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OSSERVATORIO MECSPE: nella meccanica 530 posti di lavoro in più ogni mille aziende

PARMA – Dalle imprese della meccanica e della subfornitura, punto di riferimento per l’industria manifatturiera italiana, arrivano importanti segnali positivi sul fronte occupazionale. Considerando i nuovi ingressi e le uscite, nel secondo semestre dell’anno in corso, per ogni 1.000 aziende, si creeranno ben 530 posti di lavoro in più: questo quanto emerge dall’Osservatorio Mecspe realizzato da Senaf in occasione di della fiera internazionale delle tecnologie per l’innovazione (Fiere di Parma, 17-19 marzo 2016). Nella seconda metà del 2015, infatti, sono ben 3 aziende su 10 (30,8%) a dichiarare di voler aumentare il numero dei propri dipendenti, mentre il 64% prevede di mantenerlo stabile: un dato positivo che si somma alle assunzioni fatte dal 37,4% degli imprenditori nei primi sei mesi dell’anno. Inoltre, anche l’attesa di crescita del mercato in cui operano nei prossimi 3 anni, segnalata da oltre la metà delle imprese (55,5%), rappresenta un’ulteriore indicazione della visione favorevole degli imprenditori. «I numeri emersi confermano che ci troviamo di fronte a un mercato solido che sta ripartendo e lo fa puntando sul capitale umano. Un contributo è arrivato sicuramente dall’introduzione del Jobs Act, che è stato un accelerante, e che ha aiutato quasi sei imprese su dieci nelle nuove assunzioni», afferma Emilio Bianchi, direttore di Senaf. «Ma se è vero che lo Stato ha creato i presupposti per favorire la crescita delle aziende, per fare la differenza, in un contesto sempre più competitivo, bisogna costantemente investire sulla formazione dei propri dipendenti». L’indagine sullo scenario, che riguarda in prevalenza aziende con fatturati inferiori ai dieci milioni di euro (82%) e che occupano meno di 50 dipendenti (84%), evidenzia, infatti, ancora una volta, come i più soddisfatti dell’andamento della propria azienda siano gli imprenditori che hanno puntato sull’innovazione e sulla formazione. Sono quasi nove su dieci (86,1%) ad aver investito nel I semestre nell’aggiornamento dei propri dipendenti, e uno su cinque (21,6%) aumenterà nella seconda parte dell’anno il budget dedicato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «Seppur la situazione macroeconomica non mostri ancora una netta ripresa, le imprese della meccanica e della subfornitura hanno fatturati in crescita e ordinativi adeguati alle esigenze finanziarie, il che porta gli imprenditori ad essere soddisfatti del proprio andamento aziendale, ma anche alla continua ricerca di margini di miglioramento . Proprio per questo si reinvestono ampie fatte di fatturato in asset strategici quali formazione e innovazione, cercando personale con competenze specifiche, in grado di fare la differenza, in un contesto che richiede specializzazione ed eccellenza nella produzione». Riguardo ai dati occupazionali,  nel quarto trimestre 2015 sono attese 145.590 assunzioni di dipendenti. Di queste il 17%, pari a 24.680, riguardano l’industria, con contratti che saranno a tempo determinato per il 50,1% e a tempo indeterminato per il 41,8%. I profili più ricercati sono quelli di conduttori di impianti e macchinari (34,2%) e operai specializzati (25,6%); il 63,4% richiede in generale esperienza specifica e sul fronte dell’istruzione il 71,5% gradisce il titolo di studio, con particolare preferenza per il diploma.

DNV-GL: Efficienza energetica, agli imprenditori italiani manca una visione d’insieme

 

 


Il 64% delle aziende italiane ha investito in iniziative di efficienza energetica negli ultimi tre anni, ma senza una strategia che ricomprenda tutte le necessità dell’organizzazione. È quanto emerge dall’indagine internazionale condotta dall’ente di certificazione Dnv Gl – Business Assurance, in collaborazione con l’Istituto GFK Eurisko, su 1.557 professionisti di diversi settori in Europa, America e Asia. L’attenzione è molto alta – soprattutto in materia di riduzione dei costi e dei consumi – ma manca ancora un approccio a tutto tondo. Il tema dell’efficienza energetica è sentito in Italia molto più che altrove. I professionisti intervistati considerano che possa avere un impatto “sulla propria vita quotidiana” (85%; +8% vs media), “sul proprio Paese” (89%; +8%) e “sulla società nel suo complesso” (92%; +13%) in misura superiore alla media. Tuttavia, in linea con quanto avviene nel resto del mondo, anche le aziende italiane stanno impegnando risorse per l’efficienza energetica con un approccio tutt’altro che strutturato. Solo il 43% adotta strategie ad hoc e il 38% si pone obiettivi misurabili (-14% e -17% vs media). Rispetto ai colleghi degli altri Paesi, inoltre, sono ancora meno gli italiani che affrontano le questioni di efficienza energetica prendendo in considerazione tutti i livelli organizzativi aziendali. Il 31% fissa obiettivi generici (- 6% vs media) mentre sono esigui i numeri di chi si pone obiettivi a livello di funzione (8%; -14%), di area (%; -10%) o di equipaggiamento (2%; -8%). Le iniziative intraprese dalle società italiane, in linea con la tendenza globale, sono principalmente finalizzate al contenimento dei costi nel breve periodo. Gli investimenti per dotarsi di dispositivi più efficienti (42%) o per ridurre il consumo e i costi dell’energia (40%) sono le attività più comuni. Manca una visione a tutto tondo: solo il 14% redige piani di energy management e – nonostante il focus sulla riduzione dei consumi – solo il 9% investe in attività per tracciare il dispendio energetico. Non sorprende che solo 1 azienda su 3 sappia quantificare i risparmi ottenuti dalle iniziative. La necessità di destinare le risorse ad altre priorità (46%) e implementazione e mantenimento troppo costosi (33%) sono i fattori che frenano le aziende italiane sulla strada dell’efficienza energetica. Tuttavia, il 56% dichiara che manterrà o aumenterà i propri investimenti in efficienza energetica in futuro. Ci si continuerà a focalizzare sulla riduzione dei costi e dei consumi ma con un aumento significativo anche in attività più strategiche: ad esempio la formazione del personale (30%; + 13% rispetto a oggi) o la preparazione di piani di gestione dell’energia (27%; +12%).

EY: crescono gli investimenti di capitale per una ripresa sempre più forte dell’Eurozona

MILANO – Trainata dall’aumento dei consumi tra 2014 e 2015, l’Eurozona prosegue il trend di stabilità economica, sostenuto anche dalle prospettive di investimenti di capitale nel medio periodo, come riscontrato dall’ultima edizione del report EY Eurozone Forecast (Eef). Secondo lo studio il prodotto interno lordo complessivo dell’Area raggiungerà una crescita dell’1,5% a fine 2015, che salirà all’1,8% nel 2016 e nel 2017. Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in Italia e managing partner dell’Area Mediterranea commenta: «Con l’avvicinarsi del 2016 la ripresa economica dell’Eurozona sembra essere solida e, nonostante i numeri saranno ancora al di sotto dei livelli pre-crisi, prevediamo che la crescita del Pil salirà all’1,8% nel prossimo anno. Intanto, a seguito di un incremento della fiducia e a una migliore redditività, riscontriamo che sia la spesa dei consumatori che gli investimenti da parte delle aziende sono in aumento. Creare maggior occupazione e incoraggiare la formazione e lo sviluppo di competenze specializzate, in particolare per quanto riguarda l’ambito dell’innovazione e del digitale, saranno fattori determinanti per lo sviluppo nei prossimi anni». Intanto cresce la domanda interna e alcuni settori come quello dei servizi finanziari, professionali e del turismo potrebbero offrire nuove opportunità. La facilità di accesso al credito, unita ai bassi tassi di interesse previsti, sono tra gli elementi che guideranno l’incremento della domanda per quanto riguarda i prestiti. Relativamente agli investimenti EY prevede una crescita del 2,4% nel 2016 – la più consistente dal 2007 – cui seguirà un ulteriore incremento del 3,1% nel 2017, mentre tra il 2018 e il 2019 è previsto un aumento annuale degli investimenti fissi intorno al 2,5%. L’ulteriore investimento di capitali dovrebbe affiancare e supportare i processi di riforme che hanno rilanciato l’export di alcuni paesi dell’Eurozona negli ultimi anni. Ciononostante, il rallentamento di alcune economie emergenti potrebbe influire negativamente sulle prospettive future. Nonostante l’abbassamento dei tassi di cambio (aiutato dall’estensione di acquisto di asset da parte della Bce e dall’aspettativa di una stretta monetaria negli Stati Uniti) e  la ripresa delle economie avanzate, lo studio prevede un leggero calo percentuale dell’export che passerà dal 4,5% nel 2015 al 3,7% nel 2016 e scenderà al 3,4% circa  tra il 2017 e il 2019. La spesa dei consumatori, supportata dall’abbassamento del prezzo del petrolio, ha rappresentato finora la principale leva di crescita dell’Eurozona e si prevede che continuerà ad avere un ruolo cruciale. L’incremento dei redditi, in particolare, sarà un fattore  determinante per l’aumento della spesa delle famiglie. L’EY Eurozone Forecast prevede una crescita dei consumi dell’1,7% nel 2015 e dell’1,6% nel 2016. Nel medio termine ci si aspetta una crescita annua intorno all’1,4%. Anche per il nostro Paese si prevede una crescita del prodotto interno lordo dell’1,3% nel 2016 per poi tornare a valori più contenuti dell’1,2% nel 2017 e dell’1,1% nel 2018. L’Italia occupa inoltre, secondo EY, la quarta posizione per quanto riguarda il tasso di inflazione che oscillerà tra una crescita dello 0,7% nel 2016, 1,1% nel 2017 fino ad arrivare all’1,4% nel 2018. Dopo un crollo degli investimenti pubblici negli ultimi sei anni, l’Eef si aspetta ora una crescita dello 0,4% nel 2016 per poi arrivare a un picco del 3,2% nel 2018 cui seguirà una graduale ripresa. 

ATRADIUS: sono otto i Paesi top per fare business nei mercati emergenti

ROMA – Sono otto i Paesi che, a livello mondiale, offriranno nel 2016 le più promettenti opportunità di business per i nostri esportatori: India e Vietnam, Bangladesh e Filippine, Tanzania e Kenya, Perù e Colombia. Questi sono i mercati “top” che, secondo Atradius – tra i gruppi leader nel mondo nell’assicurazione del credito, cauzioni e recupero crediti – andranno incontro a una forte crescita, mostrandosi in controtendenza rispetto a gran parte dei mercati emergenti, che hanno attraversato una difficile congiuntura economica nel 2015. In generale, grazie a condizioni politiche stabili, bassi costi delle materie prime e la classe media emergente, questi Paesi hanno evidenziato negli ultimi tre anni un trend economico positivo che dovrebbe migliorare ulteriormente nel 2016. All’apice della performance economica troviamo l’India con il più alto indice di crescita del Pil (+7,5%), e Paese di riferimento per il settore chimico, che prosegue il suo trend di crescita grazie alla robusta domanda di importazione di materie plastiche e prodotti chimici. Seguono  altri tre Paesi del contente asiatico: Vietnam (+6,4%), Bangladesh (+6,3%) e le Filippine, quest’ultimo caratterizzato da una performance economica più modesta (+5,1%). In questi Paesi, le migliori opportunità di business per gli esportatori vanno ricercate  nei beni di consumo durevoli e nell’elettronica, settori in espansione grazie all’aumento del reddito disponibile, dell’urbanizzazione e al miglioramento dei livelli di vita. In particolare, il Vietnam si distingue per le buone prospettive di crescita dell’industria farmaceutica, in risposta alla volontà del governo di migliorare il sistema sanitario. Positivi anche i risultati economici attesi per Tanzania (+6,5%) e Kenya (+6,0%). Nei due Paesi africani, occasioni per un business di successo potrebbero riscontrarsi nelle costruzioni, che oggi godono dello sviluppo infrastrutturale, inclusa la realizzazione di nuovi porti. Questi due Paesi si propongono come meta d’esportazione anche per i settori della meccanica e dei beni strumentali anche se la concorrenza sui prezzi da parte delle imprese asiatiche del settore dei macchinari è elevata. Investimenti nel settore delle costruzioni sono attesi anche in Perù (Pil 2016 +4,9%), che si caratterizza però soprattutto per una accresciuta domanda nell’Ict, considerato tra i settori più promettenti del Paese dato l’utilizzo di Internet ancora molto basso (solo il 30% della popolazione ne ha accesso). All’ultimo posto troviamo infine la Colombia che, nonostante la previsione di più bassa crescita economica (+2,7%), dovrebbe essere per gli investitori esteri il Paese dell’America Latina più interessante per il mercato al dettaglio nei prossimi cinque anni.

SAMOTER: macchine movimento terra e costruzioni fuori dalla crisi in due anni

VERONA – Per il mercato delle macchine movimento terra il 2016 segna l’inizio della ripresa. Dal prossimo anno, infatti, è attesa una ripartenza progressiva a livello mondiale che si consoliderà a fine 2017, con un totale di 880mila vendite, in crescita del 33% rispetto al consuntivo 2015. Trend positivo nel prossimo biennio anche per il comparto italiano che, dopo il crollo del 2007 (-72%), punta a chiudere il 2017 con 12.400 unità, in aumento del 44,8% sul risultato 2015. Le previsioni sull’andamento del settore arrivano dalla Fiera di Verona con la presentazione dell’Outlook SaMoTer-Veronafiere, realizzato in collaborazione con Prometeia. L’iniziativa fa parte del percorso di avvicinamento all’appuntamento con la trentesima edizione di SaMoTer (22-25 febbraio 2017). Un’edizione  che sarà centrata sulla gestione e prevenzione delle emergenze ambientali, con focus tematici sui cantieri anti-dissesto e sul piano del Governo #italiasicura che prevede investimenti per oltre 7 miliardi di euro e 3.500 interventi. Il mercato globale di escavatori, impianti per il calcestruzzo, macchine per perforazione, frantumazione e asfaltature, gru e veicoli da cantiere sconta ancora il crollo (-48%) del biennio 2008-2009. Il 2015 resta comunque un anno difficile a livello mondiale: nei primi nove mesi sono state vendute 61mila macchine movimento terra in meno (-11%) rispetto allo stesso periodo del 2014. A livello di macro-aree crescono soltanto India (con 63mila unità) e Nord America (148mila unità). A pesare ancora lo scoppio della “bolla” cinese (-37%) che nel 2011 assorbiva un terzo di tutte le vendite internazionali e la situazione in Russia (-70%). Nonostante l’evoluzione positiva dell’attività edilizia, il Centro studi Prometeia stima una chiusura d’anno in perdita del 9%. Le buone notizie per il comparto arriveranno con il nuovo anno, per continuare nel 2017 con un lento ri-allineamento alla crescita dell’edilizia (880mila unità vendute; +33% sul 2015). Oltre ai mercati maturi di Nord America e Giappone, in Europa i maggiori contributi alla giungeranno, nell’ordine, da Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Spagna. Tra gli emergenti, al primo posto l’India, seguita da America Latina. Per quanto riguarda l’Italia, dopo una continua accelerazione negli ultimi cinque trimestri, Prometeia valuta un consuntivo 2015 pari a 8.500 nuove macchine vendute (+27%) che saliranno a oltre 12mila nel 2017 (+44,8% rispetto al 2015). Riguardo all’andamento del settore costruzioni, da segnalare le proiezioni relative all’India – tra i mercati più dinamici sia nell’edilizia residenziale che nel genio civile – che dovrebbe chiudere il 2015 a +5,6% degli investimenti, per salire ulteriormente a +6,9% nel 2016 e a +7,4% nel 2017. Si consolida la ripresa nel Nord America, con un aumento del 5% previsto sia per il 2016 che per il 2017.  La Cina nel prossimo biennio dovrebbe, invece, stabilizzarsi intorno ad una crescita media del 4%, mentre l’America Latina vedrà il segno positivo (+4,1%) soltanto a fine 2017, pur tra luci ed ombre: se Brasile e Venezuela sono in calo, migliora la situazione in Messico, Argentina e Colombia. Stime più caute per l’Europa occidentale: +2,2% nel 2016 e +3% nel 2017. Spostandosi ad est, in Russia continua la scia negativa, con investimenti ridotti in tutti i comparti delle costruzioni: solo a partire dal 2017 si potranno vedere i primi segnali di crescita, soprattutto grazie all’avvio dei lavori per 17 miliardi di euro previsti per i Mondiali di calcio 2018. In Nord Africa e Medio oriente, infine, spiccano le opportunità di business in Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto ed Iran.  Sul fronte italiano, dopo la chiusura ancora in negativo prevista per il 2015 (-1,5%), si tornerà al segno positivo nel 2016 (+1,2%) e nel 2017 (+2,3%). Merito anche, nel 2016, della nuova Legge di stabilità che darà nuovo impulso agli investimenti nel mercato delle opere pubbliche grazie allo sblocco di 1 miliardo di euro nel Patto di stabilità dei comuni, cui si sommano i 500 milioni di euro destinati all’edilizia scolastica e 8 miliardi di euro aggiuntivi del Piano di investimenti europeo per l’Italia.

ASSOCIAZIONE CIS: da Bocconi una “fotografia” sullo stato di salute dei produttori di imballaggi in cartone ondulato

MILANO – Come hanno reagito alla crisi degli ultimi anni i produttori di imballaggi in cartone ondulato? Qual è il modello di business vincente del settore? Queste le principali domande alle quali ha voluto rispondere la ricerca “I produttori di imballaggi di cartone ondulato, un’analisi di settore condotta da Sda Bocconi per conto dell’Associazione italiana scatolifici, con l’obiettivo di analizzare le dinamiche evolutive, facendo particolare riferimento alle performance economico-finanziarie. Dall’analisi dei bilanci di 330 imprese operanti nel settore (che vale circa 2,4 miliardi di euro), i ricercatori hanno estrapolato i dati relativi all’andamento dell’ultimo decennio (dal 2005 al 2013), facendo riferimento ai due modelli di business prevalenti: trasformatori e integrati. Le analisi svolte segnalano come i trasformatori riescano, in media, ad avere una maggiore redditività operativa, dovuta alla minore incidenza di costi operativi e investimenti, con una conseguente maggiore coerenza con l’andamento del fatturato. Per contro, le imprese integrate segnalano significativi tassi di crescita del fatturato, ma con maggiori costi e investimenti, che portano a una tendenziale riduzione della redditività operativa. In sostanza la forbice “fatturato – costi operativi” si riduce, con conseguenze negative sul Ros (ritorno sulle vendite). A tassi di crescita elevati, quindi, non sempre conseguono risultati economici positivi e la crescita quantitativa non è spesso accompagnata da una crescita qualitativa equilibrata. La ricerca si è poi focalizzata sull’analisi qualitativa di alcune aziende risultate particolarmente interessanti sul fronte delle performance economico-finanziarie. I tratti comuni di questi “brillanti protagonisti del mercato” si possono così sintetizzare: struttura snella e a conduzione familiare, forte orientamento al servizio, attenzione al cliente e ampiezza di gamma. E’, infine, emerso che la passione per l’azienda e le relazioni collaborative con i principali stakeholder (clienti, fornitori, finanziatori…), basate su un solido rapporto di fiducia, fanno la differenza e rappresentano le basi del successo.

FIPE: sale a 76 miliardi di euro il mercato dei pasti fuori casa in Italia

MILANO – Gli italiani tornano al ristorante: i numeri parlano chiaro e confermano un trend positivo, come risulta dall’ultimo Rapporto Ristorazione a cura della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi). Per il 2015, infatti, la previsione del centro studi Fipe è di un incremento dello 0,8% che porterà la spesa nominale a 76 miliardi di euro. Nel complesso la spesa delle famiglie italiane nel 2014 si è attestata su 74.664 milioni di euro in valore e 69.473 milioni in volume con un incremento reale sul 2013 dello 0,7%. «Si è finalmente interrotta la dinamica di contrazione che era iniziata nel 2008», ha commentato Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe. «Già i numeri di Pasqua e dell’estate inducevano a un cauto ottimismo: oggi abbiamo la conferma che il fuori casa è un universo economico e sociale sempre più importante scelto da oltre 39 milioni di italiani». Il 77% degli italiani maggiorenni consuma, più o meno abitualmente, cibo al di fuori delle mura domestiche sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene e aperitivi. In Europa il settore vale 504 miliardi di euro, concentrato principalmente in tre Paesi, e l’Italia si pone in particolare al terzo posto dopo Regno Unito e Spagna. In rapporto alla popolazione e a parità di potere d’acquisto, la spesa pro-capite è in Italia del 22% superiore a quella media europea e del 33% alla spesa della Francia. I pubblici esercizi impiegano, in media d’anno, 680.693 lavoratori dipendenti, pari al 71% del totale nazionale del comparto del turismo.

INVEST IN LOMBARDY: 170 miliardi e 280mila occupati dagli investimenti esteri in Regione Lombardia

MILANO – Con 3.285 imprese, 279.565 addetti, 170 miliardi di euro di fatturato la Provincia di Milano si conferma leader italiana nell’attrazione di capitali esteri. La virtuosità è però caratteristica anche delle altre province lombarde, fra cui spiccano Monza e Brianza, con quasi 400 imprese estere, quasi 40 mila addetti e oltre 17 miliardi e 600 milioni di fatturato. A seguire Bergamo, quasi 30 mila addetti, oltre 7 miliardi di fatturato e oltre 200 imprese, Varese poco sotto e subito a seguire Brescia, sempre oltre i 5 miliardi di fatturato da imprese estere presenti sul territorio. “Attrarre investimenti esteri per creare innovazione e crescita: dalle politiche ai progetti”, questo il titolo del seminario principale degli “Invest in Lombardy Days” edizione 2015, il principale momento di confronto sugli investimenti esteri in Lombardia e in Italia, tenutosi a metà ottobre a Milano e occasione di dialogo e networking tra imprese multinazionali, istituzioni locali e nazionali, economisti, professionisti, banche e imprese. «Chi decide di investire in Lombardia – ha sottolineato l’assessore lombardo alle Attività produttive Mario Melazzini – trova, come valore aggiunto, grandi professionalità e un capitale umano d’eccellenza, oltre che una serie di agevolazioni che la Regione mette a disposizione non solo in termini di risorse ma anche di semplificazione, sburocratizzazione e alleggerimento del carico fiscale. Le diverse misure che aumentano l’attrattività del nostro territorio sono contenute nella legge 11 Impresa Lombardi’ e anche nella nuova legge, anch’essa approvata all’unanimità, Manifattura diffusa, creativa e tecnologica 4.0, grazie alla quale metteremo a disposizione oltre 580 milioni di euro di risorse. Le altre leve fondamentali sono la ricerca e l’innovazione, che noi riteniamo priorità strategiche e che vogliamo promuovere sempre più, potenziando la naturale vocazione di una regione, come la Lombardia, che può vantare con 500 centri di ricerca e sviluppo, 13 Università, 18 IRCCS e 6 parchi tecnologici». «Nel 2014 le richieste di assistenza da parte di imprese estere sono cresciute dell’80% rispetto al 2013 e nei primi 6 mesi del 2015 di un ulteriore 60% rispetto al primo semestre 2014», ha dichiarato Pier Andrea Chevallard, Direttore di Promos. «Questo perché la Lombardia è la porta d’ingresso degli investimenti esteri in Italia, il 48,6% di tutte le aziende italiane inserite in gruppi internazionali ha sede in Lombardia: solo nella provincia di Milano sono localizzate 3.285 imprese a partecipazione estera, che danno impiego a 280 mila lavoratori e sviluppano un fatturato complessivo di 170 miliardi di euro all’anno». Nel corso del seminario sono stati presentati anche i dati dell’Annual Report 2015, dal rapporto elaborato da Invest in Lombardy con il supporto del professore Marco Mutinelli, emerge che: gli indicatori di internazionalizzazione della Lombardia registrano una performance significativamente più alta del panorama nazionale;  in regione sono presenti 4.721 aziende a partecipazione estera per un turnover complessivo di 220 miliardi di euro e un totale di 407.600 impiegati (+1,9% rispetto al 2014); nel decennio 2004-2014, 2.676 aziende italiane sono state parzialmente o totalmente acquisite da investitori esteri e i settori in cui si investe di più sono manifattura e industria (54,13%), wholesale e retail (15,79%), business services (20,25%). Europa e Stati Uniti rimangono saldamente in testa nella classifica dei Paesi più interessati a investire in Italia. La vera novità però sono i Paesi Brics: in dieci anni il peso dei loro investimenti è passato dallo 0,5% al 9,1%; da notare che nel 2014 si sono registrate ben 9 acquisizioni di rilievo da parte di investitori cinesi, con una crescita significativa rispetto all’anno precedente.

DE LUCA & PARTNERS: l’84% delle imprese apprezza il Jobs Act ma bisogna ridurre il cuneo fiscale

MILANO – Quali sono stati i reali effetti del Jobs Act sul mercato del lavoro? Obiettivi come stabilità per i lavoratori e flessibilità per le aziende sono stati raggiunti o sono necessarie ulteriori misure per soddisfare le esigenze di dipendenti e datori di lavoro? De Luca & Partners, studio legale specializzato nel campo del diritto del lavoro, ha svolto un’indagine rivolta ad aziende nazionali e internazionali operanti nel territorio italiano. Al sondaggio hanno contribuito oltre 200 tra amministratori delegati, general counsel e direttori del personale di importanti compagnie, di cui il 40% appartiene a gruppi internazionali. Dal sondaggio emerge che ben l’84% del campione è stato positivamente colpito dalle riforme avviate dal Jobs Act, grazie alle quali il diritto del lavoro ha potuto compiere un “sostanziale progresso”. Chi si è dichiarato favorevole ai cambiamenti attuati con il Jobs Act apprezza in particolar modo la possibilità data alle imprese di aumentare le assunzioni e promuovere gli investimenti (46%), oltre a determinare un maggiore equilibrio tra i diritti delle parti del rapporto di lavoro (40%). Tuttavia, solo il 32% degli intervistati ha dichiarato di aver visto crescere significativamente il numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato nella propria azienda a partire dal marzo 2015. Incentivi alle assunzioni e semplificazione sono gli aspetti della riforma che convincono maggiormente sia le aziende, sia i dipendenti: il 69% di loro ritiene infatti che il contratto a tutele crescenti e l’esenzione contributiva introdotta dalla Legge di stabilità siano i principali vantaggi offerti dal Jobs Act. Senza dimenticare, inoltre, l’abolizione dell’obbligo di indicare la causale per le assunzioni a tempo determinato (34%), il riordino delle tipologie contrattuali (30%) e la revisione della disciplina delle mansioni (28%). Inoltre, nonostante l’applicazione del contratto a tutele crescenti per i neoassunti, non si è registrato un blocco del turnover all’interno delle aziende. Al contrario, 7 su 10 dei partecipanti all’indagine (72%) hanno dichiarato che la riforma non ha influito sulla propensione dei lavoratori a cambiare lavoro. In un mercato del lavoro tradizionalmente statico come quello italiano, la percezione è che si possa e si debba ancora fare molto: il 58% degli intervistati, infatti, ritiene che la riforma non sia sufficiente a raggiungere l’obiettivo di maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro. L’ostacolo maggiore agli investimenti e alle assunzioni è, secondo il 79% del campione, l’elevato costo del lavoro, seguito dalle difficoltà create dalla burocrazia (52%) e da una normativa troppo complessa (49%). Non solo: a spaventare le aziende sono anche la scarsa flessibilità in uscita per i vecchi assunti (42%) e la mancanza di chiarezza in materia previdenziale e assistenziale (32%). E di fronte alla domanda che chiede quali aspetti della riforma debbano essere migliorati, non ci sono dubbi: l’esigenza diffusa è una riduzione del cuneo fiscale (73%) e del costo del lavoro (70%), senza però trascurare la diminuzione degli adempimenti burocratici a carico di datori di lavoro e lavoratori (53%), la riduzione dei tempi di giustizia (42%) e la semplificazione della normativa previdenziale e assistenziale (40%). Dal punto di vista strettamente contrattuale, invece, ben il 40% degli intervistati ritiene necessario poter applicare il contratto a tutele crescenti a tutti i rapporti di lavoro subordinati e non solo a quelli instaurati a decorrere dal 7 marzo 2015.

CONFARTIGIANATO: La Lombardia traina l’export della metalmeccanica italiana in Germania

MILANO –  Al primo semestre 2015 l’export italiano dei prodotti della metalmeccanica verso il mercato tedesco vale quasi 13 miliardi di euro (12.949 milioni). La regione più attiva è la Lombardia con un totale di 4.528 milioni (in aumento dell’1,3% rispetto al primo semestre 2014), seguita da Emilia Romagna (1.806 milioni), Veneto (1.777 milioni) e Piemonte (1.682 milioni). A livello provinciale è Brescia la regina dell’export in Germania, con 1.085 milioni di euro, seguita da Torino (974 milioni), Milano (814 milioni) e Bergamo (634 milioni). Le imprese italiane attive nel settore metalmeccanico sono 111.677, di cui 65.690 artigiane (il 58,8%). I dati provengono dal Centro Studi di Confartigianato Imprese (elaborazioni su dati Istat) in collaborazione con l’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia. Le elaborazioni sono state presentate alle imprese artigiane in occasione degli incontri con buyers e delegazioni commerciali internazionali all’Italian Makers Village, il fuori Expo di Confartigianato in via Tortona a Milano. Scopo del Village è anche quello di favorire l’internazionalizzazione di PMI e MPI: dall’inizio di Expo ad oggi oltre 700 aziende di diversi settori hanno partecipato agli incontri del programma Export 2015, sviluppando così opportunità di scambi commerciali su scala mondiale.

ATRADIUS: è stabile il barometro del siderurgico italiano, con un elevato livello d’indebitamento

ROMA – L’attuale fase di stabilità del settore siderurgico italiano segue a un calo dell’1,6% della produzione nell’ultimo anno, dopo due anni di contrazione della domanda interna che ha interessato negativamente i livelli produttivi del settore. L’andamento al ribasso della produzione, proseguito anche nel primo semestre 2015, conferma le modeste prospettive per il settore siderurgico italiano, nonostante la lieve ripresa dell’economia prevista per quest’anno. Queste le previsioni sull’andamento dei pagamenti nel settore siderurgico in Italia, elaborate da Atradius, assicuratore del credito a livello mondiale, nell’ambito del consueto Osservatorio sul settore (Market Monitor). A tali previsioni fanno da sfondo livelli d’insolvenza sostanzialmente stabili, e comportamenti di pagamento dei clienti del settore di fatto invariati rispetto allo scorso anno, in media a 90 giorni, quasi tre volte le tempistiche di pagamento dei clienti registrate in Germania.  A differenza dell’Italia, i margini di profitto delle aziende tedesche del settore indicano una tendenza al deterioramento, contro una previsione di stabilità per le aziende italiane del comparto. In tale contesto, è essenziale  porre attenzione alle criticità derivanti dal rischio di credito commerciale, sia sul mercato domestico che all’estero, adottando soluzioni di tutela del portafoglio clienti credito che offrano adeguato sostegno alla pianificazione finanziaria dell’impresa, con una regolarizzazione del cash flow, offrendo inoltre un valido supporto idoneo a ottenere migliore accesso al credito bancario, visto anche il modesto livello di disponibilità delle banche a fornire credito alle aziende del comparto.

MECSPE: per il 60% delle pmi le chiavi per aumentare la competitività sono innovazione e formazione

MILANO – La competitività del settore manifatturiero italiano passa per la formazione e l’innovazione. Secondo l’ultima ricerca dell’Istat, il 58,4% del comparto industriale italiano ha infatti svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni nel biennio 2010-2012. In questo contesto la ricerca rappresenta oltre il 50% della spesa complessiva. Un quadro confermato anche dall’Osservatorio Mecspe, la fiera internazionale delle tecnologie per l’innovazione che si svolgerà a Parma dal 17 al 19 marzo 2016.  L’analisi dell’Osservatorio, che comprende principalmente aziende con fatturati inferiori ai dieci milioni di euro (84,3%) e che occupano meno di 50 dipendenti (86,7%), ha messo in luce infatti come le performance migliori siano state raggiunte dalle aziende che hanno puntato ed investito sulla formazione. Sono inoltre quasi nove su dieci (89,8%) gli imprenditori che hanno investito nell’aggiornamento dei propri dipendenti. Nello specifico, il 27,6% ha dedicato “fino a 10 ore”, il 25,7% “tra le 11 e le 20”, il 15,5% “tra le 21 e le 30” e “oltre le 31 ore” poco più di un quinto (21,1%). La crescita dell’azienda attraverso un utilizzo migliore delle risorse interne. «Preparandoci a partecipare a Mecspe – spiega Federica Gamba, manager della Gamba Stampi Srl – abbiamo fatto dei corsi di formazione rivolti sia ai titolari che al personale che poi è anche venuto in fiera. Oltre al bagaglio di informazioni acquisito, infatti, è stato anche un modo per capirsi meglio e per legare, spinti dall’obiettivo di studiare e applicare insieme le nuove tecniche che avevamo appena appreso. Allo stesso tempo, tornati dalla fiera nel riprendere in esame l’approccio e il tipo di esperienze acquisite grazie a questi nuovi contatti, abbiamo notato come sia migliorato sensibilmente lo stile di comunicazione all’interno dell’azienda».  «In un mercato sempre più globalizzato e competitivo – commenta Emilio Bianchi, direttore di Senaf – la formazione, l’innovazione e il valore umano rappresentano dei tasselli fondamentali in un’ottica di  elevata specializzazione ed eccellenza nella produzione. Avere il coraggio di investire in ricerca e formazione in un momento di difficile congiuntura economica, dimostra ancora una volta come le aziende del comparto della meccanica e della subfornitura si siano già proiettate al futuro per essere ancora più competitive, soprattutto ora che si intravedono i primi segnali di ripresa. Guardando infatti  i dati di  chiusura dell’esercizio del 2014 rispetto a tre anni fa, è emerso come il 51% delle aziende abbia registrato un incremento dei fatturati, in netto miglioramento rispetto alla rilevazione dello scorso anno. Sempre rispetto al 2012, infine, il 51% delle aziende ha registrato una crescita del proprio fatturato, mentre il 29,4% dichiara stabilità e solo il 19,6% un calo». Un trend di crescita che emerge anche dall’ultima indagine delle medie imprese italiane pubblicata da Mediobanca e Unioncamere. Nel periodo che va dal 2004 al 2013, le 3.212 medie imprese manifatturiere italiane prese in esame che assicurano il 16% circa del valore aggiunto dell’industria manifatturiera e il 17% delle esportazioni nazionali, hanno registrato una crescita del fatturato del 35,5%, più del doppio rispetto al settore manifatturiero nel suo insieme e anche le previsioni per il 2015 sono buone con il 46,3% delle aziende che prevede un aumento di fatturato e il 42,6% un incremento della produzione.

ASSOCOMAPLAST: vola l’export delle macchine e stampi per plastiche e gomma

MILANO – L’elaborazione di Assocomaplast dei dati Istat di commercio estero relativi al primo semestre dell’anno in corso evidenzia – rispetto al gennaio-giugno 2014 – una performance decisamente positiva dell’import-export italiano di macchine, attrezzature e stampi per materie plastiche e gomma. Infatti, si conferma – anzi si rafforza – la crescita registrata a partire dai primi mesi del 2014: a fine dello scorso giugno, l’incremento degli acquisti dall’estero ha sfiorato i +17 punti – fornendo quindi un’ulteriore rassicurazione rispetto alla ripresa, seppure ancora non brillante, del mercato interno – mentre quello delle vendite oltreconfine si è attestato al +7,5%. In miglioramento anche il saldo commerciale. «Tale bilancio – sottolinea il neoeletto presidente di Assocomaplast, Alessandro Grassi – è peraltro in linea con i risultati della più recente indagine congiunturale svolta dal nostro ufficio studi tra gli associati». Si è infatti riscontrato un clima di moderato ottimismo sia a consuntivo – con il 50% del campione che lo scorso luglio ha registrato un aumento degli ordinativi rispetto a un anno fa – sia a livello di previsioni, alla luce di un 44% degli intervistati che si attende un’ulteriore espansione e un 45% che immagina un consolidamento del proprio fatturato nel semestre in corso. «Questi indicatori risultano anche in miglioramento rispetto alle precedenti rilevazioni», precisa Grassi. Dal punto di vista merceologico, le maggiori importazioni di macchine a iniezione, stampatrici flessografiche e stampi – solo per citare le tipologie di macchinari di maggiore “peso” sul totale, ma questo vale anche per altri impianti – hanno avuto origine in particolare dalla Germania, che si riconferma principale fornitore di tecnologia dell’Italia. Germania che storicamente è anche il primo mercato di destinazione delle esportazioni italiane di settore: i trasformatori tedeschi hanno confermato il proprio apprezzamento per i macchinari made in Italy acquistandone per un valore di quasi 200 milioni di euro (+19% sul primo semestre 2014). A livello di macro-aree geografiche di sbocco delle vendite complessive di settore è evidente la progressione di quelle destinate ai Paesi UE e all’aggregazione Nafta. Nel primo caso hanno inciso la già citata crescita delle vendite in Germania ma anche quella in Spagna e Repubblica Ceca. Relativamente al Nordamerica, pesa l’incremento di 36 punti delle forniture agli Stati Uniti e il non trascurabile +15% del Messico. Incoraggiante anche il segnale positivo che arriva dal Brasile, con un miglioramento del 17% che potrebbe far ben sperare almeno in una stabilizzazione dopo il declino registrato nell’ultimo quadriennio. Non sorprende, invece, l’ulteriore peggioramento dell’export verso la Russia (-39%) – che ancora risente delle ben note problematiche legate alla crisi con l’Ucraina – l’India (-24%) – verso cui le forniture italiane stentano a decollare nonostante le potenzialità del mercato – e la Cina, che mostra andamenti altalenanti di anno in anno.

ISTAT: “Vola” il business dell’aerospaziale italiano, con 1,3 miliardi di export nel primo trimestre

MILANO – Tra aerei, elicotteri, veicoli spaziali e loro componenti in Italia si contano 572 attività tra sedi di impresa e unità locali, in crescita in un anno del 3,7%. All’interno del comparto lavorano anche le imprese legate al nuovo business dei droni. Complessivamente il settore aerospaziale, solo nella fabbricazione, impiega oltre 24mila addetti. Le regioni specializzate sono Lombardia (116 imprese e unità locali attive nella fabbricazione di aeromobili, veicoli spaziali e loro dispositivi,+ 9,5% in un anno) e Campania (85 localizzazioni, +7,1%). Segue il Piemonte (con 79 attività, -2,5%). L’interscambio del settore vale circa 2 miliardi di euro nei soli primi tre mesi del 2015 (per tutto il 2014 erano 8 miliardi), l’export pesa per quasi 1,3 miliardi. Primi Paesi importatori nel 2015 sono Stati Uniti (323 milioni di euro), Francia (240 milioni di euro) e Regno Unito (105 milioni). Molto bene le esportazioni lombarde: nei primi tre mesi del 2015 si registra +18,1% rispetto al primo trimestre 2014, con più di 445 milioni di euro fatti volare nel mondo tra gennaio e marzo. Primo per export il distretto varesino con oltre 385 milioni di Euro, seguito da Milano (36,1 milioni di euro), Lecco (12 milioni di Euro) e Monza e Brianza (7,2 milioni di Euro). Le imprese lombarde del settore esportano soprattutto verso Emirati Arabi Uniti, Algeria e Regno Unito. È quanto emerge da elaborazioni dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza in collaborazione con Camera di commercio di Milano, su dati Registro Imprese e Istat Coeweb.       

HAYS ITALIA: Oil & gas, automotive e impiantistica trainano la richiesta di nuovi professionisti in ambito engineering

MILANO – «Cresce la ricerca di nuovi professionisti in ambito engineering, focalizzandosi soprattutto in quei settori caratterizzati da alti tassi di crescita come l’oil & gas, l’automotive e l’Impiantistica»: ad affermarlo sono gli esperti di Hays Italia, una delle aziende leader a livello globale del recruitment specializzato, commentando i dati della Salary Guide. In quest’ultima edizione dell’indagine condotta su un campione di oltre 1.000 professionisti e 270 aziende, infatti, emerge che il mercato engineering si presenta dinamico e attivo, con un +20% nell’impiego di nuovi professionisti. tra le figure più ricercate nell’ultimo anno troviamo in ambito impiantistico il project manager, il project engineering e il discipline leader, nell’area industriale, invece, va per la maggiore il lean manager. sembrano essere meno richieste, invece, professionalità nei comparti come l’energy, l’aerospace e il chimico. Sempre secondo l’indagine, inoltre, la scelta dei responsabili HR cade su figure dal forte know how tecnico, disponibili a intraprendere progetti all’estero, che sappiano parlare almeno tre lingue (imprescindibile l’inglese), e che abbiano alle spalle un eccellente percorso accademico in Ingegneria. Per quanto riguarda le politiche retributive, non vi sono particolari variazioni rispetto l’anno passato: il comparto dell’automotive continua a offrire i salari più elevati, soprattutto per figure come il direttore acquisti (90.000 €) o il plant manager (80.000 €). Più modeste, invece, le buste paga dei progettisti meccanici o dei project engineer, che si aggirano intorno ad un massimo di 55.000 €. Differenze sostanziali nei livelli salariali emergono, invece, a livello di macro aree: al Nord, grazie ad una maggiore concorrenza e una presenza più capillare, le aziende elargiscono retribuzioni più alte rispetto al Centro e al Sud. Un discorso più approfondito merita, infine, il settore supply chain che, dopo una forte flessione, va finalmente incontro ad un trend positivo. la consegna di commesse degli anni passati, infatti, ha regalato respiro al comparto property, mentre la nuova normativa, in ambito consulenziale sta rilanciando il settore real estate. Tra i profili più ricercati troviamo il project manager per commesse estere in area construction, il property manager in ambito property e il valuer in quello real estate. Il candidato ideale vanta un’esperienza comprovata nel proprio settore, la conoscenza di almeno un’altra lingua oltre l’inglese, un percorso di studi in ingegneria o economia e delle ottime capacità di negoziazione e gestione dello stress. Anche in questo caso i pacchetti salariali dipendono dall’esperienza e dalle competenze dei professionisti: tra i più pagati i direttori di cantiere (70.000 €); tra le meno retribuite, invece, le figure di supporto e staff come gli addetti ai back office, i site manager e i broker.

GLOBAL STRATEGY: Per l’Osservatorio Pmi raddoppiate in un anno le aziende eccellenti italiane

MILANO – Visione strategica, capacità di innovare prodotto ed efficienza aziendale e l’abilità di anticipare la direzione in cui si muoverà il mercato. Ecco l’identikit delle 483 imprese eccellenti italiane, vera spina dorsale dell’economia del nostro Paese, che crescono di ben il 50% rispetto allo scorso anno. Sono aziende capaci di performance di crescita, di redditività e di solidità patrimoniale da 2 a 10 volte superiori rispetto alla media. È la via italiana al successo internazionale: innovazione, caparbietà imprenditoriale e capacità strategica come elementi costituenti il fattore umano delle imprese eccellenti. E’ quanto emerge dal rapporto annuale dell’Osservatorio Pmi di Global Strategy, società di consulenza strategica e finanziaria, che ha presentato i risultati dell’edizione 2015 nel corso del convegno “L’importanza del fattore umano. Tendenze e testimonianze dalle imprese eccellenti 2015”, organizzato in collaborazione con Borsa Italiana, Negri-Clementi Studio Legale Associato e Great Place to Work. L’Osservatorio Pmi ha analizzato oltre 40mila imprese italiane manifatturiere e di servizi, tra le quali ha individuato circa 7mila aziende che hanno registrato un valore della produzione tra 20 e 250 milioni di euro. Partendo da questo universo di riferimento, ha poi selezionato quelle che negli ultimi cinque anni hanno superato la media del loro specifico settore in ben 11 parametri economico-finanziari e patrimoniali. Quest’anno sono 483 le imprese che hanno dimostrato capacità di crescita eccezionali: ben 156 in più rispetto allo scorso anno, con un incremento del 47,7%. Si tratta di aziende che hanno registrato un incremento medio del valore di produzione del 170% nel quinquennio, uno sviluppo più che proporzionale di redditività (Ebitda +212%, Roi +168%) e patrimonializzazione, con una accelerazione significativa nell’ultimo biennio, e aspettative di ulteriore sviluppo nei prossimi tre anni. Si tratta prevalentemente di imprese di proprietà familiare (92,5%), dove l’importanza del fattore umano si è dimostrata centrale per far fronte alle sfide della competitività nazionale e internazionale. In oltre 6 casi su 10 (57,8%) sono aziende presenti sul mercato da più di un quarto di secolo: per circa il 30% da 25 a 35 anni, per il 20% dai 36 ai 50 anni e per il 7,5% da oltre 50. Ma mentre persiste una limitata delega gestionale (intorno al 35%), si nota una struttura dall’elevata seniority aziendale anche nel Top Management, che per il 60,6% ha una anzianità in azienda superiore ai 10 anni. Questo elemento consente di assicurare continuità e sviluppo, anche in assenza di sistemi di retention delle risorse chiave strutturati o formalizzati in oltre il 66,7% del campione analizzato. Ma come interpretano il “fattore umano” le imprese eccellenti? Come un mix di innovazione, caparbietà imprenditoriale, capacità strategica e doti organizzative (36,6%), che con i valori e cultura aziendale (26,8%) sono alla base del loro successo. Altro elemento importante che emerge dal Report 2015 è la presenza di queste imprese non esclusivamente in nicchie di mercato specialistiche (61% del campione), ma anche in settori maturi, indifferenziati e globali, ovvero in arene competitive lontane dall’archetipo “classico” della piccola e media industria italiana. Un successo frutto di strategie consapevoli, come la focalizzazione, scelta 74% rispetto alla diversificazione, in particolare rispetto a prodotti ad alto valore aggiunto (63% rispetto a una strategia basata su prezzi competitivi). La tendenza all’internazionalizzazione, riscontrata in tutte le ultime edizioni dell’Osservatorio Pmi, viene ulteriormente confermata quest’anno. La quota di export è ormai oltre il 40%: il 44,8% per le aziende sopra i 50 milioni di fatturato, ma anche per quelle più piccole (20-50 milioni) la quota è ormai del 40,8% (+10pp), con l’aspettativa di superare il 50% nel prossimo triennio. Una crescita nei mercati esteri che coinvolge non soltanto le aree geografiche limitrofe (Europa 47%) ma tutti i mercati globali (Nord America 14%, Far East, Cina e India 19%). L’ingresso nei mercati esteri inoltre è avvenuto e avviene non solo mediante distributori locali (29,5%), ma in oltre il 44,5% dei casi, attraverso una presenza diretta e strutturata, ovvero filiali commerciali, siti produttivi o partecipazioni in imprese estere.

GEA-ASSET: il 50% delle aziende food & beverage non ha un processo di pianificazione della domanda

PARMA – È urgente ripensare i processi di gestione della domanda e della supply chain delle imprese alimentari italiane: per sostenere il valore di prodotti eccellenti senza essere sopraffatti dalla crescente complessità del mercato; per recuperare margine ed efficienza, sfruttando al meglio la capacità produttiva di impianti spesso sovradimensionati; per muoversi con successo verso nuovi confini. Questo, in sintesi, quanto emerge dall’indagine realizzata da Gea Consulenti di Direzione e Asset, presentata in occasione del convegno “Food Boost – Liberare l’eccellenza con la supply chain”, che ha visto la partecipazione di oltre 200 rappresentanti dell’industria del food & beverage, secondo settore manifatturiero a livello nazionale con 6.800 imprese e 133 miliardi di fatturato. I risultati dell’indagine evidenziano come la necessità di ripensare i processi di pianificazione e gestione della domanda e delle operations sia un tema particolarmente sentito tra le imprese dell’alimentare italiano. Solo un terzo degli intervistati, infatti, si ritiene soddisfatto dei processi adottati attualmente dalla propria azienda e il 50% conferma di avere intrapreso una revisione di tali procedure, concentrandosi soprattutto sul demand management. Con l’obiettivo di sondare il livello di evoluzione del settore alimentare italiano nei processi di previsione della domanda e pianificazione delle operazioni aziendali, l’indagine ha costituito il punto di partenza di un dibattito volto a comprendere in quale misura essere eccellenti in questi ambiti costituisce un reale vantaggio competitivo, in particolare per lo sviluppo sui mercati esteri. «Oltre la metà delle aziende continua a sprecare capitali perché non è in grado di realizzare previsioni accurate, che siano di supporto a una programmazione strategica e ottimizzata delle attività produttive. In un mercato globale sempre più esigente e complesso, non basta guardare a come si è sempre fatto in passato e non possiamo più permetterci che questo continui a penalizzare i nostri marchi», ha commentato Luigi Consiglio, presidente di Gea Consulenti di Direzione. «È vitale rivedere con urgenza i processi di gestione dell’intera supply chain in un’ottica più evoluta, integrata e interfunzionale; una svolta necessaria per recuperare efficienza e accelerare la crescita della nostra industria alimentare, in Italia come all’estero». «Incremento della gamma, competizione sempre più sul tempo, pressione sulla riduzione dei costi e globalizzazione sono fenomeni che caratterizzano la maggior parte dei settori industriali; nel caso del food & beverage la complessità è enfatizzata dalla presenza di numerosi canali da servire contemporaneamente, tenendo conto delle rispettive specificità e da normative sempre più stringenti. Sfide sempre più difficili richiedono approcci sistemici e soprattutto progettualità, non solo nell’affrontare i percorsi di internazionalizzazione, ma anche nel recupero di efficienza dei sistemi produttivi e nel recupero di efficacia dei processi di pianificazione e programmazione della produzione e della catena di distribuzione», ha aggiunto Andrea Sianesi, partner di Asset.

ASSOBIOTEC: vale 7,7 miliardi l’innovativa industria italiana delle biotecnologie

ROMA – «Investire nell’innovazione biotecnologica per tornare a crescere, creare occupazione qualificata e competere nei mercati internazionali»; è questo il messaggio che arriva dall’assemblea annuale di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che riunisce, nell’ambito di Federchimica, più di 140 associati tra imprese e parchi scientifici e tecnologici. «Uno studio dell’Università di Berkeley, in California –– dichiara Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec – dimostra come investire in innovazione abbia importanti ricadute a livello occupazionale: per ogni nuovo posto di lavoro creato nei settori innovativi, se ne generano 5 nell’indotto, a fronte di un rapporto di 1 a 1,6 nei settori tradizionali». Nel fare il punto sullo stato del settore, Sidoli ha ricordato che «esiste in Italia, nel biotech, una realtà industriale estremamente dinamica e competitiva, che si è dimostrata capace di crescere nonostante la crisi globale. Serve ora un piano strategico per le biotecnologie, indispensabile per permettere al Paese di primeggiare nell’alta innovazione». Sidoli ha presentato il quadro del settore tracciato dal Centro Studi di Assobiotec nel BioInItaly Report 2015: 384 imprese, di cui 251 (225 italiane) imprese pure biotech (imprese totalmente dedicato al biotech),  oltre 7,7 miliardi di euro di fatturato, investimenti in R&S superiori a 1,5 miliardi di euro, 7300 addetti alla R&S. «Con un’incidenza media degli investimenti in R&S sul fatturato del 19% – che sale al  31%  per le pure biotech italiane – l’industria biotech si conferma essere uno dei comparti a più elevata intensità di innovazione». L’assemblea di Assobiotec è stata anche l’occasione per la cerimonia di consegna dell’annuale Assobiotec Award, assegnato alla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo.

TECHNOLOGY FORUM: nel Rapporto 2015 l’ecosistema dell’innovazione italiana

MILANO – E’ stato presentato dallo Studio Ambrosetti il Rapporto 2015 del Technology Forum, una mappa di riferimento per orientare le scelte strategiche del Paese nello sviluppo dell’ecosistema per l’innovazione, che dal 2012 viene aggiornata annualmente dalla Community Innovazione e Tecnologia di Ambrosetti Club. Il Rapporto (disponibile in versione integrale su www.technologyforum.eu) contiene raccomandazioni strategiche e proposte puntuali, molte delle quali negli anni sono state recepite e attuate dal Governo italiano: da qui, dallo stato dell’arte dell’azione di governo negli ultimi dodici mesi, parte anche il Rapporto 2015, per poi estendere l’analisi alle tendenze dell’innovazione nelle maggiori aziende italiane. L’osservatorio di Ambrosetti Club sul sentiment dei vertici aziendali coglie quest’anno un incremento dell’orientamento a investire in innovazione e ad assumere  personale qualificato per la R&S nel prossimo triennio. Positivi anche i dati dell’Ambrosetti Innosystem Index, l’indicatore che al Technology Forum stila la classifica degli ecosistemi per l’innovazione, confrontando i Paesi più performanti e, da quest’anno – spingendo l’analisi alle regioni italiane. E se l’Italia, pur rimanendo penultima nel campione degli ecosistemi-Paese di riferimento internazionale, migliora il suo punteggio AII rispetto al 2014, tra le regioni spicca la Lombardia: unica classificata tra le top 20 europee, detiene il primato per la spesa in R&S (più di 4,5 miliardi di euro), per il numero di brevetti, per il numero di occupati nel manifatturiero medium e high – tech  e nelle attività di R&S e per il numero di laureati. Per alimentare il circolo virtuoso innovazione-produttività-crescita il Rapporto individua infine nel sistema educativo – e in particolare universitario – una delle leve da attivare con maggiore determinazione, indicando gli strumenti per portarlo all’altezza della quarta rivoluzione industriale, dove i processi fisici si integrano in modo strutturale con i processi digitali. Due le azioni guida proposte al Technology Forum: una strategia mirata nella gestione dei parametri chiave per il posizionamento nei ranking internazionali, per attrarre talenti e risorse; e il posizionamento strategico dell’offerta, in coerenza con la missione che l’Università si vuole dare, secondo due modelli di riferimento: la research university e l’università tematica/territoriale.

OSSERVATORIO GECO: I dieci sprechi più frequenti nella progettazione industriale

Sprechi di tempo, di conoscenza e di risorse frenano l’innovazione, lo sviluppo e la progettazione in grado di far competere le pmi e le grandi aziende italiane sui mercati internazionali. È quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio Osservatorio GeCo (Gestione dei processi collaborativi di progettazione) della School of Management del Politecnico di Milano in occasione del convegno “A ciascuno il suo: ingredienti e ricette per innovare”. «Le conseguenze? Per il 95% delle imprese intervistate sono le troppe e continue richieste di modifica, per l’88% il sovraccarico dei progettisti e per il 72% lo sforamento dei costi dei progetti». afferma Monica Rossi, responsabile della Ricerca dell’Osservatorio GeCo. Al primo posto della top 10 degli sprechi si classifica la necessità di spendere del tempo per modifiche e revisioni, dovute a cambiamenti nelle priorità, nei dati, nei requisiti: il 91% delle aziende lo riscontra spesso o talvolta al suo interno. Per l’83% lo spreco risiede nel fatto che i nuovi assunti spendono molto tempo per allinearsi alla conoscenza pregressa e non hanno a disposizione sistemi, strumenti e attività che li supportino in questo recupero di conoscenza. Per il 78% delle aziende, invece, è necessario rifare progetti (o una parte di essi) dopo aver scoperto di aver lavorato con dati rivelatisi, successivamente, non corretti o incompleti. Alla base del podio, lo spreco del tempo passato a inserire informazioni del progetto in più sistemi informativi, transcodificando manualmente dati e codici: è stato riscontrato dal 72% delle aziende. Chiude la top 5, con una presenza nel 70% delle aziende, lo spreco di risorse derivante dalla sovra-progettazione di prodotto, con conseguente crescita dei costi di sviluppo. E mentre il 67% delle aziende si ritrova spesso o talvolta ad aver immesso nel mercato prodotti difettosi che necessitano di ulteriori interventi di riparazione, il 59% riscontra due diversi sprechi: la realizzazione di progetti che non arrivano sul mercato e la necessità di rifare progetti già sviluppati ma dei quali non è stata recuperata la conoscenza pregressa. Chiudono la top 10, lo spreco di conoscenza legato all’avere progettato, nel prodotto, funzionalità non richieste dal mercato (riscontrato dal 55% delle aziende) e lo spreco di tempo derivante dalla mancanza di firme o autorizzazione dei responsabili che fanno “da tappo” (rilevato dal 46% delle realtà esaminate). «Gli sprechi sono in maggioranza considerati facilmente evitabili, anche se si presentano con frequenza», aggiunge Sergio Terzi, responsabile scientifico dell’Osservatorio GeCo. «In particolare sono ritenuti facilmente rimediabili l’attesa per firme e autorizzazioni, l’aver rifatto un progetto già sviluppato senza aver recuperato la conoscenza e le “sovra-progettazioni” che alzano i costi di sviluppo. Mentre vengono quasi percepiti come “fatalistici” e quindi difficilmente evitabili le modifiche legate a cambiamenti nelle priorità e nei dati, il rifacimento di progetti per dati rivelatisi non corretti e l’abbandono di un progetto non arrivato sul mercato». Tra le ricette per poter ordinare la progettazione in azienda verso le riduzioni degli sprechi e la crescita della competitività, l’Osservatorio GeCo ha identificato quattro modelli di innovazione già avviati dalle realtà analizzate e a cui ogni azienda può ispirarsi. «Il modello di progettazione orientata al cliente consente di essere competitivi nei costi e nelle tempistiche e maggiormente orientati alla customizzazione, con tempestività, puntualità e qualità al di sopra dei propri competitor», afferma Monica Rossi. «Un secondo modello emerso è quello basato su un approccio formale e pianificato alla creazione, con rilevazioni di performance e un aggiornamento costante scritto dei progetti: consente risparmi di costi e tempi e una flessibilità nei progetti, permettendo di avvantaggiarsi sui competitor dal punto di visto dell’innovatività». Aggiunge Sergio Terzi: “Il modello basato sulla progettazione collaborativa, ovvero sull’esplorazione simultanea collaborativa di diverse alternative progettuali, permette di essere competitivi in flessibilità e costi e di essere superiori ai diretti competitor soprattutto nella tempestività e nella puntualità oltre che nella qualità. Infine, il modello dell’innovazione sostenibile, basato sulla sostenibilità e l’innovazione dei prodotti attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda parte del ciclo di vita del prodotto, permette di essere competitivi nella differenziazione dei prodotti, ottenendo un vantaggio sui competitor per quanto concerne la qualità e la varietà dei prodotti stessi».

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