OSSERVATORIO AUB: Le aziende familiari superano la crisi, soprattutto se riescono a internazionalizzarsi

MILANO – La medio-grande impresa familiare continua a essere resiliente: ha risentito della crisi ma è stata in grado di resistere meglio rispetto alle aziende caratterizzate da altre forme proprietarie, soprattutto quando ha intrapreso processi di internazionalizzazione. Questa in estrema sintesi la risultanza della sesta edizione dell’Osservatorio AUB sulle aziende familiari italiane, promosso da AIdaf (Associazione italiana delle aziende familiari), Unicredit, Cattedra AIdaf-EY di Strategia delle aziende familiari in memoria di Alberto Falck (Università Bocconi) e Camera di Commercio di Milano. Lo studio è basato sull’analisi dei bilanci di tutte le 4.100 aziende familiari italiane con ricavi pari o superiori a 50 milioni di euro, le quali rappresentano il 58% del totale delle aziende (di tali dimensioni) operanti nel nostro Paese. Il campione osservato, pur avendo mantenuto dal 2007 ad oggi una numerosità solo in lieve calo, ha visto un forte ricambio al proprio interno (circa il 40% delle aziende è infatti uscito ed è stato sostituito da nuove entranti), a riprova di come il perdurare della crisi rappresenti – da un lato – un meccanismo di selezione naturale e – dall’altro – un’opportunità per porre in essere cambiamenti di assetto e di strategie volti a creare i presupposti per una migliore risposta alla crisi stessa e alle sfide di mercati sempre più competitivi e globali. Dopo essere state tra il 2008 e il 2009 la tipologia di aziende che ha maggiormente accusato l’impatto della crisi, le aziende familiari sono riuscite – più delle altre – a invertire la tendenza e intraprendere percorsi di crescita (lo dimostra il divario positivo di 10 punti di incremento del fatturato realizzato tra il 2009 e il 2013 rispetto alle non familiari). Sul fronte della redditività (Roi, Roe) il quadro è invece meno positivo, in quanto le aziende familiari, pur continuando in assoluto a far registrate performance migliori rispetto alle altre,  hanno fatto registrare un più debole recupero rispetto alla situazione pre-crisi. Ancora difficile rimane la capacità delle aziende familiari di ripagare il debito, misurata dal rapporto Pfn/Ebitda, che si attesta a 6,1 (rispetto al 4,8 delle non familiari). Ciononostante, i dati AUB indicano come circa 1 azienda familiare su 5 abbia liquidità in eccedenza rispetto allo stock di debito finanziario, che l’incidenza delle aziende con Ebitda negativo è inferiore nella categoria delle familiari (6% contro l’11% delle non familiari) e che le aziende familiari nel corso del 2013 hanno ulteriormente ridotto la propria dipendenza dal capitale di terzi (migliorando dunque il proprio livello di patrimonializzazione) senza compromettere la propria propensione a investire. Un costante punto di attenzione resta quello del ricambio generazionale: da un confronto tra i dati Istat e quelli dell’Osservatorio emerge come il trend di ricambi al vertice continui a diminuire – complici forse le difficoltà e incertezze legate alla perdurante crisi economica – con il risultato che un quinto delle aziende osservate ha un leader ultrasettantenne. Sul fronte delle acquisizioni, i dati AUB evidenziano che le aziende familiari che hanno effettuato più di una acquisizione sono quelle con i tassi di crescita più elevati e che la propensione ad effettuare tale tipo di operazioni è maggiore nelle aziende che hanno un modello leadership meno familiare più strutturato e un assetto di governo con una minore presenza di esponenti della famiglia proprietaria. In merito agli Ide (investimenti diretti), i dati AUB evidenziano come il processo di internazionalizzazione nel nostro Paese risulti trainato dalle aziende familiari (hanno realizzato oltre il 75% del totale degli Ide) e che i modelli di leadership e di governo più semplici (es. amministratore unico) e a maggiore connotazione familiare tendono ad influenzare negativamente la propensione all’internazionalizzazione. Principale elemento di novità che caratterizza questa sesta edizione dell’Osservatorio AUB è la realizzazione di un confronto con le prime 300 aziende (per fatturato) localizzate in 5 tra i principali Paesi dell’Unione Europea: Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svezia. Da tale analisi emergono conferme importanti e interessanti spunti di riflessione. Sul versante delle conferme si rileva in particolare che l’Italia è il Paese in cui la presenza di aziende familiari è più rilevante (40,7%) – seguita dalla Germania (36,7%) e dalla Francia (36%), che la capacità di crescere delle aziende di maggiori dimensioni non è collegata all’andamento del PIL del Paese di appartenenza – a riprova del fatto che per poter crescere le aziende debbono inevitabilmente internazionalizzare.  In 4 dei 6 Paesi considerati le aziende familiari, tra il 2007 e il 2012, sono cresciute di più rispetto a quelle non familiari; fa eccezione  soprattutto la Spagna (dove le aziende familiari sono cresciute meno). Inoltre, in tutti e 6 i Paesi, l’effetto della crisi ha impattato maggiormente sui livelli di redditività (Roe) delle aziende familiari (più che delle non familiari). Il benchmarking sul fronte dei modelli di leadership e di governo mette poi in evidenza come l’Italia sia il Paese con la maggiore incidenza di leader familiari (51,3% rispetto al 33% di Francia e Germania) e che Italia e Spagna siano i Paesi in cui la presenza di consiglieri familiari è più rilevante (“1 su 3” contro “1 su 7” della media degli altri quattro Paesi). Infine, come da tradizione, i curatori dell’Osservatorio individuano le principali sfide che le aziende familiari si trovano (o si troveranno) inevitabilmente a dover affrontare per rilanciare la propria competitività: imparare a gestire le complessità della leadership collegiale, pianificare per tempo e realizzare la successione al vertice, “aprire” l’azienda a giovani e a managerialità esterne alla famiglia proprietaria, imparare a crescere tramite acquisizioni, approdare all’estero quanto prima per espandere il proprio business.

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