Rapporto Irex sulle rinnovabili: una spinta da 27 miliardi per l’industria italiana

MILANO –  Un settore che continua a crescere anche nel 2011 grazie a 223 operazioni di taglia industriale per complessivi 7,8 miliardi di euro di investimenti (pari allo 0,5% del Pil nazionale) e 4.338 mW di potenza. Una crescente convergenza con l’efficienza energetica. Tagli alla bolletta degli italiani per 400 milioni di euro. Benefici per il sistema Paese fino a 38 miliardi di euro al 2030. Sono questi i principali numeri delle energie rinnovabili italiane come emergono dall’Irex Annual Report 2012 curato da Althesys sul tema «L’Italia delle rinnovabili negli scenari globali: investimenti, competitività e prospettive», presentato alla Camera di commercio di Milano. «Dall’analisi delle operazioni 2011 emerge la fotografia di un settore che continua a crescere, sebbene in misura minore rispetto al 2010», spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys e capo del team di ricerca. «La crescita interna, per la maggior parte nel fotovoltaico, rimane stabile. Nella finanza straordinaria, invece, continua l’aumento delle acquisizioni per 1,6 miliardi di euro contro 1,3 del 2010, chiaro indicatore della tendenza al consolidamento del settore, che è tornato ad attirare i capitali del private equity internazionale». Secondo una stima prudente, le rinnovabili generano benefici netti al sistema-Paese tra 22 e 38 miliardi di euro al 2030. Voci di beneficio sono gli effetti sull’occupazione, la riduzione delle emissioni di CO2 (fino a 83 milioni di tonnellate al 2030), altre emissioni evitate, l’indotto, gli effetti sul Pil e la riduzione del fuel risk. «L’indotto e l’occupazione sono le principali voci positive del bilancio – ricorda Marangoni –  e la crescita delle rinnovabili ha anche effetti sul mercato elettrico, calmierando i prezzi nelle ore di picco. Si stima che nel 2011 l’effetto di peak shaving attribuibile al solo fotovoltaico in Italia sia stato prossimo ai 400 milioni di euro. In prospettiva questo valore è destinato a crescere e il bilancio costi-benefici delle rinnovabili a migliorare». Ma quale valore e mercato genera lo sviluppo delle energie rinnovabili per il settore industriale italiano? Ecco lo scenario fotografato da Althesys.

Le prospettive della filiera italiana

La forte diffusione delle rinnovabili degli ultimi anni in Italia, oltre a spingere gli investimenti delle aziende energetiche, ha portato allo sviluppo di un’industria nazionale, con un crescente indotto nel manifatturiero e nei servizi. La posizione delle aziende italiane è però assai diversificata nei vari segmenti. La crescente competizione internazionale e il quadro macroeconomico negativo pongono oggi interrogativi sulle prospettive della filiera italiana. Si è perciò condotta un’analisi strategica sui diversi comparti (fotovoltaico, solare termico, CSP, eolico e biomasse), da cui è emerso un quadro assai variegato. Accanto a vari casi di eccellenza, l’Italia, anche in questo settore, presenta alcuni punti di debolezza. La mancanza di una chiara politica industriale è poi un pesante svantaggio competitivo per le imprese italiane.

Il fotovoltaico

Gli operatori nazionali si sono focalizzati sui segmenti a valle, soprattutto sull’installazione di impianti in veste di EPC. L’industria italiana sconta una presenza limitata nelle fasi a monte, feedstock e celle, nonostante siano quelle a maggior marginalità. La sovraccapacità produttiva nel Far East e negli USA e il carattere capital intensive del comparto rendono impraticabile una significativa presenza italiana. Solo un salto tecnologico rilevante potrebbe riaprire i giochi. In futuro la ricerca nel “silicio organico” (che vede impegnata anche l’Italia), potrebbe forse permettere di ridurre la dipendenza dall’estero. Anche per la fabbricazione di moduli, nonostante il bonus del 10% per il “made in UE” introdotto dal IV Conto Energia, il mercato italiano è in gran parte occupato dai player globali, in particolare asiatici. Si stima che la produzione nazionale sia il 19% circa dell’installato 2011 (“Salva Alcoa” escluso). Le imprese italiane iniziano però ad investire all’estero, costruendo stabilimenti nei mercati di sbocco. Tuttavia, la frenata della domanda europea e il crollo dei prezzi rischia di penalizzare maggiormente le imprese che operano su scala minore rispetto ai grandi competitor internazionali. Per questo, alcune aziende italiane hanno investito nell’innovazione, creando prodotti più adatti all’integrazione architettonica, o puntando sull’affidabilità del sistema prodotto‐servizio. Negli ultimi anni si è avuto, inoltre, un aumento della capacità produttiva nel thin film, che vede soprattutto operatori americani, giapponesi ed europei, italiani compresi. L’industria italiana è forte in quelle aree dove già vantava una tradizione produttiva, sebbene destinata ad altri comparti. E’ il caso degli inverter, dove copre il 16% circa della produzione mondiale 2010, con quasi 5 GW fabbricati in Italia. Grazie al know how consolidato, brand affermati, prodotti tecnologicamente avanzati e investimenti nella ricerca, le aziende nazionali (ed estere con sedi produttive nel nostro Paese), hanno rilevanti quote di mercato e puntano anche verso le economie emergenti. Nelle fasi a valle si rileva la maggiore concentrazione di aziende domestiche, in particolare nella generazione e installazione come EPC. Questi player cambiano le strategie, puntando sugli impianti su copertura e internazionalizzandosi. Per presidiare il mercato domestico offrono soluzioni “full service”, comprensive di manutenzione, assistenza e telecontrollo. Le debolezze del’industria italiana dipendono anche da una politica che non ha saputo sfruttare adeguatamente la crescita del mercato interno come base per sostenere lo sviluppo di una filiera nazionale, come è invece avvenuto altrove, ad esempio in Germania. Accanto a misure utili per l’intero tessuto imprenditoriale, come agevolare l’accesso al credito in un momento di credit crunch e sostenere la R&S, è necessaria una politica industriale specifica. Questa, da un lato deve indirizzare le risorse verso le applicazioni ad alto valore aggiunto italiano, dall’altro spingere il rafforzamento del settore, favorendo l’aggregazione e la cooperazione tra le piccole e medie imprese, anche attraverso strumenti come i distretti e i contratti di rete.

Il solare termodinamico (CSP)

Sebbene le dimensioni del mercato domestico siano tuttora limitate, l’industria del CSP è nata circa dieci anni fa, parallelamente all’attività di R&S dell’Enea. Con l’introduzione nel 2008 di un incentivo per l’energia termodinamica, varie aziende, soprattutto manifatturiere, si sono affacciate in questo business. Oggi il Paese dispone di un buon tessuto industriale, altamente innovativo, che gravita intorno al CSP e compete con l’industria spagnola, tedesca, statunitense e israeliana. Le aziende nazionali sono attive nella produzione di tubi ricevitori, specchi concentratori e di sistemi di accumulo termico. In gran parte dei casi, il core business è in settori contigui, ma l’ingresso nel CSP consente di sfruttare le sinergie e diversificare l’attività. Le nostre imprese, però, storicamente hanno puntato a soddisfare quasi esclusivamente la domanda interna, dimostratasi poi inferiore alle aspettative. Non solo l’incentivo si è rivelato inadeguato a stimolare la costruzione di nuovi impianti (spingendo però nella direzione di una maggiore innovazione tecnologica), ma l’Italia sconta anche la scarsità di spazi dove realizzare le centrali. Il mini CSP si adatta meglio alla realtà territoriale nazionale, consentendo di installare impianti di piccole dimensioni, anche sulle coperture di edifici industriali, e realizzare soluzioni di cogenerazione (o trigenerazione), o di integrazione con altre FER. Manca, tuttavia, una politica ad hoc per la sua diffusione. Poche imprese hanno investito all’estero sfruttando la posizione strategica dell’Italia, vicina a mercati in forte crescita (Nord Africa e Medio Oriente). La competizione, inoltre, potrebbe farsi più serrata già nel breve periodo con l’ingresso di aziende asiatiche. Spagnoli e Tedeschi, invece, hanno creato solidi network lungo la filiera, hanno aumentato la capacità produttiva e vantano una buona presenza internazionale. Solo facendo sistema, perciò, l’industria italiana potrebbe essere competitiva e cogliere le opportunità offerte dai mercati limitrofi.

L’eolico

Malgrado la crescita del settore, il mercato degli aerogeneratori è nelle mani di un numero ristretto di global player, inferiore anche a quello del fotovoltaico, e non vi sono aziende italiane di grandi dimensioni. Ciononostante, vi è una presenza non trascurabile dell’industria nazionale nelle fasi più a monte della filiera, nella fornitura di componenti e sottosistemi delle turbine. La produzione di questi elementi richiede competenze specialistiche nelle lavorazioni meccaniche di precisione, nelle quali l’Italia ha storicamente una presenza di rilievo. Per questo motivo, diverse imprese già operanti in business contigui hanno diversificato il proprio portafoglio clienti, puntando a soddisfare la domanda di forgiati, riduttori, ingranaggi, alberi, mozzi, etc. da parte dei produttori eolici. In alcuni contesti, come nel campo dei motoriduttori e degli ingranaggi, le imprese italiane sono addirittura riuscite ad occupare posizioni di leadership. Il sistema industriale ha anche beneficiato della crescita delle installazioni nel mercato domestico. Alcune fasi del processo, infatti, sono necessariamente sviluppate in prossimità dei mercati di sbocco a causa delle difficoltà di trasporto. Le torri di sostegno, per esempio, sono realizzate in gran parte da aziende locali. Il rallentamento delle installazioni in Italia rischia è però di compromettere l’attività delle aziende di questo segmento. Nel complesso il settore in Italia ha generato nel 2011 un volume d’affari intorno ai 3,8 miliardi di euro e conta quasi 30.000 occupati (fonte ANEV). D’altra parte, i mercati esteri rappresentano un’opportunità di crescita non trascurabile per le società italiane attive nella fase di generazione, spinte oltreconfine da incertezze normative e difficoltà autorizzative. L’industria italiana potrebbe però ricevere nuovi stimoli dalla diffusione del mini‐eolico. La tariffa feed‐in prevista dal 2013, differenziata in base alla potenza dell’impianto, potrebbe sostenere maggiormente questo segmento. L’entità della tariffa giocherà un ruolo chiave per la crescita del settore già nel breve periodo. Il nostro Paese, infatti, ha diversi produttori di aerogeneratori di piccola taglia, nonostante il numero delle installazioni sia ancora limitato. Oltre a una tariffa adeguata, servono anche misure che semplifichino le procedure autorizzative per gli impianti più piccoli. In questo senso, la possibilità riconosciuta alle Regioni di elevare la “soglia PAS” costituisce indubbiamente un passo in avanti.

Le biomasse

Nel panorama delle FER, il segmento delle biomasse è uno dei più frammentati. Rispetto alle altre fonti, però, l’Italia risulta essere ben posizionata lungo tutte le fasi della catena del valore, anche in quelle a maggiore intensità tecnologica. Dall’analisi emerge un quadro variegato a seconda del feedstock usato. Nella fase del fuel procurement operano varie categorie di player, come le aziende focalizzate nella produzione del cippato o dei bioliquidi. In questi settori, benché siano attive varie società italiane, rimane elevata la dipendenza dalle importazioni. Viceversa, le aziende operanti nel biogas hanno un’impronta più locale. Grazie alla possibilità di operare con feedstock diversi, vi è una forte presenza di aziende agricole e agroalimentari, che vedono nel biogas l’opportunità di impiegare i propri sottoprodotti o residui e ridurre i costi di smaltimento. Spesso tali player operano anche nella fase di generazione, essendo proprietari degli impianti alimentati dai propri scarti. Nelle biomasse solide e liquide, invece, sono attive soprattutto le pure renewable. Alcune di queste hanno intrapreso una strategia di integrazione del fuel procurement, che resta il principale fattore critico di successo nel settore. L’industria italiana è ben posizionata sia nella fabbricazione di componenti relativi alla digestione anaerobica (silos, vasche, etc.), sia di impianti per la generazione (p.e. caldaie, motori e gruppi cogenerativi). La concorrenza è oggi soprattutto europea, tedesca in primis, e le posizioni dei player in questo segmento sembrano piuttosto consolidate. Alcune aziende italiane, peraltro, occupano posizioni di rilievo, sia di mercato che tecnologiche. Vi sono casi di eccellenza in diversi segmenti del comparto degli impianti a biomasse, come ad esempio nelle turbine ORC, dove sono state sviluppate tecnologie innovative. E’ questo un business che, con la maggiore diffusione di progetti di medie dimensioni, potrebbe conoscere una significativa crescita nei prossimi anni e che vede alcune imprese nazionali all’avanguardia. Nel nostro Paese vi è anche una discreta presenza di aziende attive nella fabbricazione di componenti e tecnologie per l’upgrading del biogas in biometano. Tale segmento, però, è frenato in Italia dai costi ancora piuttosto elevati e da ostacoli normativi. Nonostante il biometano ottenibile dal solo comparto agricolo sia pari all’attuale produzione italiana di gas (7‐8 miliardi di m3) e il D.Lgs. 28/2011 abbia previsto l’immissione in rete del biometano, mancano ancora i decreti attuativi che definiscano le tariffe e le condizioni tecniche per allacciare gli impianti alla rete. Il ritardo dei provvedimenti, d’altra parte, è un leitmotiv del settore. Si attende anche il Conto Energia Termico, che può essere un fattore di spinta per gli impianti a biomasse, per i quali la cogenerazione e l’efficienza energetica sono punti di forza. Nel complesso le biomasse possono giocare un ruolo cruciale nel raggiungimento dei tre obiettivi europei al 2020, grazie alla valorizzazione (anche attraverso le reti di teleriscaldamento) dell’energia termica. Una politica chiara e di medio periodo per il settore è però necessaria, sia per lo sviluppo dell’industria impiantistica che per il fuel procurement, tuttora anello debole in alcuni casi e dipendente dalle importazioni. Particolare attenzione dovrebbe anche essere dedicata al rapporto con l’agricoltura, valorizzandone, per esempio, i sottoprodotti. Il loro potenziale arriva a oltre 116 TWh annui, pari al 60% del target 2020 di produzione da biomasse e il 7% dell’obiettivo in termini di consumi finali lordi da FER. In conclusione, l’evoluzione del contesto normativo e competitivo sta portando più di una filiera a convergere con il business dell’efficienza energetica e dei sistemi di intelligent energy. E’ un settore dai confini indefiniti, trasversale rispetto agli altri, dove l’Italia è peraltro già ben posizionata. Si pensi alla green home, alle smart grid, alla geotermia a bassa entalpia o al solare termico. In quest’ultimo segmento, infatti, le aziende nazionali coprono circa il 35% del mercato interno. Inoltre, le misure di efficienza, portano benefici ai consumatori. Ad esempio, grazie alle detrazioni del 55%, nel periodo 2007‐2010 sono stati risparmiati circa 896 milioni di euro.

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