IBL: cresce il grado di libertà economica in Italia, ma siamo penultimi in Europa

Il grado di libertà economica dell’Italia nel 2013 è del 60,6%, in crescita di 1,8 punti percentuali rispetto al 2012. In un momento non positivo per la libertà economica nel mondo, questo significa che il nostro Paese guadagna posizioni, passando dalla 92ma posizione all’83ma. In generale, nel 2013 il livello medio di libertà economica nel mondo era pari al 59,6%, appena un decimo di punto al di sopra dell’anno scorso. L’ Indice della libertà economica è compilato ogni anno da Heritage Foundation e Wall Street Journal, in collaborazione con un network di think tank tra cui, per l’Italia, l’Istituto Bruno Leoni; il lavoro è svolto da un team di studiosi coordinato dall’ambasciatore Terry Miller (leggi il commento). Esso censisce dieci indicatori della libertà economica: la garanzia dei diritti di proprietà, la libertà dalla corruzione, la libertà fiscale, la spesa pubblica, la libertà d’impresa, la libertà del lavoro, la libertà monetaria, la libertà del commercio, la libertà degli investimenti e la libertà finanziaria. Il nostro Paese cresce, nel 2013, grazie alla maggiore libertà del lavoro, degli investimenti e al maggior rigore nei conti pubblici che ha portato a un contenimento del deficit di bilancio, che controbilanciano la riduzione della libertà monetaria e della libertà d’impresa. Il nostro Paese resta tuttavia molto debole in alcuni indicatori. Uno è proprio quello relativo alla spesa pubblica: gli avanzamenti del 2013 (5,9 punti) non devono distrarre da una valutazione estremamente severa, che tenendo conto del livello e della qualità della spesa ci assegna il 25,3%. La stessa libertà del lavoro viene valutata al 52%, ben 9 punti in più dell’anno scorso grazie alla riforma delle pensioni e a quella parte della riforma Fornero che mette in discussione, seppure in misura insufficiente, l’articolo 18. Infine cresce di 5 punti la libertà di investimento, in virtù delle misure di relativa apertura del mercato che sono state messe in atto. Altro grande limite alla libertà economica in Italia è la diffusione della corruzione, rispetto alla quale la valutazione è pari al 39%. All’interno dell’Unione Europea, la nazione più libera è la Danimarca (unico Paese europeo nella “top ten”, col 76,1%), seguita da Irlanda (75,7%) ed Estonia (75,3%). L’Italia è il penultimo Paese in Europa, con una libertà economica pari al 60,6%, superiore solo a quella della Grecia (55,4%) e nettamente al di sotto della media europea (68,9%). Dice Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni: «anche quest’anno l’Indice della libertà economica richiama la nostra attenzione sulle cause strutturali della bassa crescita italiana. Tra queste, le rigidità del mercato del lavoro, l’elevata tassazione, lo scarso controllo della spesa pubblica e l’inefficienza della burocrazia. La crisi economica ha costretto il governo a prendere alcuni provvedimenti ormai non più rinviabili, dalla riforma delle pensioni alle misure di liberalizzazione che già il nostro Indice delle liberalizzazioni aveva indicato come positive. Tuttavia la situazione resta critica, come emerge dal confronto con gli altri Stati membri dell’Unione Europea che, tranne la Grecia, si collocano tutti in posizioni molto più avanzate della nostra. Proprio questo sarebbe il momento di riforme incisive».

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