friuli. Il nuovo insediamento, frutto di un investimento di 6,6 milioni di euro, si trova ad Amaro e supera i 25 mila metri quadrati, destinati a produzione, logistica e uffici direzionali. Il graduale aumento della capacità produttiva tramite l’acquisto e l’installazione di nuovi impianti di estrusione e della prima linea produttiva Cast si completerà entro il 2017 e permetterà di ottenere una produttività complessiva pari a 65 mila tonnellate, di cui 15 mila derivanti dalla nuova produzione di Amaro; cifra quest’ultima destinata a raddoppiare entro il 2018. Dal punto di vista dell’occupazione, ai 230 dipendenti attualmente impiegati nella sede originaria di AMB Spa se ne aggiungono 41 per il secondo sito, che raggiungerà a breve quota 110 addetti. L’investimento per l’espansione di AMB Spa nel biennio 2017-2018 è di 15 milioni di euro e permette di prevedere un fatturato 2017 che supera 100 milioni di euro (il fatturato del 2016 è di 89,3 milioni di euro). Per il turn over 2018 si punta a 113 milioni di euro. «La crescita costante di AMB e la volontà di essere partner strategici nei progetti di crescita dei nostri clienti – dichiara il presidente Bruno Marin – ci hanno indotto a trovare nuovi spazi produttivi e logistici, oltre che per il management. Il sito si trova in un’area geografica importante che consente velocità ancora maggiore nel raggiungere i mercati di riferimento. Alle positive ricadute occupazionali, all’aumento della produttività e della solidità offerta ai clienti, si conferma lo spirito innovatore che ci contraddistingue da sempre, con prodotti tecnologicamente performanti che coprono tutte le esigenze del cliente e servizi avanzati: dalla progettazione alla consegna del prodotto finito, ovvero alla sua completa gestione». L’impegno di AMB Spa per una produzione sostenibile è costante e dimostrato dagli importanti progetti avviati nell’ultimo triennio. Progetti che sono diventati realtà e dettano il trend del mercato del packaging alimentare di qualità. Oggi AMB Spa è in grado di produrre con materiali riciclabili monocomponenti, suddivisi in diversi strati e per diverse funzionalità. La produzione water-based per il mondo della plastica è stata un’autentica rivoluzione: grazie all’assenza di solventi, i prodotti alimentari hanno garanzia di totale preservazione dalla migrazione di sostanze indesiderate, mantenendo un’eccellente qualità di produzione: identici colori, versatilità grafica, possibilità di soluzioni e finiture accattivanti. La tecnologia water-based dà vantaggio competitivo a tutte le aziende che propongono alimenti basati su ingredienti di qualità, rispetto per l’ambiente e risposta – anticipata – alle norme sempre più restrittive in materia di imballaggio.

 

Da Phonetica a Ingo: nasce il gruppo delle relazioni “human to human”

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MILANO – Ha avuto per teatro il World Business Forum di Milano l’annuncio di Phonetica, azienda italiana da vent’anni leader nel customer care e nelle relazioni “human to human”, che ha comunicato alla business community la nascita di una nuova struttura societaria, 100% italiana, primo atto del piano industriale 2020. Leader nel mondo del business process outsourcing, Phonetica Spa ha deciso di rinnovare la propria struttura corporate, creando il nuovo Gruppo Ingo, a cui faranno capo quattro società: Phonetica Srl, che rafforza la propria focalizzazione nella gestione delle relazioni in outsourcing, Intoowit Srl, technology solution provider, Tessa Srl, società di relation design, e Oppplà, la nuova business unit dedicata ai nuovi processi di vendita multicanale. Un bundle unico nel mercato dei servizi. È stato lo speaker d’eccezione del Forum, Nicholas Negroponte – cofondatore del Massachusetts Institute of Technology Media Lab e punto di riferimento mondiale per quanto riguarda l’innovazione e la visione del futuro – a lanciare Ingo durante il suo speech. «In questo momento di grande evoluzione tecnologica, è nostro obiettivo accompagnare le aziende nell’innovazione delle loro relazioni con servizi, prodotti e percorsi di empowerment di eccellenza», ha dichiarato Marco Durante, ceo di Ingo. «La nostra organizzazione è sana e solida, le nostre competenze si continuano ad arricchire; le aziende che si affidano a noi ci stanno dando fiducia nel continuare sulla strada del valore. La crescita conseguita in questi anni e l’impegno verso tutte le persone che collaborano con noi ci motiva a guardare avanti e ad abbracciare nuove sfide per mantenere la nostra competitività e il nostro posizionamento sul mercato. Da oggi nasce quindi un Gruppo che vuole proporre al mercato un’offerta d’eccellenza nella gestione dei processi di relazione delle aziende». Attraverso le specializzazioni di competenze e processi delle società del gruppo, Ingo sarà in grado di fornire un’offerta unica sul mercato attraverso soluzioni integrate: dai servizi cross channel di contact center, allo sviluppo di software e soluzioni digitali IoT, fino ai percorsi consulenziali per esprimere il massimo del potenziale relazionale delle aziende.

 

Il Circolo delle Imprese “atterra” al Corefab, l’hub dell’innovazione

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CORMANO – La ripresa dopo l’estate avrà il colore della…meccanica: Corefab, centro lombardo per la ricerca e l’innovazione al servizio delle pmi, organizza il primo aperitivo di rete promosso dal Circolo delle Imprese, l’associazione culturale fondata tre anni fa da Alessandro Fiorentino e già attiva nel nord Italia con decine di incontri di business matching e networking per gli imprenditori. Martedì 19 settembre (inizio ore 18,30) saranno protagonisti imprenditori e professionisti attivi nel settore dell’industria e della filiera meccanica, che si confronteranno sul tema “Lo stile dell’innovazione” con testimonial come Mirco Gasparotto, presidente del Gruppo Arroweld, principale player nazionale nella distribuzione di attrezzature e utensili per l’industria (otto società, 100 milioni di euro di fatturato) e Claudio Aiolfi, direttore generale della Officine Aiolfi, eccellente azienda cremasca (60 dipendenti) specializzata nella produzione di componenti per l’automotive. L’evento sarà anche l’occasione per generare contatti e relazioni per lo sviluppo del business, secondo la mission del Circolo delle Imprese, focalizzata sull’aggregazione e la valorizzazione delle diverse attività aziendali e professionali. Per partecipare all’evento occorre registrarsi, accedendo al form di iscrizione gratuita (quota per aperitivo: 20 euro):

https://www.eventbrite.it/e/biglietti-il-circolo-delle-imprese-e-corefab-lo-stile-dellinnovazione-36540801521#tickets.

Welfare all’avanguardia con parco e frutta fresca per i dipendenti di Eolo

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BUSTO ARSIZIO – Un parco “aziendale” dove camminare o fermarsi a sorseggiare un tè, frutta fresca disponibile a ogni piano e docce per sciacquarsi e cambiarsi dopo un’oretta di jogging: non succede solo nelle company hi-tech della Silicon Valley, ma anche in provincia di Varese. Per la precisione in Eolo, azienda di telecomunicazioni con 300 dipendenti a Busto Arsizio. Alla base della filosofia aziendale, infatti, c’è l’attenzione per la salute e per l’ambiente. «Occuparsi di telecomunicazioni non vuol dire soltanto dedicarsi a tecnologia e innovazione: significa vivere a stretto contatto con il territorio e le persone, e imparare ad averne rispetto. A partire dai dipendenti dell’azienda che da sempre vivono in un’atmosfera green», commenta il Ceo di Eolo, Luca Spada. L’ultima iniziativa è la realizzazione di Eolo garden: un’area di 930 metri quadrati che sotto le fronde di querce, tigli, ginko e frassino ospita cinque aree relax e due grandi tavoli. Questo spazio è a disposizione di tutti i dipendenti ed è un luogo di aggregazione, collaborazione e riflessione. Anche il ristorante aziendale è curato nei minimi dettagli: il cuoco ogni giorno prepara nella cucina allestita in Eolo cibi pronti per essere consumati. Ma a disposizione dei dipendenti c’è anche una “area del fresco” dove ciascuno può prepararsi in autonomia una ricca insalata E il momento dei pasti diventa anche un’occasione per sviluppare la collaborazione: «Una volta al mese o in occasioni particolari viene organizzata una colazione a tema dove tutti si ritrovano per un momento di condivisione e di socializzazione, al di fuori della quotidianità e dell’ufficio. È un altro modo di fare rete», aggiunge Spada. Eolo è anche “sport friendly”. Molti dipendenti praticano la corsa in pausa pranzo. Per questo in azienda sono stati allestiti alcuni spogliatoi con docce per potersi preparare allo sport e cambiarsi per poi tornare al lavoro. Massima attenzione anche alla nutrizione. Cesti di frutta fresca e di stagione sono a disposizione dei dipendenti e i distributori automatici contengono anche prodotti biologici e salutari. A ogni piano è presente un distributore per l’acqua naturale, frizzante e calda. Ai dipendenti sono state regalate delle borracce e tazze per il tè personalizzate con il proprio nome, in modo da minimizzare gli sprechi di plastica e incentivare il riuso.  

Industria 4.0: Ungari Group lancia la sfida del miglioramento continuo

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CORMANO – «La vera sfida dell’Industria 4.0 è la possibilità, oggi a portata di mano, di cambiare in meglio i nostri modelli organizzativi e aumentare la nostra competitività attraverso le persone che lavorano con noi, con l’obiettivo di generare più valore a favore dei clienti»: così Marco Ungari, amministratore unico di Ungari Group, inquadra le finalità dell’evento organizzato a metà maggio presso la sede operativa del gruppo, che alla presenza di un parterre di grande rilevanza impreditoriale e istituzionale – Maurizio Mazzieri di Toyota Material Handling Italia, Emanuele Cesari di Toyota Academy, Stefano Valvason di API Milano, Massimo Levratto di Samsung, Paolo Barbateli di Rold e Michele Crivellaro di Centro Sistemi – e con la partecipazione di oltre 150 addetti ai lavori, ha messo a tema il modello del Toyota Way e gli strumenti del programma governativo Industria 4.0 come vera e propria sfida per le piccole e medie imprese.
«Questo incontro – prosegue Ungari – ci ha dato l’opportunità di approfondire la conoscenza del mondo Toyota e scoprire così i benefici derivanti dall’applicazione dei principi del Toyota Way e del TPS (Thinking People System) inteso come modello organizzativo». Per Ungari Group l’implementazione del TPS ha rappresentato una svolta significativa, «perché è un sistema di management che mette le persone al centro: il TPS permette ai membri di un team di incrementare la qualità ottimizzando costantemente i processi e eliminando inutili sprechi. In estrema sintesi, è l’applicazione del “buon senso” quotidiano a problematiche anche complesse». A cui ha fatto seguito l’implementazione di nuove metodiche gestionali e nuove tecnologie – davvero in linea con l’Industria 4.0! – per rendere più “smart” i processi aziendali.
Sul Toyota Way quale premessa “culturale” allo sviluppo dei concetti di fabbrica intelligente o smart factory è intervenuto Maurizio Mazzieri: «Se riteniamo che oggi il valore di un prodotto sia fatto dal cliente, che lo vuole sempre più customizzato, allora si può dire che il sistema Toyota come paradigma produttivo sia il più conveniente in questo scenario. Però in Toyota sappiamo anche perché da noi funziona e altrove no, se non raramente. Perché questo non è il TPS ma il Toyota Way, dove le due parole magiche sono monozukuri, cioè l’arte di saper fare le cose attraverso le persone, e hitozukuri, ovvero l’arte di saper formare le persone. Senza di questo non funzionerebbe la lean o la smart factory, e quindi non sarebbe possibile passare all’Industria 4.0». Concetti esplicitati da Emanuele Cesari, che con la Toyota Academy sta diffondendo formazione e consulenza sul modello Toyota presso le pmi italiane, e trasformati in case history di successo nell’esperienza condotta dalla Rold, azienda manifatturiera che produce componenti elettronici per l’industria, in collaborazione con Samsung, colosso mondiale dell’elettronica di consumo, i cui prodotti consumer sono stati utilizzati in modo innovativo da Rold per generare miglioramento continuo nell’organizzazione aziendale, sfruttare tutti i vantaggi degli investimenti attuati sulla produzione e aumentare in modo marcato il fatturato proprio a partire dall’inizio della crisi. Anche Centro Sistema, con il gestionale Itek, ha mostrato in che modo la tecnologia informatica resa “amichevole” possa ottimizzare flussi di informazioni tecniche e commerciali agevolando il lavoro dell’intero staff aziendale. Lo ha ribadito Stefano Valvason, confermando che questa svolta epocale è realmente a portata di mano, grazie anche alle agevolazioni fiscali comprese nel piano nazionale per l’Industria 4.0.

 

Non solo robot: per l’Industria 4.0 servono persone che pensano

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CORMANO – Industria 4.0? Il tema è di stringente attualità, al punto che Ungari Group e Toyota Academy vi dedicano una giornata di studio e dibattito: il prossimo 11 maggio, presso la sede dell’azienda milanese specializzata nella distribuzione e assistenza dei carrelli elevatori Toyota, si tiene l’evento “La sfida per le PMI 4.0 – Ungari, un’esperienza di successo. Il metodo Toyota genera valore aggiunto al cliente” (scarica il programma). Ospite d’eccezione Maurizio Mazzieri, Deputy Managing Director di Toyota Material Handling Italia, uno dei massimi esperti internazionali nell’ambito del Toyota Production System, del Toyota Way e del Lean Thinking & Manufacturing e della logistica, protagonista dell’intervista esclusiva che segue.

Chiariamoci subito le idee: cosa significa Industry 4.0?

«E’ una buzzword coniata da Siemens, ripresa nel 2009 dalla Merkel e inserita nel piano di sviluppo industriale tedesco del triennio 2009-11. Noi ne parliamo oggi come se fosse una grande novità, probabilmente scoperta grazie agli strumenti di incentivazione come ammortamento e superammortamento, ma in realtà è un concetto maturo, che riguarda l’evoluzione dei sistemi di produzione industriale. Industria 4.0 – o smart factory o fabbrica intelligente – è il quarto gradino di questa scala evolutiva, preceduto dal primo che è il vapore, ovvero Taylor e il taylorismo; dal secondo, cioè la catena di montaggio di Henry Ford e la mass production, affiancata dalla lean production, ovvero il Toyota System; e dal terzo, vale a dire l’avvento e la diffusione dell’information technology».

Quali sono i concetti base dell’Industria 4.0?

«Stiamo parlando di economia della conoscenza, quindi come sempre il valore risiede nel sapere e nelle idee. Il concetto innovativo è che la conoscenza può essere trasferita alle macchine, quindi ai sistemi di produzione, e che le macchine possono imparare autonomamente. Quindi la conoscenza, secondo queste teorie, può essere generata dalle macchine».

E su quali capisaldi si fonda?

«Primo: la robotica applicata a sistemi cognitivi, quindi i sistemi di produzione intelligenti: Secondo: il CPS, ovvero Cyber physical system, cioè l’integrazione tra reale e virtuale. Terzo: lo IoT, ovvero Industrial Internet of Things, e ancora parliamo di connessione e collaborazione. Quarto: Big Data Analytics, ovvero generazione di conoscenza dall’analisi di dati complessi. Quinto caposaldo: cooperazione tra uomo e robot nell’ecosistema industriale dotato di sistemi di produzione intelligenti, ovvero connettivi e collaborativi».

Ma la robotica “intelligente” non è una novità…

«Se parliamo di percezione di dati e segnali da parte di macchine, mediante sistemi sensoristici, era una funzione esistente già nel 1960.  Il problema attuale è di attaccarci le informazioni, cioè conoscenza, per generare intelligenza, sia essa umana che artificiale. Quindi, al di là delle ipotesi catastrofiche sulla perdita di otto milioni di posti di lavoro, io non sono molto preoccupato, perché vedo il robot come strumento collaborativo. Rispetto a 70 anni fa – quando il padre del Total Quality System, Taichi Ohno, poi ribattezzato TPS (Toyota System Production) dal fondatore di Toyota Kiichiro Toyoda, diceva che il lavoro dell’uomo si divide in due categorie: quello manuale, che può essere automatizzato, e quello oculare che non può essere automatizzato, semmai autonomizzato – oggi i robot vedono e possono individuare simboli e numeri ma non possono comprenderne la semantica e non sappiamo se e quando questo potrà mai accadere».

Come impattano questi capisaldi nell’ambito dell’industria italiana?

«Il problema è: chi ha recepito la questione dell’Industria 4.0? Perché io non conosco ne’ in Italia ne’ in Europa un’azienda che stia applicando tutti i capisaldi enunciati. Per qualcuno significa solo integrare manifatturiero e digitale. Attenzione però: si corre il rischio di digitalizzare gli sprechi. Se si introducono questi concetti evoluti nelle aziende così come le conosciamo oggi, rischiamo di avere un sacco di dati senza sapere come usarli. Dopo la crisi di Lehmann Brothers, il management è entrato in una spirale di “rifiuto della decisione”: siamo certi che disporre di tanti, troppi dati aiuti gli imprenditori a decidere? La verità è che non può esistere smart factory senza lean factory, altrimenti andremo a digitalizzare le inefficienze. Se per creare valore avvio determinate azioni senza eliminare gli sprechi – concetto di value stream mapping o mappatura del flusso di valore – alla fine avrò mille sensori che mi diranno in modo cibernetico che ho ancora poco valore e tanti sprechi. Potrò arrivare all’Industria 4.0 se prima riuscirò a identificare che cos’è il valore, se avrò alimentato la catena di creazione del valore anche attraverso la caccia agli sprechi, e soprattutto se avrò analizzato questo valore con gli occhi del cliente, principio che è alla base del Toyota Way. La cosa importante è che i creatori di questo valore saranno ancora gli uomini, perché i robot possiamo continuare a intenderli come strumenti di collaborazione e non sostitutivi dell’uomo».

Quindi il primo obiettivo è formare le persone?

«Una ricerca americana del 2007 ha rivelato che, da quando è uscito il libro “Toyota, la macchina che ha cambiato il mondo”, il 70% delle aziende manifatturiere Usa ha provato ad applicare il TPS e il 74% di queste non ci è riuscita, così come il 20% delle aziende giapponesi applica il TPS e l’80% no. C’è un’importante attività di conoscenza e formazione su cui concentrarsi, prima di introdurre nuovi paradigmi organizzativi o tecnologici. Se riteniamo che oggi il valore di un prodotto sia fatto dal cliente, che lo vuole sempre più customizzato, allora si può dire che il sistema Toyota come paradigma produttivo sia il più conveniente in questo scenario. Però in Toyota sappiamo anche perché da noi funziona e altrove no, se non raramente. Perché questo non è il TPS ma il Toyota Way, dove le due parole magiche sono monozukuri, cioè l’arte di saper fare le cose attraverso le persone, e hitozukuri, ovvero l’arte di saper formare le persone. Per noi, al centro del processo c’è sempre l’uomo: non ci sentiamo antitetici alla mass production, non siamo mai stati antitetici al taylorismo, abbiamo solo introdotto un nuovo paradigma produttivo sostenuto dal Toyota Way. Senza di questo non funzionerebbe la lean o la smart factory, e quindi non sarebbe possibile passare all’Industria 4.0. Lo ricordo ancora: per Toyota, Industria 4.0 è possibile solo with the human touch!».

Le piccole e medie imprese italiane possono applicare questo modello?

«Credo proprio di sì, a giudicare dalla crescita della Toyota Academy, la nostra business unit nata per erogare formazione e consulenza alle imprese di qualunque dimensione. Il motivo per cui training e consulting sono parti imprescindibili è legato al modo in cui intendiamo il principio giapponese del kaizen (ovvero “cambiamento per raggiungere la perfezione”, n.d.r.), che noi traduciamo in continuous improvement: a cosa serve introdurre in azienda un meraviglioso piano di efficientamento senza formare le persone che dovranno applicarlo?  Di fatto, penso che tra cent’anni Toyota sarà ricordata come azienda più per il change management che non per il paradigma produttivo».

Sì, ma Toyota ha un Edibta di 80 milioni di dollari al giorno. Come può calarsi il suo metodo in imprese di 50-100 addetti che fatturano mediamente dai 15 ai 50 milioni di euro all’anno?

«Sicuramente le pmi italiane possono applicarlo, forse più delle medio-grandi aziende francesi o tedesche, proprio se prendono come paragone la Toyota, che è nata piccolissima e ha avuto un’ascesa né rapida né ineluttabile, passando anche per momenti critici. Quando è stata fondata nei primi anni ’50, il Giappone era povero di risorse, proprio come l’Italia, con un’orografia come quella italiana che non facilitava la logistica. Sa perché è nata la lean production? Quando il figlio del fondatore chiese al padre di avviare una fabbrica di auto, il signor Toyoda gli impose di impiantarla in un capannone lungo non più di 300 metri, così che se l’azienda fosse fallita si poteva utilizzare per altre attività, vendere o affittare facilmente. Quindi la capacità di lavorare con poche risorse, di aguzzare l’ingegno, di partire da piccole imprese familiari, accomuna un colosso come Toyota – nato inizialmente come impresa di lavanderia e tessitura – a decine di migliaia di aziende italiane. Noi italiani siamo creativi come e forse più dei giapponesi, probabilmente abbiamo anche la stessa capacità di affrontare e risolvere i problemi; quello che un po’ ci manca è lo spirito di squadra, perché siamo individualisti, e la disponibilità a unire un po’ di sana disciplina al nostro fantastico buon senso».

Telefono Arancione, un anno ben speso a salvare imprenditori in crisi

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Oltre cinquanta casi gestiti, con il coinvolgimento di ex-imprenditori e professionisti: l’Associazione San Giuseppe Imprenditore ha presentato il bilancio di un anno di attività del Telefono Arancione e ha lanciato due progetti per una nuova cultura della buona imprenditorialità, avviando una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Buonacausa.org e promuovendo la realizzazione del film “Cerchi di luce” 

ASTI – Dalle terre del Monferrato si alza forte il grido di orgoglio e fede delle centinaia di imprenditori che animano la vita dell’Associazione San Giuseppe Imprenditore, fondata e presieduta da Lorenzo Orsenigo, ex-imprenditore obbligato al concordato per tutelare i suoi 180 dipendenti: «Con il Telefono Arancione stiamo aiutando decine di titolari d’azienda ad affrontare il dramma della crisi e del fallimento, cercando di salvaguardare la loro dimensione umana e morale e possibilmente anche il patrimonio personale. E’ ora che anche le istituzioni, a cominciare dalla Chiesa cattolica, prendano in considerazione l’esperienza a volte, purtroppo, tragica di persone che hanno investito tutto nella loro attività imprenditoriale, in modo onesto e spesso coinvolgendo tutta la famiglia, e che si trovano a fare i conti con situazioni senza via di uscita, in solitudine e dimenticati da tutti».

Il bilancio del Telefono Arancione, servizio nazionale non profit di ascolto e aiuto agli imprenditori in crisi, avviato a giugno 2016 e gestito da ex-imprenditori e professionisti volontari supportati dagli operatori del call center specializzato di Phonetica, è stato presentato nell’ambito della Festa di San Giuseppe, organizzata dalla Congregazione degli Oblati di San Giuseppe Marello. Oltre duecento chiamate ricevute, una cinquantina di casi presi in carico e seguiti per risolvere le situazioni più critiche e individuare soluzioni tecniche in grado di tutelare le persone e aggregare ex-imprenditori per dar vita a nuove idee d’impresa.

Dall’attività del Telefono Arancione è nato un nuovo progetto, che sarà lanciato a Milano il prossimo 30 marzo presso il centro per l’innovazione industriale Corefab: l’Accademia di San Giuseppe. «Oggi il 23% dei leader di aziende familiari, che costituiscono la stragrande maggioranza delle imprese italiane, ha più di 70 anni e deve affrontare il tema della successione aziendale nei prossimi 5 anni», spiega Sandro Feole, commercialista e responsabile dello staff di professionisti volontari che gestiscono la fase tecnico-giuridica del Telefono Arancione. «L’Accademia nasce per la trasmissione di valori e metodi fondati su forme di buona imprenditoria, nonché per contribuire alla analisi, gestione e definizione del passaggio generazionale, al fine di dare nuova linfa a un’ampia parte del tessuto imprenditoriale italiano, promuovendo attività culturali e formative».

La seconda novità è il Premio San Giuseppe Imprenditore, che sarà assegnato nel 2018 e per la prima volta riconoscerà il merito sia dell’imprenditore sia dei suoi dipendenti e collaboratori, proprio per premiare tutti coloro che contribuiscono al successo di un’azienda. Dei criteri con cui saranno selezionate le imprese candidate al premio ha parlato il professor Oreste Bazzichi, docente di Filosofia sociale ed etica economica alla Pontificia Facoltà San Bonaventura Seraphicum di Roma e presidente della giuria, di cui fanno parte tra gli altri l’ex leader della Uil Giorgio Benvenuto, presidente della Fondazione Bruno Buozzi, e Adriano Tomba, segretario generale della Fondazione Cattolica Assicurazioni: «Cerchiamo imprese in cui coesistano almeno tre fattori di crescita e sviluppo in senso etico: un alto senso civico, che significa collaborazione e condivisione di valori tra le persone; rispetto dell’ambiente, iniziando da dove si vive e si lavora; responsabilità, ovvero essere “abile” a “rispondere” alle conseguenze delle proprie azioni».

Tra le attività promosse dall’associazione spicca quella culturale, come spiega Paolo Goglio, coordinatore dell’area di intervento psicologico del Telefono Arancione: «Abbiamo dato vita a una linea editoriale per pubblicare una serie di volumi già disponibili sia in formato cartaceo che elettronico, tra cui la nuova edizione del libro di Orsenigo “Rabbi. La Buona imprenditoria nei Vangeli”, sulle principali piattaforme internazionali tra cui Mondadori, Feltrinelli, IBS, Amazon. Inoltre stiamo completando la produzione del nostro primo film, “Cerchi di luce”, che sarà a breve distribuito nelle sale cinematografiche, con l’obiettivo di creare eventi di promozione dell’associazione».

Crisi aziendali: come salvare l’impresa prima che sia troppo tardi

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OLGIATE MOLGORA – «Quando i bilanci cominciano a scricchiolare e la situazione inizia a manifestare delle criticità, sia economiche sia finanziare, l’imprenditore si trova di fronte a un bivio: proseguire o fermarsi? In sostanza, prima che si entri nel tunnel della vera e propria crisi aziendale, c’è una fase in cui si possono adottare misure efficaci per salvaguardare l’azienda, tutelare i lavoratori e proteggere il patrimonio del datore di lavoro. Vogliamo dare agli imprenditori alcuni strumenti utili a “decifrare” la mappa della crisi e capire come muoversi»: così Sandro Feole, titolare dello Studio Feole Centrimpresa (039.9900934), presenta il seminario che si tiene mercoledì 22 marzo (inizio alle ore 17) presso la sede di Olgiate Molgora (Via al Lavatoio 1), nell’ambito del programma “Milano è qui”, sul tema “L’impresa oltre la crisi. Le procedure concorsuali: un’opportunità da considerare? Anticipare gli effetti negativi, valutare le attività preventive: una visione nuova dopo le esperienze di questi anni”, con interventi di Sandro Feole, Giovanna Rango (Foro di Milano), Niccolò Nisivoccia (Foro di Milano), Gaetano Laghi (Foro di Napoli) e coordinamento di Franco Lo Passo (Foro di Milano). L’idea del seminario nasce dall’esperienza di Feole come vicepresidente dell’Associazione San Giuseppe Imprenditore e responsabile “tecnico” del Telefono Arancione, il servizio di ascolto e aiuto per imprenditore in grave difficoltà. «Il Telefono Arancione è una ciambella di salvataggio data a chi sta per annegare», racconta Feole in un’intervista a Business People. Dietro al Telefono Arancione, partito nell’estate 2016 e che ha già registrato centinaia di telefonate, l’associazione sta cercando di creare una rete di professionisti a livello nazionale in grado di fornire servizi gratuiti di prima assistenza agli imprenditori in forte difficoltà. «E’ importante avviare percorsi di accompagnamento, la scelta dei professionisti che aiutano le imprese a chiudere l’attività o metterla al riparo è fondamentale. Al momento riusciamo a gestire una ventina di casi al mese, speriamo di allargare la rete di partner per aumentare il numero», conclude Feole.

Evento L’IMPRESA E’ QUI – 22 marzo Olgiate Molgora

Tecnest ed Eurotech portano l’Internet of Things nel manifatturiero

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UDINE – La quarta rivoluzione industriale è sempre più vicina. E lo è ancora di più dopo l’accordo di collaborazione siglato tra Tecnest, azienda friulana che si occupa di soluzioni informatiche e organizzative per la gestione dei processi di produzione e della supply chain, ed Eurotech, leader nella fornitura di dispositivi intelligenti e tecnologie Machine-to-Machine per applicazioni Internet of Things (IoT). «L’applicazione dell’Internet of Things nella produzione industriale ha un ruolo chiave nella cosiddetta Industry 4.0», dice Fabio Pettarin, presidente di Tecnest. «Si tratta di una trasformazione epocale che permette di collegare macchine, prodotti e sistemi. Lo scenario che si delinea grazie alla connessione è articolato: sarà possibile analizzare i dati per prevedere difficoltà o errori e i sistemi potranno autoconfigurarsi per adattarsi ai cambiamenti. E non solo: l’Industry 4.0 cambierà il modo di pensare la fabbrica e le relazioni tra fornitori, aziende di produzione e clienti». In Italia il mercato dello Smart Manufacturing nel 2015 vale quasi il 10% del totale degli investimenti complessivi dell’industria e per il 2016 prevista una crescita del 20% (dati dell’Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano).
Il progetto nasce da due eccellenze friulane che hanno unito le rispettive specializzazioni per promuovere una soluzione tecnologica d’avanguardia. Da una parte c’è Tecnest, realtà da quasi 30 anni specializzata in soluzioni software per il settore manifatturiero, e dall’altra Eurotech, multinazionale che ha messo a punto Everyware Cloud, una piattaforma software Machine-to-Machine che permette di connettere facilmente dispositivi fisici (macchine o altri device) a sistemi IT e altre applicazioni software. «I nostri strumenti e tecnologie per l’IoT sono applicabili a diversi settori: quello con Tecnest è un accordo dedicato al mondo industriale per la realizzazione di una soluzione per la Fabbrica 4.0. Si stima che la digitalizzazione spinta di una fabbrica possa portare a un 10% di recupero di efficienza» dice Roberto Siagri, presidente e amministratore delegato di Eurotech. «Con la nostra tecnologia ogni macchina o linea di produzione diventa intelligente: comprende il proprio stato di funzionamento e lo comunica tramite Internet. Il flusso dati generato viene inviato in tempo reale ad una piattaforma sul Cloud che mette a disposizione una serie di interfacce per consentire un collegamento snello e veloce delle diverse applicazioni. In ambito industriale questo significa, ad esempio, raccogliere i dati di produzione da un parco macchine già esistente o da nuove macchine e renderli disponibili e accessibili in cloud da applicazioni di manufacturing execution come quelle di Tecnest». I dati generati e raccolti dalle macchine devono poi essere interpretati e messi a disposizione delle diverse funzioni aziendali e degli attori coinvolti nella catena del valore, per tenere sotto controllo e migliorare i processi produttivi e della supply chain. Qui entrano in gioco le competenze specialistiche di Tecnest e le sue soluzioni per la gestione dei processi di pianificazione e gestione della produzione e della supply chain della suite software J-Flex. «Le nostre soluzioni aiutano da sempre le aziende manifatturiere ad ottimizzare i processi di produzione, a tenere sotto controllo la fabbrica in tempo reale intervenendo in caso di criticità e a migliorare le performance produttive», conclude Pettarin.

L’innovazione è di casa e più accessibile al Corefab

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CORMANO – Fare innovazione significa sì realizzare qualcosa di nuovo, ma anche trovare modi nuovi per fare meglio quanto già consolidato. Affrontare problemi irrisolti, migliorare la qualità portandosi alla pari con le conoscenze nel proprio settore. Per farlo sono necessarie risorse finanziarie e umane che non sempre è facile raggiungere, ma che pure sono disponibili per le imprese. Se ne discuterà venerdì 10 marzo (dalle ore 14,00) in Corefab (via Po 77 a Cormano) con il Consorzio C2T e Find Your Doctor, specializzati nel supportare l’innovazione in impresa, rispondendo insieme al bisogno di prospettive dei ricercatori che oggi non trovano un futuro nelle università italiane. «Avremo la possibilità di presentare dal vivo case history del modello Find Your Doctor, con testimonianze di imprenditori che hanno creduto nel dialogo diretto ricerca-impresa per fare innovazione, anche con il coinvolgimento di associazioni di categoria territoriali», spiega Chiara Marelli, community manager di Corefab. Dopo l’introduzione a cura di Eva Ratti (Find Your Doctor), il programma dell’evento prevede la prima sessione sul tema “Strategie, criticità ed esperienze nell’innovazione del manifatturiero”, con testimonianze di Tiberio Roda (Trafilerie San Paolo), Angelo Belgeri (Airoldi & Belgeri), Emanuele Fratto (Noltec Europe), Stefania Grandi (NAM) e Fabio Massimo (Aesse.net); la seconda sessione sul tema “Come rendere accessibile e sostenibile l’innovazione per le pmi” con interventi di Mauro Gattinoni (ApiLecco), Gualtiero Cortellini (Consorzio C2T), Stefano Binda (CNA Milano), Davide Lecchi (Toyota Academy). La partecipazione è gratuita, previa registrazione al link https://www.eventbrite.com/e/corefab-linnovazione-e-accessibile-tickets-32289389433

Nord Group apre in Albania un eco-impianto per arricchire il cromo

UDINE – Nord Group SpA, realtà italiana con una trentennale esperienza nel settore metalmeccanico e nell’engineering d’eccellenza, sbarca in Albania per avviare un nuovo progetto gestito dalla sua controllata North Group Mining Shpk. Si tratta di un sito produttivo che copre un’area di 40mila metri quadrati nella zona baricentrica di Librazhd, a pochi chilometri dal confine con la Macedonia, ed è dotato di un impianto di arricchimento di ultima generazione per l’estrazione, la lavorazione e la produzione di concentrato di cromo, fino a 9mila tonnellate al mese. Per dimensioni e tipologia, l’impianto della North Group Mining Shpk rappresenta la realtà più importante dell’Albania nel settore della produzione di concentrato di cromo; grazie alla qualità del prodotto, il minerale estratto possiede le più alte quotazioni sul mercato. Con questo nuovo impianto, contraddistinto da una produttività e affidabilità eccellenti, la nuova società North Group Mining Shpk prevede di raggiungere entro il 2017 un fatturato complessivo di 5 milioni di euro, che potrebbe superare, entro il 2020, quota 20 milioni con un totale di oltre 100 dipendenti e un indotto di oltre 400 addetti. «La realizzazione di questo impianto rappresenta la prima, importante iniziativa d’internazionalizzazione di Nord Group Spa – afferma l’amministratore delegato Andrea Montich – e il nostro progetto si è potuto realizzare grazie alla proficua collaborazione con le amministrazioni locali. Prevediamo in breve tempo di impiegare a regime circa 50 persone e di creare un indotto, grazie ai rapporti già instaurati in loco, di altri 100 posti di lavoro». «La tipologia di lavorazione – spiega Marco Bovolini, delegato dal consiglio per il progetto di internazionalizzazione in Albania – prevede l’ingresso di materia prima proveniente dalle miniere con diverse percentuali di cromo e il passaggio nei crushers e nelle macchine di arricchimento. Tutto il processo permette un upgrade della percentuale di cromo fino a oltre il 60% e la quantità di acqua utilizzata viene riciclata al 90%. Una tecnologia a impatto ambientale pari allo zero senza produzione di polveri sottili e fumi». Fondata nell’84 a Reana del Rojale (Udine), Nord Group Spa opera in ambito metalmeccanico con particolare riferimento alle lavorazioni di carpenteria metallica destinate al settore meccanico ed edile. Su una superficie di 50mila metri quadrati, di cui 18mila coperti, l’azienda conta 150 addetti e 18 milioni di fatturato.
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Bruno Parise, dagli antichi telai rinascono le borse del futuro

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MAROSTICA – Quella di Bruno Parise Italia, eccellenza vicentina che produce borse in pelle artigianali, è una storia di rinnovamento particolare nel panorama imprenditoriale. Al fondatore Bruno Parise si avvicenda la figlia Alessandra, 32 anni e un recente passato come project customer manager in una società di eventi torinese, che abbandona un contratto a tempo indeterminato per dedicarsi a un mestiere dalla forte connotazione artigianale con un nuovo approccio smart. Protagonisti del cambiamento tecnologico non sono solamente gli strumenti di comunicazione e gestione dell’attività, ma gli strumenti produttivi delle fettucce in pelle intrecciate che caratterizzano il prodotto: telai a pedale veneziani del ‘700 restaurati con tecniche moderne per non perdere l’impronta qualitativa delle borse e per rimanere fortemente legati alla tradizione manifatturiera veneta. «E’ cambiato l’approccio ai clienti, attraverso l’implementazione delle attività sul web», spiega Alessandra Parise. «E’ cambiata la produzione, non più legata a un unico luogo fisico, ma resa più snella attraverso la distribuzione della produzione su più realtà artigianali vicentine. E’ cambiata anche la gestione: tablet e smartphone mi permettono di lavorare da qualsiasi luogo. Ma il vero cuore del rinnovamento tecnologico sono i telai, utilizzati 300 anni fa per realizzare splendidi arazzi veneziani. Un pezzo di storia del territorio veneto e della tradizione produttiva italiana che torna in vita per produrre borse dall’impronta inconfondibile e per evitare che cambi l’aspetto più importante del made in Italy artigianale: la qualità». I telai sono stati modificati strutturalmente per tessere sottili fettucce di pelle e intrecciarle con una tela di fili di cotone tinti del medesimo colore. Il risultato è un tessuto morbidissimo che dà vita alle idee dei designer della casa. Volumi e colori sono classici, ma arricchiti da dettagli e linee moderne. Alla collezione continuativa si avvicendano di stagione in stagione concise selezioni di nuovi modelli, che prendono il nome da donne che ne hanno ispirato la realizzazione. Le attività web del brand permettono di ordinare modello e colore indipendentemente dal luogo in cui si trova il destinatario: accanto ai tradizionali canali di distribuzione in Italia e Germania è prevista la spedizione in tutto il mondo.